Ma la scuola è una cooperativa di Claudia Fanti, Educazione & Scuola, 2.3.2014 Non dico altro. Niente più parole. Ultimamente sento ripetere spesso che la scuola è una priorità per migliorare tutto il tessuto sociale ed economico, e subito dopo odo affermare che vanno fatti investimenti sull’edilizia scolastica. A questo punto credo che la nostra speranza e quella dei precari risieda nel trasformarci in mattoni. Mattoni fatti delle competenze che abbiamo acquisito nel tempo. La scuola che vorrei è semplice, serena, rilassante e rilassata. Non ha alcuna necessità di effetti speciali, ha infinito bisogno di persone che di speciale abbiano la passione per il lavoro a contatto con i bambini e i ragazzi e tante competenze in ambiti diversi, prima fra tutte la capacità umana di mettersi in contatto con chi si ha dinanzi. (Una cosa chiederei direttamente al ministro: di toglierci la follia del registro elettronico e dei voti. Per lo meno alle elementari, ministro, ci lasci scrivere con la penna ogni giorno, e pure a lungo quanto vogliamo, le nostre note preziose sui miglioramenti in itinere di ogni bambino o bambina su delle magnifiche pagine bianche. Lei non può immaginare quanto sia sciocco perdere il tempo con simili strumenti, quando i bambini e le bambine premono per avere la nostra attenzione che è ben altra cosa del registrare ogni loro respiro tramutandolo in numeri da mettere in caselle.) Ma torniamo ai mattoni dell’edificio che sono sicuramente importanti, tuttavia riguardano ingegneri, architetti, lavoratori dell’edilizia, investimenti nel settore delle costruzioni ridotto all’osso. Certo, saremmo ben contenti se ogni scuola fosse edificata nel rispetto delle richieste di una pedagogia attenta alle persone che la dovranno abitare, ma temo che i problemi da affrontare per costruire edifici a misura siano di non facile soluzione e sicuramente richiederanno il tempo lungo che noi non abbiamo, perché il nostro lavoro è fatto di presente. La scuola che vorrei assumerebbe i precari storici e darebbe finalmente spazio alla loro energia. Consentirebbe ai docenti più anziani di uscire dal sistema con dignità e a testa alta per il lavoro svolto in anni e anni di lotte per fronteggiare riforme e controriforme. Oppure li valorizzerebbe incentivando un passaggio di testimone sotto forma di incontri seminariali professionali interni alle scuole, in particolare sulle modalità che hanno adottato per far fronte alla sempre più difficile conduzione delle classi e sulle strategie mirate a rendere più appetibili gli apprendimenti. La scuola che vorrebbero altri e diversi da noi invece dovrebbe assomigliare a sistemi lontani, estranei al nostro, ricchi di risorse e di strumenti: nessuno di noi docenti potrebbe contestare che ogni minimo sforzo fatto per rendere efficace l’insegnamento sia da condannare, eppure la scuola italiana ha ora bisogno di altro, di una riflessione minimale sui frammenti buoni, piccolissimi, che sono rimasti dopo anni di devastazioni barbare. Così se fossi il ministro ripartirei da alcune riflessioni sulla valutazione senza voti, sul tempo pieno e il tempo lungo, sul ritorno al team docente nella primaria, sull’ obbligo scolastico, sui laboratori possibili nei tecnici e nei licei, sulla libertà d’insegnamento alquanto ridimensionata in questi vent’anni, sull’utilizzare in modo razionale ed efficace le persone-insegnanti sia per immettere forze nuove consentendo continuità al loro lavoro nelle classi sia per non disperdere il mare di competenze degli insegnanti senior, su un diverso concetto di autonomia e sulle gerarchie di potericchi che si sono formate in ogni istituzione e che troppo spesso si sono fossilizzate, ingessate, accentrate nelle stesse mani e di conseguenza si sono chiuse, bloccando energie, idee di miglioramento, impedendo circolazione di novità, di ricerche.
Se al Ministero ci si rendesse conto fino in fondo del male che la
scuola ha subito negli anni, si starebbe molto attenti a fare
dichiarazioni, si tacerebbe, ci si metterebbe in totale posizione di
ascolto e si comincerebbe con l’affrontare un problema alla volta
senza esagerare in voli pindarici e in colpi di scena. La scuola che vorrei rifuggirebbe da differenziazioni stipendiali dentro la stessa categoria: esse portano sempre a piccole meschinità, invidie, chiusure, e certo non incentiverebbero lo scambio, la ricerca, un clima di confronto. So bene che ora si tenta in ogni modo di arrivare a instituire un regime meritocratico di premi. Tuttavia ciò stride con il fatto che ogni insegnante è in contatto con le classi e fa su di esse lo stesso lavoro e per questo è stato assunto e pagato. Non si può certo affermare davanti alle famiglie e agli studenti che uno dei loro insegnanti è più bravo di un altro. Stupidaggine carente di una vera strategia di attacco alle eventuali inesperienze o inadempienze di alcuni docenti. Tutto sarebbe risolvibile con l’incentivare la programmazione dei consigli di classe e dei team da riesumare, con lo spingere verso una maggiore cura per i momenti di cooperazione professionale al posto degli interminabili collegi dei docenti o delle riunioni piuttosto noiose sulle novità ministeriali di qualche circolare, le quali francamente potrebbero divenire operative con un minimo dispendio di energie, visto che i contenuti delle stesse rientrano nella normale amministrazione di lustri di operatività già attiva. |