La valutazione: strumento utile. di Anna Crovo, ScuolaOggi 26.3.2014
Non pare davvero più
possibile andare avanti con una scuola pubblica che, come si sente
dire provocatoriamente, pare essere il luogo più “privato” della
terra. Luogo di cui nessuno sa niente, o quasi. Niente le famiglie,
niente gli insegnanti o i Presidi di altre scuole, niente il
Ministero. Luogo dove ognuno se la cava (per lo più) da solo, e dove
raramente esiste un linguaggio comune o criteri comuni per valutare
quanto viene fatto. Se ne è discusso recentemente a Palazzo Lombardia, a Milano, in occasione della presentazione del volume “La valutazione della scuola. A cosa serve e perché è necessaria all’Italia”, Editori Laterza, che offre una ricostruzione di quanto è avvenuto ed avviene nel campo della valutazione, a livello internazionale e nazionale. Un bel lavoro, denso di dati e di contenuti, curato e meditato; potenzialmente in grado di aiutare ad abbassare il livello della soglia ideologica che da anni caratterizza il dibattito sulla valutazione. Un tema incandescente, vissuto, da chi a scuola ci sta e opera, come una oscura minaccia (talvolta per la scarsa chiarezza con cui è stato presentato e per la totale mancanza di vere misure di accompagnamento). Ad animare il dibattito dell’incontro, il Direttore della Fondazione, Andrea Gavosto, insieme ad Attilio Oliva, Presidente dell’Associazione TREELLE, Anna Maria Ajello, nuovo Presidente dell’INVALSI, e Giovanni Biondi, Presidente INDIRE. Tra gli altri, due soprattutto gli interrogativi, a cui il Rapporto cerca di dare una risposta. Il primo: La valutazione è veramente uno strumento indispensabile? La domanda è legittima, risponde Andrea Gavosto. E addirittura inevitabile dopo anni e anni di dibattiti accesi, prese di posizione spesso ideologiche, false partenze e cambiamenti di rotta. E la risposta emersa dalla ricerca non è affatto scontata: la valutazione è uno strumento utile sebbene, aggiunge l’economista, non sempre necessario. In effetti, ricostruendo in modo dettagliato e comparativo quanto avviene a livello internazionale, nel campo dell’istruzione, troviamo da un lato paesi (per esempio Gran Bretagna, Francia e Spagna) che impegnano risorse, finanziarie e professionali, ingentissime per impiantare e implementare una Sistema di valutazione delle proprie scuole; altri, come la Finlandia, che invece non prevedono alcun tipo di valutazione, Finlandia che pure vanta uno tra i migliori sistemi scolastici al mondo. La differenza, in sistemi come quello scandinavo, è fatta dalla qualità del corpo docente: reclutato in maniera selettiva, formato continuativamente, che gode di un prestigio sociale estremamente elevato. Quando la scuola ha la capacità di attirare i migliori laureati nei suoi ranghi e di coltivarli professionalmente è chiaro che le cose funzionano bene, almeno tendenzialmente, e si può anche fare a meno di un sistema di valutazione articolato. Purtroppo per l’Italia, non è questa la realtà del nostro Sistema di istruzione. Il reclutamento dei docenti sarà, certamente, la partita fondamentale con la quale fare i conti, possibilmente in tempi non biblici. Oggi, tuttavia, il nostro paese non può fare a meno di un sistema di valutazione che racconti, soprattutto a chi la scuola la fa e la vive quotidianamente (sia operatori che fruitori), quali sono i punti di forza e i punti di debolezza, dove intervenire, dove lavorare, cosa aspettarsi sul piano dell’effettiva qualità. Uno strumento per assicurare tenuta, ma anche effettiva equità al Sistema scuola. Il secondo: Che cosa è veramente utile valutare della scuola? E con quali strumenti? Non si può parlare di valutazione in astratto, risponde la Ricerca, facendo riferimento alle esperienze internazionali e all’ampia letteratura del settore. In concreto, è necessario valutare ciò che si ritiene importante. “Ogni modello di valutazione riflette una idea di scuola”, dice giustamente Gavosto, presentando questo secondo cruciale punto della Ricerca. E’ quindi indispensabile partire da un’idea di scuola (che sia definita in modo condiviso e che