Ridurre lo spread tra insegnanti e riforme di Antonio Valentino, ScuolaOggi 18.3.2014
Non mi piacciono gli anglismi che ormai imperversano, ma qui spread
è efficace perché sembra rendere più plastico non solo il bisogno di
una ripartenza per la nostra scuola, ma anche un punto di attacco e
una direzione di marcia. Un libro che ben ne rappresenta e riassume il ricco percorso professionale e culturale. E che punta – riuscendovi efficacemente - a disegnare tracce per una ripartenza (come si legge, appunto, nel sottotitolo) del nostro sistema scolastico. Ripartenza che egli vede possibile, a condizione però che ci si liberi da progetti faraonici e si recuperi il cuore del fare scuola (che, qui si ribadisce - di fronte a tendenze che cercano di scaricare su di essa compiti impropri -, consiste nella trasmissione del sapere e nella costruzione di conoscenze e competenze sensate e solide) e la sua “ragione pedagogica”. Su quest’ultima si insiste soprattutto nell’apposito capitolo dove se ne chiarisce il valore: nel suo saper fare i conti con la realtà, ricercare e lavorare su obiettivi di senso, indicare itinerari per realizzarli. Ma un’altra condizione viene opportunamente indicata come fondamentale: tornare “a guardare quello che avviene nelle classi, se necessario riscrivendo gli ordinamenti e rivisitando le strutture profonde della scuola”. Efficacemente vera è, in questa riflessione, l’immagine delle turbolenze atmosferiche evocate a proposito di (quasi) tutte le riforme messe finora in campo: “I cicli delle riforme, se non toccano terra nelle classi e nelle scuole, sono come le turbolenze che, annunciate dalle previsioni meteorologiche, generano preoccupazione, inducono a preparativi di prevenzione, cambiano le condizioni e direzioni del vento per qualche giorno e poi passano verso altri lidi (…), mentre noi rimaniamo in attesa della prossima perturbazione di passaggio”.
La convinzione dell’Autore – e in questo coglie un grumo rilevante
di verità – è che “A volte non occorre guardare molto lontano o
molto in alto; ci sono traguardi a portata di mano che possiamo
raggiungere nella maggior parte delle scuole e per la quasi totalità
degli alunni: da questi si può ripartire’. Cose, queste, che ben
sanno quanti sono attenti a quello che avviene concretamente nelle
scuole, ai bisogni degli studenti, alle necessità organizzative
capaci di cercare e trovare risposte attendibili al fare scuola di
ogni giorno. La prima: “riposizionare la scuola” nella considerazione generale - e quindi “chiamare il Paese alle sue responsabilità” -; la seconda: una leadership di scuola attenta alle ragioni pedagogiche; capace cioè di collocarsi oltre le dimensioni manageriali e una nozione astratta di leadership educativa. Rispetto alla prima, l’obiettivo è far diventare consapevolezza diffusa la rilevanza cruciale della formazione delle giovani generazioni per una democrazia più solida e matura (e ciò attraverso apprendimenti sensati e appassionanti) e per lo sviluppo sociale ed economico del Paese. Le vie prospettate al riguardo sono quelle condivisibili di politiche accorte e lungimiranti volte a dare forte rilievo sociale ai temi della scuola e quindi a superare le più acute criticità della fase attuale (a partire dalla piaga del precariato – a cui vengono dedicate pagine illuminanti -, dal deficit di formazione iniziale e in servizio, dalle forme di reclutamento che risultano di intralcio ad una autonomia responsabile e trasparente, dalle sempre più scarse disponibilità finanziarie che sono freno - se non proprio blocco - per obiettivi di possibile miglioramento). Ma anche volte a costruire percorsi credibili per una valorizzazione adeguata del lavoro a scuola e per la scuola, attraverso misure su cui si ragiona ormai da troppo tempo (a cominciare dallo sviluppo di carriera). Su questo terreno si collocano, nel libro, le riflessioni sull’idea di scuola, su cui pesano – e non si può che convenirne - “ innanzi tutto il silenzio della riflessione e il predominio delle patologie quotidiane, gli scontri sui tagli, (….) le diatribe su gli insegnanti fannulloni…”. Sulla leadership di scuola (la seconda leva) – che qui è però vista come esercizio pressocchè personale di direzione (a differenza di altre riflessioni di Dutto che ne considerano e approfondiscono invece la dimensione diffusa) – l’analisi e le considerazioni mirano a riscrivere il profilo del DS rigenerandolo sulla base delle ragioni pedagogiche del fare scuola e alla luce delle tante e ricche esperienze che si sono sviluppate in questi anni e su cui l’Autore insiste molto. Obiettivo chiaramente polemico è, qui, la visione del DS come “figura manageriale distinta e talora distante dalle comunità professionali dei docenti”. A cui viene contrapposta una figura di leader educativo attenta “alla specificità degli obiettivi e alla peculiarità dei processi” (dove riferimento obbligato è il livello di apprendimento degli allievi); ma anche capace di “costruire condivisione e di ricondurre le scelte di ogni giorno ad una piattaforma valoriale”. Valgono almeno una citazione, a questo punto, anche i riferimenti ad alcuni aspetti del lavoro del DS come leader educativo. Quali, ad esempio, “la cura della discrezionalità di chi insegna” (su cui forse un approfondimento sarebbe necessario); la vigilanza sull’”impatto [nello specifico lavoro di scuola] di decisioni curricolari a livello nazionale”; la promozione di misure per favorire cooperazione e sviluppo professionale. A cui vengono aggiunte la promozione di iniziative volte a “facilitare l’ingresso di imput innovativi”, “assicurare continuità di azione” e “difendere i risultati raggiunti”.
Aspetti che certamente non costituiscono novità assolute rispetto ad
elaborazioni diffuse sul tema; ma il cui richiamo suona comunque
necessario e opportuno, soprattuto perché si tratta di declinazioni
della leadership educativa non sempre adeguatamente considerate. |