Difendersi e non offendere. Stare insieme con sensibilità e rispetto. Affrontare il dispiacere dell’abbandono. E poi, conflitto e violenza: c’è differenza? Oppure: come dire tutta la rabbia che si ha dentro, senza ferire? E’ giusto che queste cose si imparino a scuola? Gli esperti dicono sì, e prestissimo, perché la violenza contro le donne - ma anche i soprusi contro chi è percepito più debole o diverso - sono esito di relazioni educative e di modelli familiari e sociali che si impongono fin dalla culla. «Gli stereotipi mettono radice già quando si vede un neonato e ne si loda la forza, mentre per una femminuccia si esalta la bellezza», dice Silvia Carboni, psicologa, responsabile del servizio minori della Casa delle Donne di Bologna.
I programmi nelle scuole
Nelle scuole italiane qualcosa si fa, a volte tantissimo, ma gli interventi sono, come spesso succede, a macchia di leopardo. Ci sono progetti dei singoli istituti, che vedono coinvolti i ragazzi e programmi di ampio respiro, proposti da associazioni e istituzioni locali (Guarda il video autoprodotto). Terre des Hommes è dal 2000 nelle primarie con un libro, nato in Belgio e adattato ai piccoli lettori italiani - «Mimì fiore di cactus e il suo porcospino» - diventato un best seller educativo della Giunti, che parla di rispetto degli altri e differenze attraverso i fumetti e un linguaggio giovane. Ha già raggiunto decine di migliaia di bambini in cinque regioni. E recentemente è stato integrato per i ragazzi delle medie con episodi su grooming online (adescamento) e cyber bullismo. E poi ci sono i corsi sulla violenza di genere e l’affettività realizzati in
collaborazione con Soccorso Rosa, centro antiviolenza dell’ospedale San Carlo di Milano, cui in due anni hanno preso parte 1.300 ragazzi della città e provincia, insegnanti e genitori, psicologi e giuristi, per ragionare di affettività e rispetto dell’altro, mirando alla prevenzione di fenomeni che hanno proporzioni da emergenza nazionale, con quei numeri (80 vittime di amori malati nell’anno in corso, 128 nel 2013; e milioni di gesti violenti) che risuonano dolorosissimi nella Giornata indicata dalle Nazioni Unite come simbolo della lotta globale alla violenza sulle donne. I manuali come «Di pari passo», scritto da Nadia Muscialini, responsabile del centro antiviolenza del san Carlo. Corsi per formare i ragazzi più grandi perché intervengano a aiutino il percorso dei più piccoli: «E’ la peer education: il messaggio veicolato dai pari, che arriva più diretto e più
potente», dice la psicologa Carboni. Convinta che l’educazione al genere debba partire dalla materna, dalla primaria, «insieme ai diritti dei bambini e al rispetto di tutti. Possibilmente coinvolgendo anche educatori uomini, proponendo modelli alternativi». Corsi gratuiti per le scuole, resi possibili da raccolte fondi, campagne via sms, contributi di privati, Comuni, consigli di zona.«Interventi che bisognerebbe mettere a sistema: abbiamo proposto percorsi nazionali al Miur, centrati su attività con i bambini e sulla formazione dei formatori», dice Paolo Ferara, responsabile dei progetti educativi di Terre des Hommes. Pensa a una materia come «Educazione alla cittadinanza», Ferrara, da proporre magari con nuove modalità, che portino tra i banchi non solo discorsi sul rispetto delle regole, ma sul rispetto degli altri, delle relazioni, delle differenze di genere.
L’educazione ai sentimenti e alle emozioni. «E anche l’educazione sessuale, argomento ancora tabù - dice - su cui c’è grande resistenza da parte di gruppi e associazioni che temono un approccio troppo “aperto” al tema».
L’approccio trasversale del Miur
Ma quella dell’«ora di...» non è la strada scelta dai vertici dell’amministrazione scolastica: «Serve un approccio trasversale, perché nelle scuole violenza e discriminazione siano messe al bando da tutti», sostiene Giuseppe Pierro, dirigente Miur. E approfittando dell’occasione «mediaticamente importante» della settimana contro la violenza di genere, è di queste ore la presentazione dell’accordo tra direzione generale dello Studente del Miur e dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri che prevede una serie di attività «per contrastare intolleranza, violenza e ogni genere di discriminazione», dice Pierro. C’è innanzitutto un’azione di sensibilizzazione, perché le scuole di ogni ordine e grado si attivino per stringere accordi e realizzare iniziative, eventi, progetti a tema. Il Miur e l’Unar hanno emanato un bando che prevede
un finanziamento di 500mila euro da distribuire alle scuole. Un’apposita commissione valuterà i progetti più meritevoli e provvederà all’assegnazione dei fondi. «Riteniamo che sia una strada più efficace rispetto ai finanziamenti a grandi associazioni che magari escluderebbero alcuni attori. Abbiamo già fatto o sono in corsi collaborazioni con Save the children, diverse associazioni di donne, ma sono le scuole che devono diventare centri di applicazione territoriale di progetti dedicati». Attingendo alla dote di 10 milioni di euro stanziati con il decreto Carrozza (il precedente ministro dell’Istruzione) per la formazione dei docenti - destinato a incrementare le competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità, insieme ad altre competenze relative a disabilità, cyberbullismo e competenze digitali - si sono
destinati fondi a formare figure di vertice di ministeri e Uffici scolastici regionali; e insegnanti, nell’ambito della formazione obbligatoria, anche attraverso un portale («pronto, ma ancora in attesa del nome ufficiale», dice Pierro), per la formazione a distanza. «E’ la prima volta che si mette mano alla formazione dei docenti perché si formino competenze irrinunciabili, come la mediazione dei conflitti», dice Pierro. Che anticipa anche la volontà del Miur di rispolverare il progetto «Polite», varato nel ‘96 per mettere mano ai libri di testo, per scovare discriminazioni celate tra le pagine, frutto di un retaggio culturale ormai superato.