IL CASO
«Dovete pagare»: quei contributi
Da 60 a 200 euro a famiglia. Una situazione
inaccettabile, secondo il Miur, di Leonard Berberi lberberi@corriere.it, Il Corriere della Sera scuola 24.3.2014
L’ultima circolare lo
scriveva chiaro il 7 marzo del 2013. E non cambiava, di una virgola,
quello che aveva già sostenuto l’anno prima. «I contributi
scolastici sono volontari». E ancora: «Nessun istituto può
subordinare l’iscrizione degli alunni al preventivo versamento del
contributo». Se succede questo «non solo è illegittimo, ma si
configura come una grave violazione dei propri doveri d’ufficio».
Più esplicito, non si può. E invece, le cose non stanno proprio
così. Decine di istituti scolastici — non tutti — continuano a fare
finta di nulla. A volte cambiano il nome del «contributo», ma non la
sostanza. In alcuni casi avvertono, usano toni da ultimatum, inviano
comunicazioni in cui ricordano che bisogna pagare anche gli
arretrati.
Dai siti specializzati
come Skuola.net agli Uffici scolastici regionali continuano ad
arrivare decine di segnalazioni. Che costano, alle famiglie, almeno
60 euro. In alcuni casi superano i 200. Una situazione
inaccettabile, secondo il Miur, tanto da far intervenire anche il
ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. «Mettere la scuola al
centro per il governo significa non solo restaurare muri e
ridipingere pareti, come stiamo facendo, ma anche tornare a
investire per migliorare la qualità dell’insegnamento e dell’offerta
formativa, cosa che ci siamo impegnati a fare», spiega al Corriere
il ministro. «A maggior ragione non è possibile obbligare le
famiglie con metodi inappropriati a pagare contributi che per
definizione sono volontari. Questo deve essere un principio
inderogabile. I presidi lo sanno, ma se qualcuno non dovesse
ricordarselo lo faremo noi con una nota che ribadirà questo
concetto».
Complici i tagli degli
ultimi anni, le scuole hanno sempre meno risorse a disposizione,
soprattutto per organizzare attività extrascolastiche. E così, per
trovare un po’ di soldi, si rivolgono ai genitori degli alunni
iscritti. Soldi che, a dire il vero, qualche istituto — segnalano
dal ministero — ha pensato bene di destinare in parte alle voci di
spesa relative al funzionamento stesso della struttura, compresi i
costi per le fotocopie, il materiale didattico. «Che dobbiamo fare?
Dobbiamo pagare o no?», si chiedono mamma e papà. E intanto si
improvvisano giuristi, cercano sul web documenti ufficiali e leggi.
Scoprono che in materia di spese per la registrazione scolastica
esiste ancora — «e resiste», conferma il Miur — un Regio decreto del
3 giugno 1924. Ma devono anche leggere comunicazioni di presidi «a
volte sgradevoli».
Prendiamo, per esempio,
una circolare di un liceo di Cuneo. Punti esclamativi inclusi.
Scrive il dirigente: «Si ricorda che i contributi, se pure non
obbligatori, sono richiesti perché indispensabili per il
funzionamento dell’istituto». Quindi il suggerimento: «Per gli
alunni, le cui famiglie non intendono versare i contributi vi sono
due possibilità». La prima: «Pagare ogni volta la quota relativa al
servizio, all’acquisto di cui usufruiscono (esempio: pagare ogni
fotocopia, ogni ingresso nell’aula informatica). Strada di fatto non
percorribile!». La seconda: «Usufruire di tutti gli strumenti, di
tutti i servizi, perché gli altri alunni hanno pagato».
Più a est, un liceo
scientifico di Milano «invita» a pagare 150 euro quale «contributo
spese di funzionamento». Una scuola superiore di Rapallo ricorda «ai
genitori che non abbiano versato anche i contributi per gli scorsi
anni di voler adempiere alle richieste». L’istituto di Pieve Santo
Stefano (Arezzo) ricorda l’efficacia del Regio decreto e aggiunge
che «se non viene saldato il contributo per l’acquisto del materiale
di laboratorio l’alunno potrà solo assistere e non partecipare alle
attività». Per arrivare a Mestre, dove i 120 euro (per chi si
iscrive al secondo anno) e i 130 euro (per la registrazione alle
classi 3°, 4° e 5°) servono, tra le altre cose, anche alla «parziale
copertura delle spese di fotocopiatura». «Al netto di chi ha l’esonero per merito, motivi economici o appartenenza a speciali categorie», chiariscono dal ministero, «si devono pagare soltanto le tasse di iscrizione, frequenza, di esame e di diploma. Tutto quello che eccede questa cifra – vedi alla voce: contributi scolastici – «può essere chiesto ma è del tutto volontario». Tradotto: i genitori possono rifiutarsi di pagarlo. Soprattutto nella scuola dell’obbligo. Se qualche istituto non ha rispettato questa regola, continua il Miur, «può inviare le segnalazioni agli Uffici scolastici regionali che sono responsabili della vigilanza sulle scuole». Resta in piedi il famoso Regio decreto del 1924. Che però riguarda soltanto gli istituti tecnici, professionali e l’artistico. Quei contributi, chiamati «di laboratorio», si devono pagare. |