sia duratura), per far da essa discendere un sistema di valutazione coerente. Dei quattro possibili livelli di valutazione esistenti (la valutazione degli studenti e/o degli apprendimenti, degli insegnanti, delle singole scuole - e con esse dei Dirigenti scolastici - e, infine, del “sistema”) , la Ricerca ritiene oggi prioritario concentrare sforzi e attenzioni sulla valutazione delle scuole. Da un lato, infatti, la valutazione di sistema è ormai prassi abbastanza accettata nelle nostre realtà. Sono passati 14 anni dai primi test OCSE PISA e anche in Italia non è più tema di controversia il fatto che sia necessario un esame generale delle tendenze del sistema. Mentre, per la valutazione degli insegnanti, una grande partita ancora da giocare, i tempi paiono essere acerbi e finalità e strumenti tutti da definire e chiarire. Alla luce delle molte esperienze, nostrane e internazionali (di cui la Ricerca dà ampio resoconto: per l’Italia, dal passaggio complicato e traumatico del “concorsone” Berlinguer degli anni 90, alle recenti sperimentazioni Gelimini sul merito; all’estero, dalle esperienze americane a quelle scandinave), pare possibile, sul tema spinoso della valutazione dei docenti, condividere alcune conclusioni certe, dice Gavosto: La prima: E’ legittimo pensare, dal punto di vista statistico e dal punto di vista pedagogico, che un sistema di valutazione esterna non sia in grado di individuare il contributo del singolo insegnante (e che alla fine la cosa importante da considerare e analizzare sia il lavoro di squadra). La seconda: E’ pericoloso legare la valutazione, gli strumenti di valutazione, ad un sistema premiale. In primo luogo, perché induce a snaturare la funzione della valutazione, che è quella di offrire uno strumento (fondamentale per i docenti e per i Dirigenti), un termometro di cosa funziona e non funziona nella scuola; poi, perché induce a boicottare o, peggio, a manipolare i risultati; infine, perché può contribuire a scatenare conflitti, anche sotterranei, all’interno dei contesti scolastici. Infine, la terza: E’ opportuno valutare le scuole, il modo in cui queste lavorano, creano sistema, fanno squadra, appunto. Prevedendo, nel caso delle situazioni più virtuose, da un lato, più ampi spazi di autonomia per le istituzioni (nella propria gestione, nella gestione del bilancio, nella conferma dei supplenti, nella selezione trasparente del personale), dall’altro, percorsi di carriera nella scuola, per i docenti. Rigorosa valutazione delle scuole e dell’intero sistema, dunque, conclude Gavosto, come obiettivi primari, ma in un’ottica di grande condivisione, di coinvolgimento di tutti i diversi attori, di trasparenza. Il Regolamento che crea il Sistema Nazionale di Valutazione, recentemente licenziato dal Governo Monti, dà, con la sua struttura a “tre gambe”, una netta primazia all’INVALSI, ma vede anche le scuole come comunità educanti e pensanti che si interrogano su come vanno le cose al loro interno. In quest’ottica, la valutazione esterna (realizzata attraverso i dati dei test nazionali e le visite di ispettori appositamente formati e incardinati dentro il Ministero) potrebbe essere intesa quale punto di partenza e ancoraggio, capace di evidenziare ciò che funziona e ciò che non funziona, e di dare l’avvio ad un processo di riflessione interno che porti all’adozione di piani di miglioramento. Tuttavia, per una corretta valutazione dell’intero sistema, conclude Gavosto, sarebbe anche necessario intendere l’INVALSI come ente terzo e autonomo dal Ministero; perchè possa in modo più indipendente valutarne l’operato e l’efficacia delle politiche seguite, rispondendo direttamente al Parlamento. Il ruolo dell’INVALSI Attesissimo, nel dibattito, il contributo di Anna Maria Ajello, che dell’Istituto nazionale di valutazione è neo Presidente, dalla quale sono arrivate riflessioni interessanti, che hanno offerto più di una “sponda” alle conclusioni della Ricerca. L’idea che si deve fare valutazione con gli insegnanti e non sugli insegnanti non è un difetto di buonismo, provoca infatti la Ajello, ma l’esito di