Alla ricerca della discontinuità

di Francesco Di Lorenzo, Fuoriregistro 22.3.2014

Anche questa volta siamo riusciti come sempre a premiare il merito. Quale specifico merito, questo è un po' più difficile stabilirlo. Negli ultimi giorni, si è appreso dai giornali, che nell'Università dove era Rettrice il neo ministro dell'Istruzione Giannini, è in corso un'indagine della Guardia di Finanza. Sembra che durante la sua gestione siano stati spesi soldi "per scopi inutili e direttamente imputabili a chi li gestiva", queste le parole usate dagli articoli che riportano la notizia. Niente di che, naturalmente, e di certo il ministro riuscirà a chiarire tutto. Ma è sui meriti specifici che ancora non è chiaro il discorso. Viene un dubbio: forse che per diventare ministri dell'istruzione bisogna essere rettori di piccole e medie Università? A scorrere il curriculum degli ultimi tre ministri in ordine di tempo, sembra proprio di sì. C'è qualcuno che dice sia un passo avanti, visto che il quart'ultimo ministro, Gelmini, a detta del filosofo Cacciari, ha affossato direttamente l'università con la sua epocale riforma. Quindi, si presume che gli ultimi tre starebbero lì a cercare di tirarla dal fosso, l'università. Che ci stiano riuscendo ancora non lo abbiamo capito, come non si è capita bene la questione del merito. Sappiamo solo che il neoministro Giannini è entrata in politica nel 2013 candidandosi con la lista Monti, poi è diventata coordinatrice di Scelta Civica e poi è diventata ministro. Che il merito sia qualcosa che abbia più a che fare con la scelta (civica) giusta?

Finalmente si sta iniziando a denunciare quello che nelle scuole è sotto gli occhi di tutti. Vale a dire la strisciante imposizione di un modello gerarchico accettato come se fosse qualcosa di dovuto. Vige nella scuola una catena di esecuzione degli ordini di tipo militare, che è francamente inaccettabile. L'ultimo anello, il più debole delle catena, cioè l'insegnante, non solo non decide ma è costretto a subire se non vuole incorrere in sanzioni. Questo perché a livello normativo sono stati rafforzati i poteri dei dirigenti scolastici a scapito della collegialità. Il decreto legge Brunetta che ha istituito la sanzione disciplinare ne è l'esempio più lampante. Naturalmente da tutto ciò, l'immagine dell'insegnante, già offuscata, continua ad uscirne poco "rafforzata".

Ma un discorso del genere, si innesta direttamente sull'autonomia scolastica in sé e sulla sua alterazione, che nel corso degli anni ne ha snaturato tutto l'impianto iniziale. 

È vero anche che l'autonomia è sempre stata un'arma a doppio taglio. Conoscendo poi il carattere degli italiani, il taglio potrebbe rivelarsi ancora più profondo. Nel frattempo, cioè nel corso degli ultimi quindici anni, ai collegi docenti, cioè agli insegnanti, in nome del decisionismo e non si sa bene in base a quale criterio di autonomia, sono state cancellate tutte le possibilità di decidere, su qualsiasi qualcosa. Lo ha detto bene Cosimo De Nitto nel suo 'Figure, figurine e figuracce...: l'insegnante ormai è chiamato a decidere solamente sul calendario delle riunioni e delle ricorrenze, qualche festa e poco altro. Questa è l'autonomia disponibile al momento per i docenti.

Ma l'articolo ora citato, mette in rilievo qualcosa di più profondo che nelle analisi spesso manca. E cioè che la prima idea di autonomia, quella vera, quella che dava la spinta alle scuole, e che trattava di autonomia regolata e coordinata, è stata direttamente soppiantata negli ultimi anni dall'autonomia modello 'azienda privata'. Questa nuova idea di autonomia che si adegua al 'mercato' della formazione, seppure partita dai governi di centrodestra (ha iniziato il ministro Moratti), ha trovato una linea di continuità in tutti gli altri che sono venuti dopo, dai ministri del Pd ai sottosegretari del centro-sinistra. 

Allora, come la mettiamo? Questo governo cosa ha intenzione di fare? C'è o non c'è la discontinuità tanto annunciata?