Orari più lunghi per il sabato libero La Provincia di Milano: così in tutta Italia. Divisi docenti e famiglie di Antonella De Gregorio, Il Corriere della Sera scuola 26.3.2014 C’era una volta il sabato a scuola, alle medie e alle superiori. Anche alle elementari, se non si faceva il tempo pieno. Oggi, con l’autonomia scolastica, il sabato è la coperta più contesa della programmazione: c’è chi la tira, per dare più respiro alla didattica, spalmando le lezioni su sei giorni. Chi la accorcia (cinque giorni di scuola e un intero weekend libero), per permettere ai ragazzi di avere più tempo a disposizione per se stessi, lo sport, le relazioni sociali; e alle famiglie di organizzare meglio i tempi domestici. All’economia locale di risparmiare sulle bollette dell’energia e sui costi dei trasporti pubblici. E ai docenti di avere, finalmente, tutti il sabato libero. Ma c’è chi vorrebbe che il sabato a scuola diventasse solo un ricordo, per tutti. È quanto si augura l’assessore all’Istruzione della Provincia di Milano, Marina Lazzati, che dopo aver suggerito, lo scorso anno, ai presidi del capoluogo di rivedere l’orario delle lezioni, introducendo la settimana corta, ha ora preso carta e penna rivolgendo la richiesta al presidente del Consiglio, al ministro dell’Istruzione e al responsabile della spending review, Carlo Cottarelli. «I tagli di bilancio imposti alle Amministrazioni pubbliche — scrive — stanno mettendo in seria difficoltà l’erogazione dei servizi essenziali per il buon funzionamento delle istituzioni scolastiche. Problema che investe pesantemente riscaldamento e spese di trasporto, per cui sono previste per il prossimo anno scolastico ulteriori diminuzioni di spesa». Lazzati propone di rendere «obbligatoria l’articolazione oraria settimanale su cinque giorni per tutte le scuole di ogni ordine e grado». Una scansione oraria che «comporterebbe un significativo risparmio e renderebbe le nostre scuole autentici laboratori di apprendimento, ottimizzando la qualità dell’insegnamento e l’utilizzo delle risorse». Nessun taglio di ore in vista (già ridotte dalla riforma delle superiori a un massimo di 30 nei licei e 32 per istituti tecnici e professionali), ma una «diversa articolazione dell’orario». Tra i presidi, c’è chi ha aderito giudicando la proposta «ragionevole», «fattibile», «in linea con l’Europa». E chi, come il preside del classico Berchet, Innocente Pessina, l’ha definita «una molestia didattica», soprattutto per i ragazzi del triennio, che si troverebbero a sostenere giornate di sette ore in aula, con materie pesanti come latino e greco. Ma anche chi ricorda che le superiori non hanno la mensa, quindi i ragazzi dovrebbero mangiare al bar, o a casa dopo le tre. Delle 105 scuole del territorio sono meno della metà quelle che hanno aderito, consentendo risparmi, quantifica l’assessore Lazzati, per circa tre milioni di euro. A livello nazionale non esiste un’«anagrafe» dell’organizzazione del tempo scuola, spiega Carmela Palumbo, della direzione generale per gli ordinamenti scolastici del ministero. «Ogni consiglio d’istituto può decidere — anche attraverso il voto delle famiglie — se optare per la settimana corta». Ma certo, ammette, il sesto giorno di didattica è sempre più raro, anche per ragioni di budget. Verona, Cuneo, Novara, Bergamo, Roma: sono in tanti a cercare la strada per gestire al meglio risorse sempre più scarse. La Provincia di Ferrara ha calcolato che i benefici della settimana corta nei licei cittadini consentirebbero un risparmio notevole: 120 mila euro l’anno, il costo di un dirigente. Polemiche e dissensi tra insegnanti e sindacati (che temono un aumento dell’insuccesso scolastico) e studenti: «Grave che la scuola venga guidata mettendo sempre la quadratura dei bilanci davanti alle considerazioni di carattere educativo e didattico», dice Roberto Campanelli, dell’Unione degli studenti. Settimana corta promossa a pieni voti da Pier Cesare Rivoltella, ordinario di Tecnologie dell’apprendimento alla Cattolica di Milano: il weekend libero funziona da decompressione, favorendo l’apprendimento — sostiene —. Ma va ripensato il nostro modo di insegnare. In Catalogna, suggerisce il docente, è nato un «movimento dell’educazione lenta», uno «slow food» applicato alla didattica, che vede la riorganizzazione di ogni disciplina in moduli di due ore, riducendo così il numero di materie (e il carico) affrontate nella stessa giornata. |