La fine dell’Eden? di Ariella Bertossi, ScuolaOggi 15.3.2014
In seguito ad una recente conferenza tenuta dal DS prof. Stefanel
inerente la tematica dei Bisogni Educativi Speciali, faccio alcune
considerazioni. Di fronte alle difficoltà che i docenti non si sanno spiegare, la spinta ad indirizzare le famiglie verso le aziende sanitarie a volte è grande. Di fatto però le certificazioni di disabilità o DSA non risolvono didatticamente il problema, ci dicono soltanto in cosa consiste la difficoltà, sono poi i docenti che elaborano il piano di intervento didattico. Ma per gli alunni che comunque non riescono per qualche motivo a lavorare come si spererebbe, che cosa cambia? Chi, se non l’insegnante che ogni giorno segue l’alunno in classe, può essere in grado di valutare o capire se Pierino sia un Bes o no? Nella norma sta la responsabilità, ma anche la professionalità dei docenti. Sono dunque essi a decidere chi debba avere un piano diverso dallo standard che “qualcuno” ha stabilito ci debba essere. Ora, se la normativa mette in mano questa scelta alle scuole, è bene certamente che le scuole al loro interno abbiano dei criteri comuni di individuazione, poiché altrimenti si rischierebbe di creare delle isole con pratiche didattiche non condivise. In generale, di fronte ad uno scarso rendimento scolastico dovrebbe scattare un campanello d’allarme: sono presenti degli ostacoli esterni all’alunno che gli impediscono una sua completa formazione? Se vengono individuati, allora è bene che l’alunno possa venir messo sullo stesso piano dei compagni, alleggerendo il peso del gap e superare le difficoltà incontrate. Perché un BES potrebbe avere dei problemi socio economici, assistenziali, linguistici che non è detto rimangano tali per sempre, ma che la scuola deve poter considerare. Si parla di bambini dunque che potrebbero essere “bravi”, ma che non lo sono per cause che un consiglio di classe individua come impedimenti al pieno sviluppo delle potenzialità e quindi li accerchia con una metodologia didattica condivisa anche con la famiglia. Tutto qui: creo per te un percorso diverso perché il tuo percorso personale in questo momento è diverso per determinati motivi. Se però noi prendiamo in mano le Nuove Indicazioni, alla voce CULTURA SCUOLA PERSONA - La scuola nel nuovo scenario - si legge:
Allora la questione si complica, poiché quanto sopra pone l’accento sul fatto che la scuola, di fronte ad una società “multi” in tutto non può più creare categorie né per origine, né per lingua, per reddito o composizione familiare, data la diversità di ogni gruppo sociale. E’ necessario quindi superare il concetto di lezioni standard poiché lo standard non esiste più. Non esiste lo studente medio su cui tarare la lezione e alla quale tendere perché non esiste il cittadino medio, esiste la persona, unica insostituibile e soprattutto diversa, così come deve essere dunque la nuova didattica. Che dire poi delle eccellenze? Non sono anch’esse diverse, da considerare alla stregua dei BES? E’ dunque fine dell’Eden di una sicurezza che dettava un’unica prassi per un cittadino medio per ritrovarsi nell’inferno di classi-somma di mille individui diversi? Come si può fare nella pratica per sopravvivere, non affogare e soprattutto riuscire ad essere efficienti ed efficaci?
Guardiamo come si lavora all’infanzia. Spesso le classi sono eterogenee per età e la diversificazione didattica è costante. La maestra non ha una postazione dalla quale parlare o fare lezione. Ci sono le posizioni dei banchi e delle zone delle sezioni organizzate in modo che i bambini possano ruotare e fare attività diverse all’interno della stessa ora, così ognuno viene rispettato nei propri tempi. Il passaggio alla primaria è troppo violento, certo la pressione è maggiore perché ci sono delle tabelle di marcia da mantenere: ci si aspetta infatti che i bambini imparino a scrivere, a leggere, a contare, ad orientarsi, ad usare il pc e molto altro ancora. Se i contenuti devono essere diversi, dobbiamo pensare che anche la classe tipo non esista più, che i nostri bambini multietnici, multiproblematici, diversamente abili, DSA e BES siano ognuno un tesoro da scoprire, non un problema da risolvere, ognuno di essi.
