Merito: valutazione del lavoro
di un deputato o di un insegnante
Mila Spicola,
Italiaserotta 8 settembre 2014
Biecamente demagogico il titolo, lo ammetto. Però ci è stata servita
su un piatto d'argento l'argomentazione. Tiro fuori il naso un
attimo dall'apnea e dal silenzio e butto giù
qualche riflessione, non organica, non meditata, ma così, come mi
viene.
Sto esaminando il dossier de La Buona Scuola (spero di riuscire a
formulare a breve le mie "controdeduzioni" su alcune parti che mi
lasciano perplessa, pur apprezzandone le intenzioni) e son giunta
alla fase "valutazione del merito".
Ma...A proposito di merito, visto che mi sembra la parte più confusa
e superficiale di tutto il dossier, mi vien da dire, così, da
passante un po' meno distratto: chi controlla produttività, presenza
e aggiornamento in servizio dei deputati italiani ad esempio?
Analizziamo le presenze ad esempio, in modo bypartisan: BERSANI Pier
Luigi (PD) dal 15/03/2013 presenze 26.10% (1447 su 5545) assenze
73.90% (4098 su 5545).
Togliamoci l'assenza per malattia (curiosità: anche per i deputati
l'assenza per malattia provoca una decurtazione dallo stipendio?),
ma la produttività chi la verifica?
GHEDINI Nicolò (PDL) presenze 18,79 %, assenze 81,21 %.
Ne ho indicati due noti, ma andando sul sito openpolitica si leggono
non solo i dati relativi alle assenze, ma anche la produttività di
ciascun deputato o senatore.
Quanti
emendamenti, mozioni, disegni di legge promuove ogni singolo
deputato? Visto che non mi pare siano tutti con la stessa produttività,
in base la santo principio, diamo merito al merito, perché non
differenziare anche loro?
VI sembra pura demagogia? E qua vi volevo, o un principio è valido,
essendo valido sempre o non lo è, un principio valido.
Altra piccola frecciata demagogica: qualcuno lo dice che un
magistrato in Italia ha più di 60gg di ferie l'anno? Il bistrattato
docente ne ha 32 giorni, come tutti i dipendenti della PA, solo che
son concentrati.
Per quel che mi riguarda ho sempre preferito parlare di competenze,
di capacità e di giustizia. Non di bilancini che tanto piacciono. La
parola merito mi è sembrata negli ultimi anni assumere la funzione
non di un principio, ma di un bell'accessorio, nulla di più. Da
adattare a seconda dell'abito e della categoria però.
E' evidente, anche tra i deputati, che ci son quelli che lavorano di
più e quelli che han scambiato per "funzione deputato" lo stazionare
mattino e sera nei salotti televisivi o il girar come trottole da
duino a lampedusa. Ben venga, è "coltivare il territorio", anche io
giro come una trottola per musei, visto che insegno arte, ma non so
se verrà valutato come credito, anche se è chiaro che aumenta la mia
"produttività" di docente.
Ma la loro produttività politica, finito sto tour de france tra tv e
sagra della donnola e fabbrica in mobilitazione e porto dismesso, in
cosa si coagula? Tutto sto gran daffare che compie ciascun deputato
poi convoglia sempre, in tutti i casi, in provvedimenti,
emendamenti, mozioni?
Leggo le presenze in Parlamento e qualche domanda me la faccio, così
come il numero di emendamenti, mozioni, leggi, in proprio, non a
rimorchio: mica son tutti gli stessi, questi curricula parlamentari,
eppure guadagnano tutti lo stesso stipendio.
E i magistrati? Chi controlla e "misura e valuta" coloro che
lavorano e producono di più e coloro che lavorano e producono di
meno? O con quale criterio un processo è più "importante" di altri?
E gli altissimi burocrati? Che vabbè, è inutile sparare sulla croce
rossa, ce l'abbiamo tutti con loro..eppure non mi pare che abbiano
problemi con gli stipendi-ucci-ucci loro.
Io direi che se dobbiamo valutare il "merito", tale affermazione di
principio debba valer per tutti, o sbaglio?
E interrogarci in base a quali criteri, per poi convenire tutti
quanti sulle mille incongruenze che sto leggendo in queste pagine.
A me potrebbe pure star benissimo essere valutata da docente. Tanto,
io proprio io, rientrerei in tutti i criteri dell'ottimo e valoroso
eroe da medaglietta: criteri di tempo, di aggiornamento, di titoli,
di livello dei miei alunni nella mia materia, di sperimentazione, di
progettazione, di uscite, etc..etc...Facciamolo, anche se li ritengo
ininfluenti se tutto ciò poi debba tradursi in 40 euro in più a me a
fronte di un collega che zero faceva prima e oggi è autorizzato a
fare - 20.
