Tu chiamale, se vuoi, consultazioni

Si fa presto a dire “consultazione”. Realizzarla in modo corretto ed efficace significa rispettare un metodo che prevede di dar conto pubblicamente dei commenti e dei suggerimenti dei cittadini e di spiegare le ragioni alla base delle decisioni prese. Non è il percorso seguito finora dal Governo.

di Vitalba Azzollini, La Voce.info 18.11.2014

LE REGOLE DELLA CONSULTAZIONE

Le parole sono importanti, soprattutto se idonee a individuare i fini in vista dei quali vengono utilizzate. Qualora i fini siano diversi da quelli che la parola sottende, il cortocircuito concettuale che ne deriva rischia di produrre danni rilevanti. Qui si fa riferimento al termine “consultazioni” che, di recente, ha connotato iniziative con le quali il Governo ha chiesto alla collettività di esprimersi su taluni provvedimenti: riforma della pubblica amministrazione, già conclusa, e riforma della scuola, tra le altre. Secondo il significato delineato nella comunicazione UE Com (2002) 704, le consultazioni realizzano “il processo tramite il quale la Commissione desidera che le parti interessate all’esterno contribuiscano all’elaborazione delle proprie politiche prima che intervenga qualsiasi decisione della Commissione”. Sono una parte essenziale del cosiddetto ciclo della regolazione, secondo quanto previsto nel documento “The Oecd Report on Regulatory Reform System”. In Italia, sono menzionate dalla legge n. 246/2005 (modificata dalla legge n. 180/2011) e dal regolamento n. 170/2008, in materia di analisi dell’impatto della regolamentazione (Air), della quale rappresentano “un passaggio chiave”. I “criteri generali e le procedure della fase della consultazione” avrebbero dovuto costituire oggetto di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, che non è mai stato emanato; né vige alcun obbligo di ricorrere a questo strumento.
Se è apprezzabile l’intento del legislatore di raccogliere comunque i pareri dei cittadini riguardo alcune proposte di regolamentazione, tuttavia, sussiste qualche dubbio sul fatto che poi si tenga utilmente conto degli apporti così pervenuti. Va, quindi, verificato se il metodo adoperato sia idoneo a conseguire la finalità di un concreto coinvolgimento degli interessati nel processo di regolamentazione: ciò si realizza quando i cittadini vengano posti in condizione non solo di esprimere opinioni, ma soprattutto di sapere se queste siano state effettivamente valutate e in quale misura e secondo quale modalità abbiano concorso alla decisione finale.

I principi forniti in varie sedi internazionali (oltre ai documenti già citati, ad esempio, il Libro bianco sulla governance della Commissione UE e la pubblicazione Oecd “Citizens as Partners: information, consultation and public participation in policy-making”), le normative vigenti in altri paesi (ad esempio negli Usa Administrative Procedure ActExecutive Order n. 12866 e n. 13563; nel Regno Unito Code of Practice on Consultation; in Australia Best practice regulation handbook),così come le esperienze lì maturate, offrono importanti indicazioni procedurali e, quindi, essenziali elementi di giudizio. Innanzitutto, è opportuno che sul sito web dedicato alla consultazione siano resi noti i pareri espressi, non solo perché i partecipanti possano confrontarsi circa le rispettive idee (“an open exchange of ideas”) arricchendo il patrimonio informativo comune, ma anche al fine di realizzare una piena trasparenza del procedimento nel suo complesso. Un efficace coinvolgimento dei cittadini si fonda soprattutto sulla comunicazione delle motivazioni in forza delle quali si è compiuta una data scelta normativa: ciò richiede che venga reso noto come su di esse abbiano influito gli apporti forniti, in modo da garantire che questi ultimi siano stati adeguatamente valutati, e comporta che siano pubblicate le argomentazioni in base alle quali il regolatore abbia ritenuto di recepire o meno le osservazioni pervenute.
La divulgazione di queste informazioni, da un lato, è funzionale a stimolare il senso di appartenenza (sense of ownership) dei singoli alla collettività; dall’altro, incentiva la partecipazione ad altre consultazioni, favorita dal riscontro che il dispendio di tempo ed energie profuso sia davvero servito e non abbia invece rappresentato un mero pro-forma, ossia un atto di politica fittizia. Infine, obbliga a rendere conto alla collettività dell’esame svolto sugli effetti delle diverse opzioni di intervento e della scelta operata, in quanto più idonea al raggiungimento degli obiettivi prefissi, dettagliando gli esiti della valutazione comparativa compiuta anche in relazione alla stima dei costi e dei benefici. Il metodo indicato è atto a scoraggiare decisioni politico-normative improvvisate e non adeguatamente supportate da un’esaustiva analisi delle implicazioni che ne derivano, nonché dell’impatto che sono destinate a produrre: una concreta trasparenza conferisce credibilità all’operato del legislatore.

IN ITALIA SI FA COSÌ

In Italia, a questi criteri procedurali si attiene l’esperienza maturata negli anni dalle autorità indipendenti, che hanno ampiamente utilizzato le consultazioni per la migliore definizione dei propri atti di regolazione. In particolare, le autorità provvedono alla pubblicazione delle osservazioni e dei commenti espressi dai partecipanti; delle motivazioni poste a fondamento dell’accoglimento o del rifiuto delle proposte pervenute; degli eventuali emendamenti apportati al testo originario in considerazione dei contributi resi. Rispetto a questi principi, quale giudizio si può dare sul metodo delle consultazioni promosse di recente dal Governo? Se si parte dall’assunto che, per essere realmente efficaci, le iniziative volte a coinvolgere gli interessati nei processi di regolazione richiedono la pubblicità dei presupposti sui quali le soluzioni proposte risultano basate nonché delle modalità secondo le quali i pareri forniti vengono o meno considerati e delle valutazioni svolte al riguardo, le conclusioni scaturiscono facilmente. L’esposizione su un sito web di un generico progetto di disciplina, che non sia supportato da studi e previsioni di fattibilità, così come la successiva semplice divulgazione della sintesi delle opinioni emerse, che non consenta alcuna verifica in merito a quanto pubblicato, non solo priva il concetto di “consultazione” legislativa del senso che lo connota, ma svilisce altresì l’intento di far contare effettivamente la cittadinanza. Soprattutto, priva l’iter della regolamentazione di quella trasparenza che costituisce la bussola di ogni governante che miri ad accrescere la propria accountability. La cultura dei processi decisionali inclusivi è ancora carente nella politica nazionale che, tuttavia, continua a definire “consultazioni” iniziative che sarebbe più coerente qualificare come meri sondaggi: le parole sono importanti, lo ribadiamo.

 

* Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono l’istituzione per cui lavora