«Senza la linea dell’arco, Il filosofo Silvano Tagliagambe è uno dei massimi esperti di scuola in Italia. Questo suo intervento è un bellissimo regalo ai lettori del blog, un prezioso contributo al dibattito sull’istruzione nel nostro paese di Silvano Tagliagambe, dal blog di Vito Biolchini 2.11.2014 Ha ragione la professoressa Silvana Mulas (nel suo post dal titolo “Sulla scuola il governo Renzi preferisce le cerimonie osannanti alle voci critiche”, ndr) a sollecitare un dibattito sulla scuola reale e sul progetto del governo Renzi di “Buona Scuola” al di là di ogni forma di acritica e più o meno interessata adesione. Comincio dalle cose positive che indubbiamente ci sono nel progetto e vanno onestamente riconosciute e che provo a riassumere. Sul piano didattico:
Sul piano organizzativo:
Personalmente ritengo positivo anche tutto il capitolo, controverso e spesso al centro di non immotivate preoccupazioni del mondo della scuola, relativo al rapporto con il mondo del lavoro e delle professioni. Non soltanto ai fini del rafforzamento del “saper fare”, su cui concentra la propria attenzione in modo presso che esclusivo il progetto del Governo, quanto per l’indubbia, autonoma convergenza del mondo del lavoro verso alcune delle finalità specifiche e caratterizzanti del mondo della scuola, come dimostra il fatto che il primo tende sempre più a fare propri, dall’interno, orientamenti, indirizzi, valori, scopi da sempre costitutivi del sistema scolastico. Non intendo riferirmi ai generici (e troppo spesso retorici) richiami alla “società della conoscenza” e ai suoi principi base, bensì a fatti e dati concreti, come la nascita e il rafforzamento di una nuova classe, quella dei “creativi” che, come risultava già dai dati del censimento della fine del secolo scorso, negli Stati Uniti rappresentava già allora il 30% della popolazione attiva. Il cuore di queste professioni, che ormai si sono affermate e diffuse in tutte le società avanzate, è costituito dai lavori in informatica, ingegneria, architettura, formazione, design, comunicazione, intrattenimento ecc.: ed esse hanno come tratti in comune la produzione di informazioni e idee, e non di prodotti fisici, e il fatto che il valore della prestazione è determinato soprattutto dal grado di innovazione e di originalità, e solo in misura minima dal tempo impegnato. Il loro emergere e consolidarsi è quindi il risultato della capacità di far convergere il capitale intellettuale,e cioè la produzione di conoscenza e innovazione, e il capitale sociale, vale a dire l’abilità nel catturare quella che è l’autentica risorsa scarsa del mercato globale, cioè l’attenzione delle persone, creando un nuovo senso comune. Se inserite in questo quadro, fatte oggetto di un’autentica progettualità sul piano metodologico e didattico e, soprattutto, accompagnate e supportate da un effettivo potenziamento dell’attività laboratoriale in tutte le scuole secondarie superiori (che esige però non belle parole, ma fatti concreti in termini di dotazioni straordinarie di risorse finanziarie e umane) misure come l’alternanza scuola-lavoro, l’apprendistato sperimentale, l’impresa didattica possono contribuire a colmare almeno in qualche misura l’attuale disallineamento tra la domanda di competenze che il mondo esterno chiede alla scuola di sviluppare e ciò che i processi dell’istruzione e della formazione effettivamente offrono. Infine non si può non condividere il proposito di ridurre la burocrazia e il “mondo di carta” che sta soffocando i nostri istituti, monopolizzando gran parte delle energie e del tempo dei dirigenti scolastici, degli insegnanti e del personale amministrativo, vero e proprio spreco di risorse preziose, che andrebbero utilizzate altrove e ben altrimenti, attraverso la ricognizione dettagliata, con l’ausilio di tutti coloro che operano all’interno del mondo scolastico, delle “100 misure più fastidiose, vincolanti e inutili che l’amministrazione scolastica ha adottato nel corso dei decenni”, provvedendo finalmente ad abrogarle. Finalmente una sana e doverosa autocritica di ciò che si è fatto nel recente passato e purtroppo si sta ancora facendo! Tutto bene, dunque? Promosso a pieni voti il progetto “Buona Scuola”? No, nient’affatto, perché manca, a mio giudizio, la pietra d’angolo, quella destinata a sorreggere idealmente l’intero edificio, quel sostegno di cui parla, con la consueta lucidità e profondità, Italo Calvino nelle sue Città invisibili:
“Marco Polo descrive un ponte, pietra per