Dimenticano in tanti che io e lui incidiamo entrambi sullo stesso
studente. E che i genitori oggi non si lamentano di me, ma di lui. E
che il punto non è nemmeno punirlo, ma motivarlo a lavorare meglio o
a formarsi.
Il punto è che, con premialità di merito così congegnate, non cambio
in meglio il bilancio complessivo del sistema, anzi, lo peggioro.
Dati alla mano.
E a me interesserebbe di più motivar quel collega, tutti i colleghi,
anche me, che comincio a demotivarmi, esattamente per migliorare
complessivamente il sistema e fare molta, ma molta demagogia in
meno. Lo preferirei piuttosto che avere 40 euro in più, ammazzandomi
la salute e litigandomi l'osso con mezzo collegio docenti. E,
particolare rilevante, arrivare in classe stramortita e nervosa,
causa la disorganizzazione, questa sì, di sistema, che provvedimenti
simili comportano.
Potremmo anche tralasciar la questione. Perché poi la singola scuola
riuscirà ad attrezzarsi da se' per far bene o male, nella
collegialità e non nelle individualità. Ma torniamo nella
frammentazione di offerta formativa da cui vogliamo uscire?
A seconda del dirigente avremo al solito scuole ottime e scuole che
sembrano gironi infernali? Dirigenti...non li salvi dando loro
maggiore potere, ma mettendoli nelle condizioni di esercitare in
modo chiaro la loro funzione e questo è un altro temone, ma una cosa
per volta.
Oggi quando va bene, quando c'è il dirigente illuminato, preparato,
capace di gestire e di relazionarsi, oltre che con un bagaglio
conoscitivo su un ampio ventaglio di competenze, allora va tutto
bene.
Ma putacaso dovesse arrivare a dirigere la mia scuola una preside di
mia conoscenza che nemmeno un mese fa mi ha inviato una
mail-lenzuolo senza nemmeno un punto, una virgola o un punto e
virgola?
Spicola come sei formale. Io non l'ho letta quella mail. Alla quarta
riga l'ho cestinata e poi ho svuotato il cestino. Immaginiamocela,
questa povera donna, a dover mettere in piedi e a valutare il suo
team o a giudicare tra una rosa di docenti, carriere e persone, per
nominare il "mentor". Immaginiamocela la capacità di pensiero
e la lucidità di giudizio in una professionista che invia un papello
di 30 pagine senza punteggiatura. Le ho segnalato la cosa, in modo
pacato. Ovviamente risentita la sventurata rispose: "Però io sono
una dirigente" Ricoveratemi per crisi di nervi. E ho citato un
caso.
Questo non è il dito alzato contro il dirigente, ma contro le
discrezionalità. E contro le inefficienze a monte di un sistema
selettivo inadeguato che l'ha condotta a dirigere una scuola.
Inefficienze che mi sembra stiano passando in predicato.
"Valuteremo anche i dirigenti".
Agite a monte no? Chi valuta i valutatori?
Regola numero uno dei sistemi. Per essere ben organizzati non
possono reggersi sulle discrezionalità. Critico fortemente la
questione del merito così come delineata nel dossier la Buona
Scuola, perché debole da questo punto di vista: è basata in larga
misura sulla discrezionalità. Peggio: sulla discrezionalità di una
sola testa, massimo due o tre.
Lancio solo un accenno al Mentor.
Siamo nel Castello di Harry Potter o cosa? Che razza di termine
sarebbe?
A parte l'ironia va detto che, evidenze empiriche alla mano, la
premialità legata alla valutazione dell'insegnamento, si è rivelata
inefficace nel miglioramento dei sistemi d'istruzione.
Questo non significa abbandonarsi alla "manica larga", o adeguarsi
allo status quo, ma spostare l'azione o la messa in atto di
provvedimenti restrittivi e di controllo in altro modo.
Per effettuare dei miglioramenti.
Cioè, a dirla tutta, servono dei cambiamenti radicali e delle scelte
molto più coraggiose.
E questo governo ha l'occasione per produrre scelte coraggiose e
profonde non di superficie e non all'altezza della sfida.
Meglio sarebbe mettere in efficienza l'organizzazione delle scuole,
ed è questo uno dei punti maggiormente deboli delle nostre scuole,
con una diversificazione e una definizione di funzioni in modo
chiaro e strutturale, e sull'esercizio di quelle funzioni poi
operare eventuali progressioni di carriera o di stipendio previa
valutazione di curricula, esperienza, attività, etc...
Lo stanno verificando e ripetendo tutti quanti nel mondo.
