Spending review, la scuola che insegna La Scuola superiore di economia e finanze (Ssef) del ministero forma i dirigenti pubblici anche sui risparmi dello Stato. Ma oggi costa quattro volte di più che nel 2001: il budget è arrivato a 16 milioni contro 4,4 di Marco Palombi, Il Fatto Quotidiano 22.3.2014 Sono reduce dalla “Giornata di ascolto della scuola”, organizzata a Roma dal Pd. Per me, in realtà, si è trattato di un mezzo pomeriggio, dal momento che sono stata in classe fino alle 14.20 e dunque sono arrivata all’incontro alle 15 inoltrate. Ma, si sa, quando si decide di ascoltare la scuola mentre la scuola lavora, il rischio è questo… Una delle cose che mi ha colpito è stato il ricorrere di una serie di affermazioni lapidarie e perentorie circa la necessità di accorciare di un anno il percorso scolastico. Diversi interventi hanno sottolineato che “siamo l’unico Paese a non finire a 18 anni”, scatenando peraltro la sentita reazione dei pochi che non considerano questo un semplice slogan – modernista ed europeista, due atteggiamenti vincenti al giorno d’oggi – ma una affermazione falsa, destituita di qualsiasi validità e quindi pericolosa, nel merito e nel metodo. Ma, anche questo si sa, la vigilanza non è pane per i nostri denti indeboliti da anni di assuefazione e di asservimento. Tra parentesi: ho anche sentito parlare di “normativa sui Bes”, come si trattasse di fatto definitivo e prescrittivo. Circolare e direttiva, questo è ciò che ufficialmente è stato emanato rispetto ai Bes: nulla dunque che abbia valore di legge, né che obblighi nessuno a fare alcunché. Peraltro lo stesso Miur ha raddoppiato la cautela sul tema, in seguito alle numerose critiche che la società scientifica, tra gli altri, ha espresso su questo argomento controverso. Ma noi docenti – più realisti del re – abbiamo da qualche tempo il vizio di anticipare, prevenire, attuando norme prima ancora che esse esistano di fatto; e, condizionandoci reciprocamente, senza nemmeno provare a capire cosa stiamo facendo, caviamo le castagne dal fuoco a chi combina pasticci di ogni genere e avrebbe la responsabilità di amministrare e governare il sistema di istruzione. Ma ritorniamo alla implicita, presunta, pressante richiesta dell’Europa di liberarci dell’ultimo anno del percorso liceale. Dove è scritto, chi lo ha detto? Proviamo a consultare Eurydice, la rete di informazione nell’Istruzione, istituita dalla Commissione Europea e dagli stati membri nel 1980, per incrementare la cooperazione nel settore educativo. I dati Eurydice del 2012 indicano che i Paesi dell’Ue si dividono – con una leggera prevalenza per i secondi – tra quelli che concludono il percorso delle superiori a 18 anni o a 19: finiscono a 18 Belgio, Irlanda, Grecia, Spagna, Cipro, Malta, Paesi Bassi, Austria, Portogallo, Romania, Francia, Regno Unito; terminano a 19 Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Italia, Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Polonia, Romania, Slovenia, Slovacchia, Finlandia, Svezia. In Ungheria e in Romania gli studenti che non continuano all’università fanno un anno in più di superiori, come accade in Grecia e Cipro; in Austria e nei Paesi Bassi vanno 1 o 2 anni oltre il limite dei 18. Questi dati in sé sono imprecisi, dal momento che esistono, in alcuni Paesi, differenze tra tipi di scuola, possibilità di prolungare il percorso scolastico e – addirittura, come nel caso della Germania – divergenza di percorsi tra regione e regione. Dagli Stati Uniti, infine, per gettare un occhio anche oltre Oceano, arriva la notizia che sono sempre in numero crescente le high-school che stanno adottando un curricolo addirittura di 6 anni, anziché di 4. Mettendo da parte la nostra atavica esterofilia, che ci spinge ad avanzare come Renzo con i capponi in mano ogni volta che c’è odore di straniero, queste evidenze dimostrano quanto incaute siano le affermazioni – comprese quelle del ministro dell’Istruzione Giannini, quando il ministro/premier Renzi la lascia parlare – che con leggerezza e imprecisione sciorinano false verità. Verificando le affermazione dei cantori della modernità e dell’ “al passo con l’Europa”, ci si rende conto che il “sentito dire” ha definitivamente soppiantato il rigore e la credibilità della affermazioni. È notizia di qualche mese fa il profondo ripensamento che in alcuni Lander tedeschi sta provocando la sperimentazione dell’accorciamento di un anno di uno dei percorsi superiori: stress enorme per i ragazzi ed inefficacia pedagogica, dal momento che la riforma non è stata accompagnata da un ripensamento dei curricola. Non preoccupiamoci: siamo maestri nel risolvere, alla nostra maniera, questo tipo di problematiche, considerate – ad esempio – le proposte e le notizie che insistentemente circolano su eventuali abolizioni del greco o della filosofia. Nulla di sconvolgente, nel Paese in cui – per motivi di borsa e senza la minima evidenza scientifica – è stato creato un mostro privo di fondamenti epistemologici come la “geostoria”, unione delle ore di storia e geografia, decurtate però di un’unità oraria, con l’aggiunta di Cittadinanza e Costituzione. Senza evocare – tema non inconsistente – l’impatto che l’accorciamento di un anno di liceo avrebbe sugli organici e sulle prospettive di assunzione dei precari, né chiedere per quale motivo – invece di cianciare di diminuzione di un anno non si preoccupino di tener fede a quanto affermato nel programma elettorale, uno dei cui punti era la cancellazione della “riforma” Gelmini – ci dicano, il Pd e i fan del liceo in 4 anni, quali sono le motivazioni di carattere pedagogico e didattico che sosterrebbero tale provvedimento. In fin dei conti sono loro che sostengono di ripartire dalla scuola, di mettere la scuola al centro. Cosa esiste di più centrale – in questa prospettiva – se non il diritto all’apprendimento degli studenti ed il loro successo formativo? Attendiamo con ansia risposte convincenti. |