Valutazione, conto alla rovescia
giorni l'invio alle scuole del modello Rav: fondamentale la formazione di presidi e prof. Ancora in bilico merito, istituti tecnici e piattaforma on line
di Alessandra Ricciardi,
ItaliaOggi 11.11.2014
Il ritardo dovrebbe finire nel giro di qualche giorno, in tempo utile per evitare che l'operazione possa se non saltare quantomeno essere compromessa nei suoi esiti. Il Rav, il modello di autovalutazione, che doveva essere inviato alle scuole a fine ottobre, è praticamente pronto, all'attenzione del ministro, Stefania Giannini, con l'obiettivo che sia inviato già in settimana, dicono rumors di viale Trastevere. Sarà l'avvio in concreto del sistema nazionale di valutazione che taglierà il suo primo traguardo a luglio, con la pubblicazione on line di tutti i rapporti di autovalutazione delle scuole.
Le cosiddette pagelle, rese pubbliche per la verifica interna ed esterna delle qualità e delle pecche di ogni istituto, su cui poi innsestare le azioni di miglioramento. Fondamentale per la buona riuscita del processo sarà l'azione di accompagnamento e di formazione dei dirigenti e dei docenti, che dovrà partire a dicembre. In queste ore ancora qualche dubbio, sollevato dagli esperti del Miur, attende di essere risolto direttamente dal ministro. Ci sono i parametri di autovalutazione predisposti dall'Invalsi che così come formulati renderebbero più difficile il lavoro nel canale della formazione tecnica e professionale, poiché sono stati tarati secondo schemi più classici, testati su scuola primaria e secondaria di stampo liceale. Una impostazione che penalizzerebbe le rilevazioni negli istituti in cui altri elementi, come il tasso di occupabilità degli
studenti, sono decisivi per delineare l'identikit della scuola.
Ma poi ci sono anche altri nodi più politici, come l'utilizzo dei dati Invalsi ai fini della valutazione dei docenti e dunque per gli scatti di merito che dal 2019 entreranno a regime. Una difficoltà non del tutto residuale è anche quella relativa alla predisposizione della piattaforma on line su cui le scuole dovranno riversare i dati. Visti gli incidenti informatici in cui il Miur in questi mesi è più volte incorso, ora a viale Trastevere procedono con i piedi di piombo.
Sono 148.100 i docenti che il governo conta di assumere dal 1°
settembre 2015. Ma siccome le nuove assunzioni non potranno
comportare alcun incremento dell'organico degli insegnanti, le
immissioni in ruolo, per il momento, non potranno fare altro che
coprire il turn over. E dunque, nella migliore delle ipotesi, dal 1°
settembre prossimo non potranno essere disposte più di 50mila
assunzioni a tempo indeterminato. È quanto si evince dalle schede di
lettura predisposte dal servizio studi della camera, ad uso dei
parlamentari che stanno esaminando in questi giorni il disegno di
legge di stabilità.
Il provvedimento, infatti, è stata calendarizzato in commissione
istruzione a Montecitorio per il prossimo 6 giugno (AC 26979-bis).
Il piano di assunzioni è stato ipotizzato dal governo (attualmente
non risulta che sia stato formalizzato in alcuna bozza di
provvedimento) «in modo da poter disporre di un team di docenti che
possa garantire le supplenze e il tempo pieno». Per fare fronte alle
assunzioni, sempre secondo il dossier del servizio studi, «la
relazione tecnica stima la necessità, per il 2015, di 1 miliardo di
euro - relativi ai primi quattro mesi dell'anno scolastico 2015-2016
- e, dal 2016, la necessità di 3 miliardi». Il fabbisogno, però,
potrebbe risultare inferiore, perché l'esecutivo conta di recuperare
300 milioni di euro dal blocco delle supplenze brevi. Dal 2016 in
poi le graduatorie a esaurimento dovrebbero cessare di esistere e il
reclutamento nella scuola dovrebbe avvenire solo per concorso. Il
condizionale è d'obbligo perché, sebbene l'intenzione del governo
sembrerebbe quella di assumere tutti i 150mila docenti dal 1°
settembre 2015, tale intendimento si scontra con il limite della
impossibilità di ampliare gli organici.
Scorrendo le schede illustrative, infatti, si scopre che gli
organici dell'autonomia e di rete devono essere costituiti nei
limiti previsti dall'art. 64 del decreto legge 112/2008 (convertito
con legge 133/2008), sulla base dei posti corrispondenti a
fabbisogni con carattere di stabilità per almeno un triennio sulla
singola scuola, sulle reti di scuole e sugli ambiti provinciali,
anche per i posti di sostegno, fatte salve le esigenze di
rimodulazione annuale». Ok per le assunzioni, dunque, ma a patto che
il numero dei docenti alla fine sia sempre quello: nemmeno un
insegnante in più rispetto ad oggi. E a fugare ogni dubbio ci pensa
sempre il dossier della camera quando dice che: «Deve, in ogni caso,
rimanere fermo il disposto dell'art. 19, comma 7, del decreto legge
98/2011 (convertito con legge 111/2011), in base al quale, a
decorrere dall'anno scolastico 2012/2013, le dotazioni organiche del
personale docente, educativo ed Ata della scuola non devono superare
la consistenza delle relative dotazioni organiche determinata
nell'anno scolastico 2011/2012, e deve essere fatto salvo
l'accantonamento in presenza di esternalizzazione dei servizi per i
posti Ata anche per gli anni 2012 e successivi».
Non solo dunque non bisogna andare oltre il numero massimo di
docenti e non docenti attualmente in essere, ma bisognerà anche
sottrarre da questo numero i posti dei lavoratori appartenenti al
personale Ata il cui lavoro viene attualmente svolto da personale
esterno.
La precisazione contenuta nel dossier sgombra il campo dagli
equivoci della prima ora: i tagli agli organici operati negli ultimi
anni continueranno a dispiegare effetti sotto forma di limite
massimo inderogabile al numero complessivo delle unità lavorative.
Pertanto, ad ogni nuova assunzione dovrà necessariamente
corrispondere un previo pensionamento. D'altra parte a questo
tendono le azioni legali poste in campo dai precari. La reiterazione
dei contratti a termine , infatti, è illegittima solo nella misura
in cui le supplenza vengano disposte su posti vacanti. Se i posti
vengono riempiti, a mano a mano che i titolari vanno in pensione, la
necessità della supplenze viene meno. E con essa la necessità di
reiterarle.