Ma noi, no, noi che siam sempre più furbi (la furbizia italiana,
altro temone da svolgere a parte), specie a parlar di cose che
sconosciamo, e che siam noti per prendere sempre il peggio del resto
del mondo, evitiamo saggiamente di convincerci, che queste idee
siano scarti di magazzino.
Così, perché ad alcuni gli piace anche solo l'idea di far qualcosa
perché gli gira il ghiribizzo e la ritiene una cosa adeguata. E gli
piace l'idea di premiare il grande lavoratore e punire il
fannullone. Diciamolo: il nodo è tutto là. In linea di principio il
ragionamento filerebbe..tranne che a scuola non fila affatto.
La scuola è molto ma molto più complessa, ragiona coi tempi lunghi e
con le relazioni, non coi tempi brevi e le premiazioni.
Andrebbe raccontato, per tutti coloro che non lo sanno, che il
criterio di valutazione dell'insegnamento è oggetto di liti
scientifiche internazionali nell'ambito della ricerca educativa, per
cui sono veramente all'avanguardia i nostri se son riusciti a trovar
la chiave di valutazione dell'insegnamento. O meglio, se son
riusciti a scovare in tale valutazione, relazioni positive sulla
qualità dell'istruzione e non sulla demagogia politica o sociale.
Tanto di cappello se noi riusciremo a farne una qualificazione di
sistema e non una decisa dequalificazione di sistema, come si è
verificato in sistemi che han ben altre risorse, esperienze in
quegli ambiti e mezzi.
Se poi tale valutazione si lega alle premialità di stipendio l'unica
evidenza empirica l'abbiamo col sistema statunitense, dove negli
anni si è introdotta in modo sempre più marcato, nel primo mandato
Bush e nel primo mandato Obama.
59 miliardi di dollari la prima riforma e quasi altrettanti la
seconda.
Un successone: tutti gli indici sono impazziti, ne dico solo uno: la
dispersione scolastica è oggi a quasi il 50%, giusto per riassumerne
gli effetti nefasti in una botta sola. Race to the top si chiamava
quel piano d'interventi. Infatti sono giunti al top.
Per chi non lo sapesse da noi è al 18/20% e ci strappiamo le vesti.
Più adeguatamente è esatto dire che, se proprio dobbiamo valutare
qualcosa, è meglio valutar le scuole o le collegialità, non i
singoli insegnanti, come del resto ricorda la
Fondazione Agnelli, nota fondazione extra-parlamentare, radicale e
rivoluzionaria, lo dichiara espressamente in un libello anarchico
che compara esattamente tutti i sistemi di valutazione.
Le premialità non funzionano; si è osservato che nel
lungo periodo si verifica che il gruppo di quelli che lavorano
meglio e di più si assottiglia, per
dinamiche sistemiche, e quelli che lavorano oggi di meno hanno un
motivo in più per lavorar di meno, demotivati e aumentano di numero
nel lungo periodo.
Come banale considerazione di gestione delle risorse umane, lo
comprenderebbe anche un bambino, l'obiettivo più efficace per
migliorare i sistemi d'istruzione sarebbe quello di far lavorar
meglio tutti, in partenza, magari aumentando le ore da trascorrere a
scuola a lavorare oltre le lezioni, in modo uniforme per tutti,
anche poche, 3 o 4 o 5, piuttosto che agire solo premiando solo
quelli che lavorano di più o punendo quelli che lavorano meno. E qua
sento mormorare l'uditorio, se composto da docenti o sindacalisti.
Mi spiace, la penso così e nessuno mi attacchi per i miei pensieri.
Sono stata anni a dire che non sono quella delle 18 ore, ce ne sto
molte di più. Ci stiano tutti dunque, e questo sì che è merito. 5
ore alla settimana oltre le lezioni, tutti quanti, e vedete come i
dirigenti potrebbero riorganizzare le funzioni in modo chiaro, senza
liti e senza malumori.
Salvaguardando la libertà d'insegnamento, ci sono delle cose che
TUTTI devono fare e che non fanno, tutti si devono aggiornare, tutti
devono studiare, tutti devono insegnare sempre meglio, tutti hanno
delle funzioni da svolgere nella scuola, non solo alcuni.
Passiamo dalla padella alla brace, a scapito del bilancio
complessivo, anche in termini di risultati.
Altra banale considerazione: è necessario mutare completamente il
percorso formativo e selettivo che ci porta in cattedra, è quello
oggi che fa acqua da tutte le parti.
Per citare sempre la Finlandia: in quel paese è più facile diventare
magistrato che insegnante. E ci chiediamo come fanno a non avere la
valutazione in servizio? Che vuoi valutare? Che vuoi premiare? Sono
superselezionati e superformati e continuano a formarsi sempre.
