L'utilità delle discipline

Pasquale Almirante, La Sicilia 2.3.2014

Da quando si è diffusa l'idea, lanciata dall'ex ministra all'istruzione, Carrozza, di una possibile riduzione di un anno del percorso scolastico superiore, tra gli insegnanti si è aperta la gara di petizioni per non tagliare ore a geografia, storia dell'arte, latino e greco, filosofia e via dicendo, ciascuno vantando la necessità del loro sapere. La singolarità di alcune di queste petizioni sta tuttavia nel fatto di giudicare una materia più importante dell'altra, e non solo per una sua stringente utilità pragmatica per trovare lavoro, ma anche per non lasciarsi fregare nella vita.

E le citazioni dotte non si contano per cui Adam Smith è nominato per dire che l'economia politica classica è fondamentale per i giovani di oggi e quindi sono più importanti geografia ed economia rispetto al latino e al greco, per i quali bastano solo due ore a settimana di storia della loro letteratura e tutto il resto buttarlo a mare, mentre, se proprio un salvataggio si vuole fare, scegliamo la filosofia, ma non parliamo di storia dell'arte.

Appena dunque si ventila l'idea del licenziamento di qualche disciplina, al solo fine di aggiustare i conti dello Stato, parte la salve del pre-giudizio che però non è finalizzato ai saperi con cui la nuova generazione deve fare i conti, ma con l'interesse contingente dei titolari della materia. Titolari, si badi bene, che hanno tutta la ragione di questo mondo nel timore di vedersi sballottati da una scuola all'altra, mentre si dimentica purtroppo che le discipline hanno comunque uguale dignità di formazione. Non si può infatti parlare di utilità dell'utilitaristico, perché altrimenti dovremmo essere tutti economisti e finanziari, ma anche di utilità dell'apparente inutile, come può sembrare la storia dell'arte o la filosofia o il latino. A che serve infatti, conoscere il greco antico? Toglietelo dalle scuole e il senso sacro del teatro si ammolla, come crolla il senso del bello, del classico, insieme a una migliore capacità di giocare con la lingua italiana, attraverso cui si capisce e si interpreta il mondo. Introdurre lo studio dell'economia e della geografia politica, più altre materie di uguale tenore, perché il mondo è diventato globale, non può avere come contraltare l'uccisione dell'umanesimo.