pietra. Vale la pena di integrare questo riferimento alla linea dell’arco e alla sua importanza con la bellissima definizione che dell’arco e della sua struttura fornisce Leonardo da Vinci. “Arco non è altro che una fortezza causata da due debolezze, imperò che l’arco negli edifizi è composto di 2 parti di circulo, i quali quarti circoli, ciascuno debolissimo per sé, desidera cadere, e opponendosi alla ruina dell’altro, le due debolezze si convertano in unica fortezza” [2]. Queste due citazioni convergono nel dirci che, vanno bene e sono certamente insostituibili le singole pietre, ma se non è la linea dell’arco, cioè una struttura che le sostenga, l’insieme delle pietre è solo una delle due debolezze alle quali si riferisce Leonardo; così come, ovviamente, la sola linea dell’arco senza le pietre non sosterrebbe un bel nulla. Ora il piano “La Buona Scuola” elenca e classifica, una a una, le pietre, quelle sulle quali abbiamo fin qui concentrato la nostra attenzione, seguendo gli indirizzi del progetto governativo, ma non parla della linea dell’arco, della struttura, del disegno complessivo, della visione della scuola, della sua funzione nella società contemporanea, di ciò che essa deve fare per formare la testa del citatissimo aforisma di Montaigne “È meglio una testa ben fatta che una testa piena”, ripreso da Morin [3]. Per far fronte alle esigenze del mondo contemporaneo questa testa ben fatta dovrà essere capace di esprimere uno stile di pensiero:
Come si costruisce una testa di questo genere? Non certo accatastando e accumulando pietre su pietre, per proseguire sulla linea della metafora di Calvino, cioè per sommatoria come fa il progetto che stiamo esaminando, bensì preoccupandosi della “linea dell’arco”, vale a dire procedendo per intersezione e per incastro, organizzando e mettendo in pratica processi formativi basati sul confronto tra prospettive diverse e sperimentando strategie di interazione complesse mirate a garantire l’effettiva a padronanza della “teoria del ragionamento”. Questo, oltre al sapere disciplinare e ai relativi contenuti e alle conoscenze specifiche, è l’obiettivo da porsi e di cui non c’è traccia nella “Buona Scuola” di cui parla il Governo. Si tratta di un crocevia di discipline in parte di antichissima tradizione, in parte originate dai molteplici stimoli provenienti dalla società odierna (la logica, la teoria dell’argomentazione, il critical thinking, la comunicazione, la riflessione sui rapporti e sulle differenze tra persuasione e convinzione e sulle strategie persuasive nella politica, nella pubblicità e nel marketing). Questa padronanza è alla base dell’elasticità di pensiero e di capacità più sofisticate e complesse, quali quelle di problem solving, di inquadramento corretto di un problema e di individuazione degli strumenti e risorse necessari per affrontarlo e risolverlo, di project management, di auto-programmazione. Se non riesce a formare tutto questo con contenuti adatti e con didattiche e metodologie appositamente predisposte ed applicate capillarmente in tutti i luoghi dell’istruzione di ogni ordine e grado, come si usa dire in burocratese, la scuola, anche se raggiunge le finalità e i traguardi, pur ambiziosi e significativi, di cui parlano il Presidente del Consiglio e il Ministro della Pubblica istruzione, non può essere considerata “buona”. Perché nella nostra vita quotidiana facciamo un uso essenziale ed esplicito di ragionamenti quando dobbiamo risolvere problemi importanti, si tratti di problemi pratici relativi a decisioni che influenzano significativamente la nostra vita oppure di problemi teorici che hanno a che vedere con la nostra conoscenza del mondo fisico e sociale. Ne consegue che coltivare le capacità intellettuali richieste per inquadrare correttamente e risolvere un problema non è una virtù per una ristretta élite di pensatori, bensì una necessità per tutti coloro che non vogliano rinunciare a esercitare un controllo critico sulle decisioni importanti che li riguardano. Si tratta, inoltre, di un imperativo morale per quanti – giudici, politici, amministratori, manager e via elencando – si trovino nella scomoda posizione di dover prendere decisioni importanti che riguardano gli altri. Così, il possesso e il controllo critico della “cassetta degli attrezzi“ di cui si serve e si giova la nostra mente per ragionare e la sua diffusione capillare, in modo da renderla accessibile a tutti, è essenzialmente una questione di democrazia – di quella democrazia di cui troppo si parla e troppo raramente ci si cura di stimolare e praticare in concreto – in quanto investe la possibilità dei cittadini di comprendere e controllare i processi decisionali dai quali dipende il loro benessere e la loro stessa vita.
[1] I Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino, 1979, p. 89. [2] Leonardo da Vinci, MSS, Institu de France, Paris, 50r, ‘Frammenti sull’architettura’ (1490), Scritti rinascimentali di architettura, a cura di A. Bruschi, Edizioni il Polifilo, Milano, 1978, p. 292. [3] E. Morin, La Tête bien faite. Penser la réforme, reformer la pensée, Seuil, Paris. 1999. I edizione italiana Raffaello Cortina, Milano 2000, p. 15. |