E ci chiediamo come può un dirigente chiamare direttamente i
supplenti? Perchè nella rosa di quelli che può chiamare ha la
certezza di avere professionisti di massimo livello e la sua
discrezionalità e a vantaggio non a svantaggio della scuola.
Nella rosa della graduatoria provinciale oggi abbiamo in Italia la
certezza di avere professionisti di massimo livello? No. E'
responsabilità loro? No.
Con quale processo formativo accedo ai concorsi e con quale processo
selettivo arrivo in classe?
Questo è il merito.
Cosa su cui nessuno si sta interrogando abbastanza.
E, una volta che mister caccotz arriva in classe con un bel posto di
ruolo, se non lo si immette in un sistema che ha già predisposta di
default, strutturalmente e non discrezionalmente, la funzione
permanente di studio, predisposta in termini di tempi e di spazio, e
di qualità, pensate di aggiustare la frittata dandogli 20 euro in
meno? Immagino che si sentirà con ciò motivato. Certo. Come no.
In Finlandia (scusate se insisto sulla Finlandia, la prossima volta
mi soffermerò sulla Colombia). Solo il 10% di coloro che
intraprendono il percorso formativo poi lo diverranno: tanto dura e
rigorosa è la strada e la selezione ferrea.
Il 90% che rimane fuori non scende in piazza ad alzar le barricate.
Con quel 10% la scuola ha un esercito di migliori, preparati,
selezionati con prove, tirocini, e poi continuamente aggiornati in
un rapporto strettissimo con la migliore ricerca educativa,
spessissimo le scuole sono vicine alle università, in un rapporto di
osmosi, e non col corso platone del cugino della dirigente. Cioè è
un sistema non necessita nemmeno di valutazioni.
La docente che dice "ne ho di bisogno", o yesse o bisinissi, (e ne
abbiamo nei collegi docenti) non è mica responsabile del suo essere
arrivata a scuola così: è stata formata e selezionata con un
procedimento evidentemente mediocre, su cui nessuno si azzarda a
mettere le mani, come mediocre è la preparazione che le hanno
trasmessa e mediocre sarà il suo insegnamento.
In questo "doppio canale" che si apre davanti a noi, bravi da
premiare e asini da punire, miss "ne ho di bisogno", potrebbe essere
per assurdo, ma nemmeno poi tanto, una di quelle docenti che si
attiva per ore e ore a far quelle attività teatrali che tanto
piacciono ad alcuni docenti. Avere un carattere amorevole e
guadagnarsi il suo tot in più di stipendio e di merito con il plauso
non solo del dirigente, ma anche dei colleghi perché "è una persona
splendida".
Come potrebbe serenamente, sempre miss "ne ho di bisogno", insieme a
mister "ci ho detto", non far nulla di tutto ciò, entrare e uscire
dalla classe, trasferire tanto quanto di ciò che sa ai suoi alunni,
e anche di ciò che è, e prendersi quel po' del minimo stipendio, lo
stretto indispensabile e i suoi problemi può dimenticar.
Nessuno stimolo a far di più, se costruiamo una scuola in cui chi è
in basso non è chiamato o messo nelle condizioni di dover far di
più, in modo strutturale non discrezionale.
Ma c'è anche il terzo canale, la docente che magari è un'attrice
teatrale, o una giornalista seria, o un ricercatore, o una pittrice,
o un bravo scrittore, ad esempio chessò, la bonanima di Gesualdo
Bufalino, o Leonardo Sciascia, maestri elementari; costoro sarebbero
rimasti fuori dal misurino del merito.
Non ce li vedo ad aggirarsi tra i corridoi a preparar le
programmazioni d'istituto, non per pigrizia, ma perchè la loro
"funzione docente" era arricchita da ciò che erano e facevano fuori
dalla scuola, in modo decisamente estraneo a miss "ne ho di
bisogno", ricchezza che comunque portavano con la loro semplice
figura, dentro le classi. Accendendo fuochi e non riempendo pozzi. Che
ne pensate?
Credo che gran parte del lavoro di riforma dovrebbe farsi nella
formazione e nella selezione e nella immissione in ruolo dei
docenti. Basterebbe quello, dal mio punto di vista.
Certo non accende le folle e non sazia le pance dei demagoghi, ma
questa è la prima cosa da affrontare.
Come è arrivata in cattedra miss "ne ho di bisogno"? Per pura
coincidenza? Per raccomandazione? Per inefficienza dei sistemi
selettivi? Su entrambi i tre motivi si può incidere per cambiare la
scuola.
