Riforma della scuola, il governo di Marina Boscaino, MicroMega 19.11.2014 Quel che si dice: l’importanza di essere insegnante. Non è un dato neutro, nella storia che sto per raccontare. La scorsa settimana, venerdì, in occasione della chiusura della “campagna di ascolto” da parte del Miur sul documento La Buona Scuola – Boschi ne ha annunciato l’imminente pubblicazione degli esiti – i docenti Autoconvocati delle scuole del Lazio, dopo un presidio in Viale Trastevere insieme a Cobas ed altre sigle sindacali, hanno chiesto di essere ricevuti per portare a conoscenza del ministro il numero impressionante di delibere, mozioni e documenti dei collegi dei docenti contro il Piano Renzi, raccolti prevalentemente tra le scuola di Roma. Un “assaggio” degli analoghi testi che sono emersi dai collegi di molte scuole di Italia. L’intenzione era chiara e dichiarata: abbiamo fatto la consultazione – attraverso gli organi collegiali della scuola che, finché ce li mantenete integri (considerando che il documento governativo ne prevede la revisione in senso limitativo), hanno ancora una funzione giuridicamente significativa; ciò che è emerso non è favorevole al piano che il Governo propone; prendetene atto e confrontiamoci. Si chiama pratica democratica. Si chiama – appunto – “ascolto”: uno dei totem linguistici di questo governo, sbandierato e rivendicato, che però si traduce in un’interpretazione decisamente fantasiosa, che svela l’intrinseca demagogia del suo uso (e abuso) e che ben si può sintetizzare nell’affermazione di Renzi: ascolto tutti, ma decido io. E nella sommaria elencazione dei soggetti – anche costituzionalmente garantiti – da mandare in pensione per non ostacolare “il nuovo che avanza”. Nel caso in questione, nemmeno l’ascolto di facciata è stato garantito. La delegazione, di cui io facevo parte, è stata infatti bloccata con un imponente spiegamento di forze – documentato da filmati e foto – davanti all’ingresso del ministero. Ai pericolosi docenti con le mozioni in mano è stato opposto uno schieramento di carabinieri e guardie di finanza blindati in caschi e scudi, due camionette a chiudere le rampe laterali alle scale. Siamo rimasti immobili, attendendo pazientemente che dai piani alti qualcuno consentisse al nostro ingresso: nulla. Dopo mezz’ora di attesa – senza particolari tensioni, nonostante la pressione dei militari, che ci sospingevano verso la scala retrostante – abbiamo desistito, accontentandoci di “stendere” tutte le delibere – come panni al sole – a nastri di recinsione. Lo spiegamento di fogli: un colpo d’occhio suggestivo. E così – il 14 novembre – si è conclusa la campagna di “ascolto”. Che non ha peraltro mai tenuto conto del fatto che delibere e mozioni – spesso all’unanimità, il che vuol dire siglate dal consenso di gruppi di docenti variabili dai 70 ai 100 e oltre – spesso contenevano il richiamo alla legge di iniziativa popolare (Lip, ora disegno di legge depositato al Senato da Mussini, Petraglia, Montevecchi, Tocci, Liuzzi, Centinaio, Bignami, Gambaro, Lo Giudice, Pepe, Ricchiuti, M. Romani, Serra, De Petris; e alla Camera da Paglia, Scotto, Giordano, Fratoianni, Costantino, Duranti, Pellegrino) Per la Buona Scuola della Repubblica. Un ascolto che, per la verità, tutte le istituzioni fanno mancare, se si considera che più di un mese fa i Presidenti di Camera e Senato hanno ricevuto una lettera da parte del Comitato per la Riproposizione della Lip, alla quale non hanno ancora risposto. La senatrice Maria Mussini, del gruppo Misto, docente (ha insegnato per anni latino e greco presso il liceo classico di Reggio Emilia), da persona di scuola ha colto la gravità e il significato anche simbolico dell’episodio, formulando un’interrogazione parlamentare (firmata anche dai senatori Petraglia, Montevecchi, Bignami, Romani Maurizio, Bencini e De Petris) che coniuga la legittima perplessità rispetto ai fatti accaduti davanti al Miur (che hanno sottolineato più che mai lo spazio abissale tra governo e cittadini; tra amministratori, decisori e cuore pulsante delle istituzioni stesse, coloro che quotidianamente le fanno funzionare, in questo caso i docenti) ma anche nel merito delle procedure di elaborazione del documento la Buona Scuola, dell’organizzazione della campagna di “ascolto”, del questionario che il Cineca (lo stesso istituto responsabile dell’errore sui test per il concorso da dirigente scolastico 3 anni fa e di quelli per la specializzazione in medicina poche settimane fa) ha ideato per saggiare – in modo del tutto parziale e capzioso – l’indice di gradimento della Buona Scuola di Renzi; dei dati che verranno pubblicati (a fronte di una possibilità di accedere al sondaggio un numero potenzialmente infinito di volte, con nomi diversi; e – nonostante ciò – del numero esiguo di risposte ottenute;. Rilanciando, con