decenni di ricerche e sperimentazioni portate avanti in tutto il mondo. L’unica strada percorribile è quella in cui gli insegnanti, capendo e riconoscendosi in quello che fanno, si sentano coinvolti e divengano protagonisti dell’azione (anche valutativa) intrapresa. L’INVALSI, aggiunge, ha avuto in questo un merito fondamentale: quello di aver indotto nelle scuole la riflessione sulla cultura della valutazione. E’ utile, si domanda poi, valutare gli insegnanti singolarmente? Ricerche ed evidenze, alcune vecchie di 20 anni, su “gruppi sperimentali” di insegnanti ,dicono che quelli di maggior successo sono quelli che
In altri termini: condividono, discutono, valutano (positivamente o negativamente) ciò che si fa in classe . Se il successo nei gruppi sperimentali deriva da queste modalità, forse ricondurre tutto al singolo rappresenta più rischi che vantaggi. Potrebbe essere questa, ipotizza, l’idea alla base degli interventi rivolti agli insegnanti. Quanto al ruolo dell’INVALSI come ente terzo, come proposto dalla Ricerca, per dare indicazioni alla politica, la Ajello appare scettica e prudente. “Le cose della scuola, dice, hanno tempi lunghi quando si vuole migliorare, e tempi rapidissimi quando si vuol far danno”. Compito principale dell’Istituto è quello di fare misure, dare dati che siano riconosciuti dagli insegnanti, dai destinatari come dati utili, intersoggettivamente condivisi dalla comunità scolastica. E con essi indurre le persone a fare percorsi di valutazione e di riflessione sulle pratiche di lavoro, non vuoti adempimenti . Il risultato appare possibile solo là dove alla base di questa raccolta c’è l’idea di una sensatezza dei dati stessi, della loro utilità per migliorare, di prossimità alla scuola reale; se c’è o si crea condivisione di senso, se si accompagna con misure che aiutino questo processo culturale radicale per la cultura scolastica, e anche per la nostra cultura diffusa. Altrimenti, provoca ancora, “tutti quei fenomeni di opportunismo, cheating o altro cui assistiamo (non solo in Italia) [e che] sono ampiamente giustificati,dal punto di vista del principio, anche se non apprezzabili dal punto di vista etico”. I dati INVALSI vanno interpretati, spiegati; le persone che li ricevono debbono poterli capire per usarli fino in fondo. E’ un limite dell’INVALSI, da affrontare e superare, ammette. Accogliendo su questo aspetto le critiche della Ricerca. Sul rapporto tra valutazione interna (autovalutazione) e valutazione esterna, la Ajello si mostra molto pragmatica. “Non credo ci sia un prima e un dopo”, dice. Partire dalla valutazione interna (per quanto basata su elementi meno affidabili, più superficiali) significa cominciare a porsi il problema e ragionare su quello che si fa, vincendo atteggiamenti di difesa. E significa anche creare i presupposti, una sorta di terreno arato, su cui la valutazione esterna può sviluppare le sue potenzialità. E’ questo il livello dal quale partire, conclude, per vincere gli atteggiamenti di difesa, dando al contempo sostegno e ascolto “alla solitudine della scuola e degli insegnanti”. Conclusioni L’idea della valutazione che emerge dalla Ricerca della Fondazione Giovanni Agnelli, come strumento di equità sociale e come leva per fa “ripartire la scuola”, appare per più versi intrigante. Da considerare e sperimentare ai vari livelli; soprattutto a livello di scuola. Si dovrebbe comunque uscire dal semplice meccanismo premiale delle ultime sperimentazioni italiane (che sa troppo di “condizionamento classico” di stile pavloviano: causa-effetto, per intendersi) e ridare al processo valutativo il ruolo che esso ha, ovvero quello di indurre riflessioni, identificare le aree di sofferenza e mobilizzare verso il miglioramento le (tante) risorse intellettuali che nella scuola ci sono. Magari evidenziando, recuperando per una riflessione comune, le esperienze di autovalutazione che da molti anni già vengono fatte, testimoni (buone o cattive) della effettiva messa in moto di un processo che potrebbe liberare la scuola di quella “opacità” che contraddistingue molte sue pratiche. |