Che dico arrivata in classe?..in Finlandia non sarebbe arrivata
nemmeno alla laurea.
Però invece che evocarla, studiamola la lezione finlandese. Con
curiosità, con umiltà.
Ripeto: solo il 10% di coloro che studiano da docenti arrivano in
cattedra col ruolo. L'altro 90% poi non staziona per anni a far le
guerre contro le "ingiustizie e i ladri che non gli danno il ruolo
che di diritto gli spetta perché in passato si era fatto così ed è
una grave ingiustizia che oggi arrivo io e mi lasciate fuori!".
Facciamoci qualche domanda poi sui modelli d'istruzione e sui
sistemi sociali in cui insistono.
Paesi divisi, frammentati, privi di valori comuni e condivisi
producono sistemi scolastici divisi, frammentati e privi di valori
comuni. Quale che sia la riforma. Perché la scuola è un sottosistema
sociale, non una navicella spaziale in orbita.
Ecco, osserviamoci con onestà: il modello di scuola che viene fuori
dalle 136 pagine, con idee così frammentate, con tutto e il
contrario di tutto, con il colpo al cerchio e poi alla botte, è
esattamente lo specchio sottosistemico della confusione e della
frammentazione del Paese. Un paese retto dalla diffidenza che
ingenera l'abuso del controllo, dico l'abuso perché è solo
nell'abuso che poi la risultante è il nessun controllo, dalla
fazione, dall'invidia, dal giramento della frittata, dalla furbizia,
dall'assenza di nessuna logica, ripeto, sistemica.
Sarebbe il caso di ricordare anche che la scuola è un ambito
educativo, le logiche di sopra dovrebbe bandirle, non perché fan
parte della narrazione dell'educazione, ma perché ci crede davvero e
le rappresenta organizzandosi in modelli sistemici che riflettono i
portati educativi. La scuola è un ambito che funziona quando è
basato sull'ottimizzazione della relazione, della fiducia, della
cooperazione, della costruzione comune con tutti in tasselli, non
sulla farneticazione della competizione: dirigente/docente o
docente/docente.
Tale competizione in nuce già c'è ed è esattamente quella che non
funziona.
Alzi la mano chi non ha assistito a scene degne delle cattiveria di
una sceneggiatura di Lars von Triers, per i rancori, i dissapori che
si generano intorno a certi meccanismi, in alcune contrattazioni
d'istituto per aggiudicarsi le funzioni strumentali.
Piuttosto che eliminarli li vogliamo sublimare e potenziare tali
meccanismi?
E allora cosa voglio, l'uniformità? Certo che no, voglio la serietà,
voglio la professionalità anche nell'organizzazione scolastica,
voglio stabilirla a monte con regole certe e chiare la
differenziazione del lavoro, perché sarebbe meglio lavorare su una
diversa organizzazione nel sistema scuola, fondata sulla
diversificazione della carriera per funzioni, non per discrezione.
Voglio introdurre la progressione di carriera come frutto di un
combinato disposto di criteri e di percorsi certi e obiettivi.
Sarebbe un sistema più professionale, più efficace...più, diciamolo
finalmente: moderno.
Come dimostrano i sistemi migliori.
Allora sono contro la valutazione dei docenti? No, ma aspetto
qualcuno che la sappia fare. Non esiste un sistema valutativo dei
docenti al mondo efficace al tal punto da avere ricadute positive
sulla qualità del sistema. Esistono buoni sistemi basati sulla
valutazione e autovalutazione delle scuole.
Esistono poi le eccellenze, i fari nel cielo stellato delle scuole
del mondo. E questi, vedi che combinazione, non hanno sistemi di
valutazione. Insistono in modo massiccio sulla eccellenza della
selezione e della formazione dei docenti e li fanno studiare, o
meglio, ricercare TUTTI, non alcuni sì e alcuni no, aumentando lo
stipendio ad alcuni sì ed altri no perché alcuni studiano ed altri
no. Tutti devono studiare.
Ma organizzando il sistema in cui tutti lavorano e bene, in cui
tutti studiano, senza stupirsene, in cui tutti sono in flusso
diretto con le famiglie e il Paese: e si può fare. Non semplicemente
aprendo le scuole.
Voglio spremermi le meningi per mettere in piedi un sistema guidato
da intenti unitari, cooperativi, collaborativi. Non divisivi e
competitivi.
Non per afflati ideologici, ma perché son di questo tipo le scuole
che funzionano.
In fondo è il desiderio di creare una scuola unita, che rifletta il
desiderio di avere un paese unito. O, viceversa, creare una scuola
unita che cresca su basi diverse le nuove generazioni.
E non a casa uso una parola a me cara: unità.