Il lavoro è impegnativo perché certamente prevede una plasticità e
flessibilità mentale in linea con la velocità della conoscenza
odierna, un lavoro di preparazione non indifferente e costante. A
tal fine si conviene che la collaborazione e la creazione di banche
dati, piattaforme sia un valido aiuto, ma non necessariamente deve
essere incrementato il numero degli insegnanti, di pc, o LIM: la
personalizzazione è questione di metodo, non di risorse. Vedo nella
collegialità costante e vera il mezzo migliore, anzi l’unico per
un’impostazione didattica di questo tipo.
Quindi? Tutto ciò che non è proibito della legge si può fare:
creiamo sperimentazioni, confrontiamoci, proviamo a mescolare gli
alunni in gruppi trasversali e vedere se in modi di lavorare diversi
le situazioni vengono sanate… In base a ciò l’insegnamento non porta automaticamente e in modo lineare all’apprendimento, la ricezione dell’insegnamento si deve distinguere dal processo di assimilazione di un determinato contenuto disciplinare. Tutto l’apprendimento è un processo di costruzione individuale. La persona apprende in modo attivo, coinvolgendo tutti i sensi, in base ad offerte e stimoli didattici che gli vengono messi a disposizione o che sono presenti nel suo ambiente di apprendimento. Il successo dell’apprendimento dipende dalla disponibilità e dalla capacità dell’alunno di rapportarsi ai compiti didattici in modo attivo e responsabile. La scuola ha il compito di avviare le generazioni future alla cultura tradizionale e di attivare in loro processi di sviluppo e di adattamento alle nuove sfide che la società pone. A tale scopo gli alunni devono condividere le proprie esperienze con altri, ma devono anche sviluppare percorsi autonomi con attività personali. L’offerta formativa è rivolta quindi verso l’imparare ad imparare, la produzione di idee personali, la ricerca di diverse soluzioni ad un quesito e lo sviluppo del pensiero creativo. Per questa ragione le modalità didattiche ottimali sono quelle dell’insegnamento aperto, in contrasto con l’insegnamento chiuso, diretto costantemente dall’insegnante. Per insegnamento aperto si intende una concezione didattica che dal nuovo concetto di apprendimento trae quattro importanti deduzioni:
[estratto da LABORATORI DIDATTICI (laboratori pedagogici per un insegnamento innovativo) Univ. Prof. Dr. Dr. Werner Wiater]
Se penso che si parla degli anni ’70….. Potrebbe essere un’idea! Convengo che non è facile insegnare in classi numerose e con bambini problematici, ma questa è la società odierna e prima ne prenderemo atto, più facile sarà il lavoro da fare. La consapevolezza della necessità di una personalizzazione costante ci porterà ad una sorte di rassegnazione metodologica: non c’è via d’uscita se non nel personalizzare, solo così il logorio dovuto allo scostamento palpabile di quanto avremmo voluto fare ci porterà un po’ di serenità. Ma come si farà a personalizzare e a portare poi ai traguardi comuni? In questo sta la professionalità docente, che solo nella collegialità riuscirà a sopravvivere, nella condivisione, nella sperimentazione, nelle classi aperte, nel sostegno e recupero costante, nella sfida metodologica della ricerca continua di nuove pratiche, nell’auto-formazione e auto-aggiornamento sul campo. Finché si continuerà ad avere in mente che una lezione frontale e una classe di bambini silenti sia la condizione ideale per l’apprendimento, la stanchezza avrà sempre il sopravvento. Cito in conclusione quanto detto nell’ultima intervista dal maestro Manzi, il maestro d’Italia riportato alla ribalta da una recente fiction della RAI: “I bambini di una volta avevano dei problemi, ma quelli di oggi ne hanno ancora di più, per cui o eravamo stupidi noi che non li vedevamo oppure è la scuola che crea problemi ai bambini.” Ecco: certamente i tempi sono cambiati e la scuola con essi. Sono cambiate le metodologie, alla scuola sono stati affidati mille compiti, moltiplicati i contenuti, ammassati gli alunni. Tutto ciò ha perso di vista il bambino in sé e tutti i suoi problemi, creando maggiori difficoltà dovute alla pressione del raggiungere a tutti i costi degli obiettivi precostituiti e soprattutto all’idea che sia il bambino a doversi adattare alla scuola e non viceversa. Le Nuove Indicazioni si riappropriano del concetto di persona, di centralità nell’essere e di fuga da ogni tipo di standardizzazione. Questa è la mission della nuova scuola italiana: ora sta a noi nel ritrovare nei nostri alunni la persona che rappresentano.
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