la forza delle nostre ragioni (di noi docenti, studenti, genitori e parlamentari di riferimento; che sono le 100mila firme certificate che accompagnarono la proposta della legge di iniziativa popolare alla Camera nel 2006) un articolato di legge che costituisce oggi l’alternativa che la scuola può e deve legittimamente contrapporre al rampante e frettoloso modello renziano. Un’alternativa di studio, negoziazione, condivisione, esperienza, approfondimento, democrazia, inclusione, laicità, pluralismo – tutti elementi rigorosamente tenuti dagli articoli della Lip nell’alveo di quanto la Costituzione prevede relativamente all’istruzione – che può e deve rappresentare la voce della scuola da contrapporre alla verbosa autoreferenzialità governativa, dove le parole difficilmente corrispondono a fatti concreti. Grazie a Maria e a tutti i parlamentari che ci stanno accompagnando in questo difficile percorso. La perenne lotta tra Davide e Golia trova oggi una particolare interpretazione: al monopolio degli spazi e dei siti istituzionali; alla gestione impropria dei luoghi della scuola, occupati talvolta – per diffondere il piano Renzi – da politici senza contraddittorio; agli spot pubblicitari che, con i fondi della collettività, hanno imperversato dai canali Rai radio e Tv; dalla quasi totale acquiescenza di informazione e media che hanno nella maggior parte dei casi rinunciato al dovere dell’oggettività per assecondare acriticamente la corsa veloce del giovane rottamatore; a tutto ciò e a molto altro, noi contrapponiamo le nostre forze tenaci, fondate su studio, riflessione, pensiero critico, energia e sforzo (fisico ed economico) per non disertare una sola assemblea, un convegno, per scrivere incessantemente le nostre ragioni, per illustrare una proposta che – tranne che dalle nostre parole e dai nostri atti – viene volontariamente oscurata. Siamo convinti che serietà, rigore, passione – ma anche tanto amore per la scuola pubblica e per coloro che la frequentano – ci daranno ragione. Ecco di seguito il testo dell’interrogazione della senatrice Maria Mussini, docente: * * * Al Ministro dell’istruzione, dell’università e ricerca Al Ministro dell’interno Premesso che Nel pomeriggio del 14 novembre u.s., nell’imminenza della chiusura della “consultazione” sul Piano Scuola del governo, docenti e studenti si sono ritrovati davanti al Miur per presentare, in delegazione, al Ministro o ad un funzionario da lui delegato, delibere e mozioni del mondo della scuola sul progetto di riforma; la volontà di “ascolto” del Governo si è concretata nella disposizione di quattro file di forze dell’ordine (guardia di Finanza e Carabinieri, in tenuta antisommossa – caschi e scudi), due camionette ad ingombrare le rampe di accesso al Ministero ed elicotteri soprastanti a controllare l’area; lo spiegamento di forza pubblica ha impedito l’ingresso al Miur di coloro che, vivendo la scuola e le sue inadeguatezze quotidianamente, ne conoscono a fondo le problematicità e intendevano offrire una risposta ufficiale e formale, oltreché legittima e articolata; l’ascolto al quale è disposto il governo sembrerebbe limitarsi ai segni di spunta per la compilazione di un questionario a prevalenza di risposte chiuse da parte dei pochi che hanno voluto partecipare al sondaggio online su “La buona Scuola” (65mila circa), il cui termine è stato anche prorogato di un giorno, vista la moderata affluenza; le diverse sezioni del questionario, peraltro, ripercorrendo le suddivisioni del documento governativo, evidenziano una certa arbitrarietà nelle scelta degli argomenti sui quali si è ritenuto di indagare. Un esempio per tutti riguarda l’entrata dei privati nelle scuole, considerata un dato acquisito per sopperire alle carenze statali e presentato dal sondaggio solo in termini di possibile destinazione e preferenza nell’utilizzo degli eventuali fondi; non si può sottacere, da un lato, la tendenziosità di molte domande del questionario che non prevedevano la risposta negativa, tantomeno l’espressione di un’opinione diversa da quelle prestabilite, dall’altro lato, l’elusione di temi fondamentali, come la valutazione dei docenti e la riforma degli Organi collegiali; la blindatura del Ministero dell’istruzione, verificatasi da ultimo venerdì scorso, appare una dimostrazione inequivocabile di chiusura al dialogo nei confronti di chi chiede di studiare e approfondire le problematiche in campo, che non possono risolversi con arroganza, approssimazione e rapidità, a scapito dei diritti e dei principi costituzionali di uno Stato democratico; secondo il progetto “LaBuonaScuola”, inoltre, i genitori vengono solo informati, ma assumono un ruolo di protagonisti soltanto nella raccolta dei fondi, finendo in pratica per perdere completamente il ruolo di componente collaborativa nel raggiungimento