Di intenti, di valori.
Non uniformità, unità.
(Parentesi personale. Mi dico e dico ai miei colleghi che sarà
sempre più difficile bandire odio, prepotenza, rancore e invidia
nelle nostre classi, educare faticosamente i nostri allievi a
bandirli, se saremo avviluppati in un vortice sistemico che genera
per default invidia, rancore e prepotenza.
Personalmente non ho mai provato invidia o rancore nei confronti di
colleghi che facevano più di me per la scuola. Sono scelte e per
fortuna che ci siano, mi son sempre ripetuta. Mi è sempre
interessato dedicare le mie energie alla classe dentro la mia
scuola. E alla politica, fuori dalla mia scuola, per la Scuola. E
nemmeno ho mostrato rancore per docenti che arrancavano in classe.
Non so, o forse sì, dovrei chiederlo a loro e questo mi conforta e
mi ha sempre confortato, il lavorare insieme. Cercando di
coordinarmi il più possibile con tutti, con un sorriso. E' per
questo che si diventa insegnanti. Anche per questo.
Coi colleghi, coi dirigenti, con gli alunni. Bandire l'invidia. O la
furbizia. Ammalata di buonismo? Può darsi, ma anche di sincerità.
Perché non l'ho mai mandata a dire a nessuno, per sincerità, non per
altro)
Invece quello che leggo tra le righe del dossier della "buona
scuola" non è una "scuola buona", è una scuola basata,
involontariamente ma significativamente, sulla disunità, sulla
disorganicità, sulla divisione. Perché
errati sono i presupposti. Attenzione, in buona fede, ma presupposti
errati. Disorganico è tutto.
Questo non significa, per l'argomento che sto trattando adesso, il
merito (tralasciando i mille altri) giustificare chi non sa lavorare
e ignorare chi sa lavorare.
Ma significa recuperare in modo certo il primo e potenziare il
secondo, con regole, non con giudizi.
Merito? Ho il sospetto che, in un Paese divenuto una Babele di
significati e di interessi contrapposti, ciascuno intenda il merito
modo proprio.
Per me una riforma che punta al merito fa in modo che arrivino a
scuola i docenti migliori, per competenza, trasparenza e selezione
dura.
Eppure oggi non siamo in grado di formarli ne' di selezionarli. Il
reclutamento dei docenti è la vera croce della scuola.
Una riforma che punta al merito fa in modo che vi sia un profondo
cambiamento nella scuola, non di facciata, di profondo cambiamento,
altro che conservazione, mettendo in piedi sistemi organizzativi
moderni, aggiornati, professionali e mutando i paradigmi, non i
corollari. E per far questo si devono operare necessarie scelte di
sistema, non di accessori.
Riforma della formazione dei docenti (a partire dai contenuti e
dalle competenze necessarie), riforma del reclutamento, riforma dei
cicli, nuovo contratto dei docenti con diversificazione delle
carriere per funzioni, chiarezza degli obiettivi e dei mandati
educativi della scuola. Cose che nessuno vuol fare, costa e
sindacalmente non rende.
Cosa deve fare la scuola: fornire competenze di base per comprendere
il mondo? professionalizzare forze lavoro? crescere dei cittadini?
fornire dei valori? abbattere le diseguaglianze? coltivare il
pensiero divergente? Tutto questo insieme?
Per ciascuna di queste domande di sono provvedimenti conseguenti. Io
leggo di tantissimi provvedimenti ma non trovo le domande relative e
nemmeno i processi chiari.
Non è un cambiamento moderno ed efficace mettere in mano la
bacchetta al preside. E' ciò che già accade oggi in forma minore.
Crea caos e divisione. E' pura conservazione, questa sì.
Questa proposta non cambia nulla, acuisce alcune debolezze. Non
innova. Non affronta l'innovazione dal profondo delle questioni
educative del terzo millennio. Le quali sono le grandi assenti nelle
136 pagine del dossier.
Ci sono alcune idee ma sono idee marginali, non di sistema, e quanto
ai contenuti: cambia poco se, insieme all'arrivo della rete nelle
scuole, o all'inglese, o alla storia dell'arte, dato comunque
positivo se si realizza, cambia poco se non si affronta il problema
dell'innovazione metodologica e di paradigma in relazione alla rete
e al digitale. Scusi prof, che vuol dire?
Cioè, possiamo anche crescere degli smanettoni, ma altrove si stanno
educando i padroni della rete e dei saperi in rete, non gli utenti o
gli operai della rete.
E se non si affrontano i problemi cognitivi connessi al massiccio
uso in ambito didattico del digitale cambierà qualcosa sì, ma in
peggio.
