Studenti italiani:
bravi in italiano ma scarsi in scienza

 La Stampa 12.3.2014

Sono più bravi nella scrittura e nella lettura critica, ma ottengono risultati peggiori nell’affrontare questioni di tipo scientifico-quantitativo. È la fotografia dei giovani italiani scattata dalla sperimentazione Teco, la prima in Italia mirata al monitoraggio delle competenze generaliste degli studenti universitari, confrontate poi con quelle degli studenti di altri paesi.

A presentare i dati è stata l’Agenzia nazionale per la valutazione dell’Università e della Ricerca in un convegno in corso a Roma.

La sperimentazione si è concentrata sul monitoraggio delle capacità generali (le cosiddette generic skills), trasversali, e non collegate a nessun ambito scientifico o disciplinare, la cui presenza è un elemento essenziale nella formazione dei laureati. In particolare è stata valutata la capacità dei laureandi di esercitare il pensiero critico per risolvere problemi, prendere decisioni e comunicare in diversi contesti socio-economici e lavorativi.

Alla sperimentazione, durata 18 mesi, hanno partecipato 6.000 studenti volontari del terzo e quarto anno (circa 14.000 avevano presentato domanda) di 12 università italiane (fra le 30 che si erano autoproposte): Piemonte Orientale , Padova, Milano, Udine, Bologna, Firenze , Roma La Sapienza, Roma Tor Vergata, Napoli Federico II , Salento , Cagliari Messina.

«I risultati della sperimentazione sono assolutamente comparabili a quelli dei test realizzati negli Stati Uniti e negli altri 8 Paesi che hanno aderito al progetto Ahelo (Assessing Higher Education Learning Outcomes) dell’OCSE», ha commentato Fiorella Kostoris, coordinatrice della sperimentazione TECO e membro del Consiglio Direttivo Anvur. 

«I giovani italiani riescono meglio dei loro colleghi stranieri nell’efficacia e tecnica di scrittura e nella lettura critica, anche se hanno risultati peggiori nell’affrontare questioni di tipo scientifico-quantitativo. I dati ci dicono che nel nostro Paese esiste ancora una forte separazione tra ambiti scientifici e umanistici. Potremmo definirlo “effetto Croce-Gentile” per sottolineare come questo problema venga da lontano e affondi le sue radici nella storia della cultura italiana e non sia certo attribuibile a colpe della nostra Università».  

Dal test, infatti, emergono segni evidenti della persistenza nel nostro Paese di una separazione tra le cosiddette due culture: quella scientifica e quella umanistica. Indipendentemente dal livello medio delle competenze acquisite alla fine degli studi universitari, i nostri laureandi mostrano in generale capacità logiche molto più dissociate fra la componente umanistica e quella scientifica rispetto a quanto osservato in altri Paesi. Ovvero gli studenti italiani ottengono ottimi punteggi nella parte ”letteraria” del test o in quella “scientifico-quantitativa” ma mediamente ci sono pochi studenti che ottengono buoni punteggi in entrambe. 

I laureandi in Psicologia sono quelli che ottengono i risultati più equilibrati tra le due aree. Quelli di Medicina e Matematica-Fisica-Statistica ottengono risultati più brillanti nella parte “scientifico-quantitativa”, mentre i giuristi sono quelli che riescono meglio nella parte “umanistica”.