delle decisioni (come dimostrano la sparizione del Rappresentante di classe, la compressione del Consiglio d’istituto e il ruolo pervasivo assegnato al Dirigente scolastico); Rilevato che il 4 agosto 2006, fu depositata presso la Camera dei deputati la legge di iniziativa popolare ‘Per una buona scuola della Repubblica’, sostenuta da 100.000 firme e da almeno 120 comitati di base locali. La discussione fu avviata nell’aprile del 2007, ma la fine anticipata della legislatura ne interruppe l’iter di discussione e approvazione; nella XVI legislatura, la legge fu ripresentata, senza mai essere discussa né considerata ai fini dell’emanazione della legge Gelmini di riforma della scuola; già prima dell’estate, la legge di iniziativa popolare “Per Una buona scuola della Repubblica” è stata ripresentata in entrambi i rami del Parlamento (AC 2630 e AS 1583); la ripresentazione, al di là delle necessità procedurali, non è solo un gesto di rispetto e riconoscimento nei confronti di un percorso di democrazia partecipata che ha coinvolto migliaia di genitori, docenti e studenti, e va al di là della condivisione puntuale dei contenuti di questa proposta di legge; a cominciare dalla ministro Moratti per giungere alla ministro Giannini, e passando per la ministro Gelmini, molte cose sono cambiate, purtroppo soltanto in negativo; lo dimostrano ad esempio le deplorevoli condizioni dell’edilizia scolastica, considerata una priorità per l’attuale governo, o la strutturale carenza di materiale didattico; un ulteriore dato costante risulta essere il muro, spesso costituito da forze dell’ordine, verso qualsiasi forma di dialogo con i diretti interessati del mondo della scuola, docenti, studenti e genitori, che ben conoscono lontano dai riflettori le criticità e le disfunzioni del sistema scuola in Italia; le annose problematiche relative al mondo dell’istruzione non si superano con le rituali passerelle settimanali del Presidente del Consiglio o di qualche ministro o sottosegretario, tantomeno con sondaggi estemporanei o battage pubblicitari, ma con un razionale e cospicuo stanziamento di risorse che renda efficace ed efficiente il sistema di istruzione pubblica, in linea con le molteplici prescrizioni costituzionali in materia, prima tra tutte la partecipazione dei soggetti della scuola; Rilevato infine che la proposta di legge di iniziativa popolare rappresenta un progetto ambizioso, complesso e articolato, condiviso, negoziato e mediato da tutti i soggetti che vivono quotidianamente le criticità del sistema scolastico pubblico e provano a fornire soluzioni pratiche; in particolare, il testo propone ad esempio uno stanziamento di fondi in linea con la media europea (il 6% del Pil) e, soprattutto, vincolati a una precisa previsione di spesa, al fine di attuare le disposizioni costituzionali che delinearono una scuola statale democratica, inclusiva, laica e pluralista per la Repubblica italiana; Si chiede di sapere quale sia la società che ha elaborato il questionario sulla buona scuola, con quali criteri sia stata selezionata, con quali modalità verranno restituiti i risultati della consultazione e a quanto ammonti il compenso pattuito; se siano state sentite le parti sociali per quanto attiene ai contenuti contrattuali delle linee guida e cosa sia emerso dalla consultazione; quale sia l’équipe pedagogica che ha elaborato le linee guida per la Presidenza del consiglio e se tale équipe intenda rispondere e con quali modalità agli interrogativi e/o segnalazioni di criticità sulle linee guida emerse in merito alla consultazione su “LaBuonaScuola”; quanto sia stato speso per la pubblicità relativa al progetto governativo di “buona scuola” andato in onda anche sulle radio e le televisioni (oltreché su quotidiani e riviste); se ritenga opportuno, vista la scarsità di risorse economiche, l’utilizzo a tali scopi delle risorse dei contribuenti, posto che non si tratta di una campagna informativa sui diritti dei cittadini, relativa a normative già in essere; se e quali siano i precedenti italiani o europei ai quali ci si è ispirati per la conduzione della campagna governativa su “La Buona Scuola”; se le procedure di ascolto in atto da parte del governo prevedano l’uso della forza pubblica, come verificatosi da ultimo lo scorso 14 novembre di fronte al Ministero dell’istruzione; se non ritenga opportuno, nell’elaborazione dell’importante e attesa riforma del sistema di istruzione, anche al fine di smentire procedure autoritarie e/o prevenire abusi di decretazioni d’urgenza, tenere conto con atti realmente formali delle voci di migliaia di cittadini, che conoscono e vivono quotidianamente la scuola, le sue potenzialità e le sue inefficienze e problematicità; quando e come il governo intenda dare forma normativa alle linee guida per una reale buona scuola pubblica. |