Esempio. Se in Finlandia, e che palle ancora loro, hanno una
presenza massiccia nelle scuole di attività manuali, falegnamerie,
laboratori, orti, non è per puro amore della tradizione, o dei bei
tempi andati, no, è innovazione allo stato puro. La ricerca più
avanzata ha provato che scrittura manuale e attività in cui si
manipola con le mani attivano i processi cognitivi e accelerano
l'apprendimento e la memoria.
Il rischio connesso con l'uso massiccio del digitale in età
infantile è il mancato sviluppo delle sinapsi. Se non è accompagnato
con eguale se non maggiore attività manuale.
Queste cose i valenti generatori automatici di belle idee le sanno?
O continuano a ritenere la ricerca educativa, la sperimentazione, il
monitoraggio, condotti fianco a fianco alle scuole, coi docenti, un
optional e non la ragione reale per cui gli altri sistemi
progrediscono?
SI chiama progresso ed è basato sulla scienza, da Galileo in poi, il
progresso comporta ricerca e sperimentazione, con metodo, cioè
altissima professionalità. Insomma
l'abc che si trova nelle prime pagine di un libro scolastico di
scienze anche alla scuola elementare.
Il progresso si basa su metodo scientifico che scopre e poi la
società applica. Noi cosa stiamo applicando? Vale anche per i
sistemi d'istruzione. Bisogna affidarli a scienza, ricerca,
sperimentazione e addetti, non solo alle belle proposte di ciascuno
di noi. Così si progredisce.
Cosa? Boh. Il merito. Ok, per avere merito bisognerebbe entrare nel
merito, avendone merito. E non è un gioco di parole.
La folla si sa, urla Barabba e Barabba sia, Merito, Merito e merito
sia. Che non coincide con valutazione. Accettiamo sto merito per i
docenti quantificabile in premialità di stipendio in base a qualche
criterio di produttività qualitativa o quantitativa che sia.
I fallimenti li vivranno i vostri figli. Ahimè, non tanto i docenti.
L'Italia fra 20 anni potrebbe essere come gli Stati Uniti di oggi. E
te ne lamenti? E' la prima potenza mondiale!
E' il paese con le più profonde diseguaglianze. Nascono con la
scuola? Sì, nascono con la scuola, 50% di dispersione scolastica,
ripeto.
Merito. Ok. La parola è di moda, e mi starebbe pure bene.
Magari fosse accompagnata con la parola competenza, a tutti i
livelli. Io l'attenzione a concentrarsi sulle competenze non lo sto
vedendo. La cerco ma non la trovo.
Vedo che le competenze da valutare son sempre quelle altrui, non le
proprie.
Sento parlare di innovazione didattica, cioè di cose di una
delicatezza immane, persone che non sono mai entrate in una classe,
ma nemmeno in un laboratorio di innovazione, o in un dipartimento
universitario, e nemmeno, a buttarla terra terra, in una qualunque
azienda di software per l'innovazione didattica. Ne parlano così, a
casaccio, gli è piaciuta l'idea. "Modernità, cambiamento".
Apprendisti stregoni.
Merito. Boh.
Merito. Boh. Tutti parlano del merito o di valutazione nella scuola
senza averne merito, cioè senza avere la vaga idea di cosa sia la
valutazione nei sistemi d'istruzione, interna o esterna che sia.
Concludiamo, so di combattere contro i mulini a vento. Posto che
arrivi sto modello di valutazione basato sul merito, non vorrei però
passare per la figlia della serva della Pubblica Amministrazione:
magistrati, deputati, medici della mutua, senatori, chi ne valuta e
differenzia lo stipendio in base al "merito"?
Nessuno mi dica che un deputato o un senatore vengano valutati dai
cittadini perché poi possono non essere rieletti.
Non è più detto che li eleggano i cittadini. Ma comunque non
regge, intanto che stan là a non far nulla o a far poco e male o a
far bene mi pare che li paghiamo tutti allo stesso identico modo, e
chi si indigna della mancata valorizzazione del povero deputato? Gli
corrispondiamo un bel po' di soldi comunque, sia ai Razzi che ad
altri no? E lo stipendio loro è uguale identico per tutti: quelli
che fanno e quelli che non fanno.
A me non sta bene. Come dice la voce del popolo, mal comune mezzo
gaudio. La faccio breve e torno alla domanda iniziale. Banale e
demagogica quanto basta.
Per adeguarci a questa voglia propositiva tutta incentrata sul totem
Merito, differenziamo in base al tempo impiegato, al cv, alla
formazione permanente e alla produttività anche magistrati, deputati
e altri ancora?
Ma, soprattutto i deputati e i senatori.
E aggiungo anche che è molto più semplice valutare il lavoro di un
deputato, rispetto al trovare i criteri di valutazione
del'insegnamento.
Nella scuola certe scelte non funzionano.
Nulla di ideologico o sindacale o politico.
Semplicemente non funzionano, lo prova il dato che là dove si è
fatto c'è il disastro. E non han nulla di meritorio, di rinnovamento
o di modernizzazione quelle idee. Sono idee vecchie, fallite già da
tempo.
Tutti a cantar le lodi del sistema finlandese, ci fosse un cornuto
che si mette là a capire che fanno; per essere quel che è, il
sistema finlandese ha adottato provvedimenti di segno letteralmente
opposto a quelle poche idee e confuse che vorremmo applicare adesso.
Tutti a dire che classifiche e numeri non sono fatti per la scuola
democratica (non per idea romantica o geni ribelli, ma perchè così
mostrano le evidenze empiriche in tanti paesi, son le scuole
democratiche e basate sulla cooperazione, ma ad alto tasso di
formazione e selezione dei docenti all'ingresso, quelle che stanno
ottenendo i miglioramenti maggiori) e poi di fatto non si propone
altro che un sistema che reca con se classifiche, numeri, pagelle,
voti, premi, e che però imbarca in una sola botta tutti quanti con
lo stesso identico metodo che ha portato in classe il meglio e il
peggio possibile sfornato dai valenti atenei italiani.
Tutti in classe. Merito?
Sistemi vecchi, proposte vecchie, che mostrano spietatamente una
cosa: alcune di queste proposte son pensate da gente inesperta. E
declinate alla meno peggio. Della scuola rivelano il ricordo, non la
conoscenza, ne' da operatore della scuola, ne' meno che mai, in
termini di complessità, da esperto di sistema. Annusano qualche
proposta di modernità vista qua e là, ma non verificata, studiata,
calata a casaccio senza verificare le ricadute nelle dinamiche
didattiche e pedagogiche.
Non ho ancora visto organiche proposte innovative di progettualità
didattica, di obiettivi pedagogici, di perseguimento innovativo e di
analisi delle competenze da trasferire.
Non ho letto dei nuovi paradigmi di trasmissione o meglio, di
creazione della conoscenza, che si stan sperimentando anche in
Italia in relazione agli ambienti digitali didattici.
Non ho letto della necessaria consapevolezza con cui condurre tutto
ciò.
Dilettanti allo sbaraglio parlano di un "educatore digitale". Ho
prodotto la più grande risata, subito mutata in pianto, degli ultimi
tre mesi.
Immagino stavolta il nipotino della preside, neo laureato in
ingegneria informatica, pronto a correre per fare l'educatore
digitale senza avere mai masticato nemmeno come termine la parola
ambiente didattico digitale. Per dirne una.
Altrove, sempre in Finlandia ad esempio, ogni innovazione è
predisposta, sperimentata e monitorata dagli istituti di ricerca
universitaria educativa, spesso di concerto coi docenti di una
scuola, e spesso, son gli stessi docenti, che non han mai lasciato
la ricerca, ad essere ricercatori e fulcro d'innovazione.
Qua, alcuni valenti promotori del merito, pensano che la ricerca
educativa sia un libro stantio.
Non un laboratorio di alta innovazione.
Se no che ricerca è? C'è da dire che i corridoi delle facoltà di
scienza della Formazione, pullulano di vecchissimi parrucconi che
comunque non hanno manco una pubblicazione internazionale sui temi
che oggi sarebbero utili come il pane. E pochi sono gli istituti di
livello, anche per scarsità di fondi.
Comunque, sia come sia, tra cinque, dieci anni anni poi ne
riparleremo, quando ci sarà l'ennesima redde rationem e saremo
ancora una volta a rimorchio, in ambito scolastico, di quelli che ci
avran sorpassato.
Qualcuno mi dirà: perché non lo dici a Renzi? Già fatto, il punto
non è nemmeno dirlo a Renzi e convincerlo. Lo dirò spero meglio che
in queste righe con un documento di contributo alla discussione
sulle linee guida.
Il punto è convincere quella metà e oltre del Paese che in genere
urla Barabba e che non si convince.
Perché di scuola poco ne sa e poco ricorda.
E poi ti ripete, col ditino alzato: la scuola non è solo degli
insegnanti o dei "professoroni", è del Paese.
Certo, come le malattie, le scuole son per tutti, ma le malattie le
curano i medici.
Non le fattucchiere.
Per la scuola in particolare ce ne vorrebbe uno bravo.
Lo specialista, si diceva una volta. Oggi, agli amanti del merito,
tutto piace, tranne lo specialista.