Il voto di ammissione all’Esame di Stato conclusivo nella Scuola Secondaria di primo grado
non può essere desunto da un calcolo matematico

 Orizzonte scuola 21.5.2014

di Katjuscia Pitino - La normativa di riferimento è l’art.3 del D.P.R. n.122 del 2009, “Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni” che, al comma 1, rimanda espressamente all’art.11 del D.Lgs. n.59 del 2004, così come integrato dall’art. 1 comma 4, del D.L. n.147 del 2007, convertito nella Legge n.176 del 2007.

La lettura dell’art.11 del decreto succitato risulta interessante per far luce su alcuni aspetti essenziali della valutazione evitando così di far incappare i consigli di classe in errori di procedura ai fini dell’ammissione degli alunni all’esame di Stato conclusivo. Prima di tutto scansare il pericolo che l’ammissione e il relativo giudizio di idoneità siano esclusivamente il frutto di una media dei voti delle singole discipline proposti dai docenti. Non v’è dubbio che la normativa vigente al riguardo disponga tutt’altro e che la pratica scorretta di ricavare il giudizio di ammissione da un calcolo matematico potrebbe venire ad incidere in maniera negativa sulla valutazione personale dell’alunno, svilendo l’intero percorso scolastico compiuto nel corso dei triennio. Si aggiunga che nel decreto 122/2009 non si parla di media dei voti.

Anzitutto occorre distinguere il voto di ammissione alias giudizio di idoneità, dall’esito finale dell’esame, il cui voto, in quest’ultimo caso, è invece desunto dalla media dei voti delle prove scritte ed orali, compreso il voto della prova scritta nazionale (INVALSI); il comma 6 dell’art.3 del D.P.R. n.122 del 2009 sancisce infatti: “il voto finale è costituito dalla media dei voti in decimi ottenuti nelle singole prove e nel giudizio di idoneità arrotondata all'unità superiore per frazione pari o superiore a 0,5”.

Per comprendere al contrario il significato di giudizio di idoneità non rimane che partire dal comma 4 dell’art 11 del D.Lgs. n.59/2004, modificato dal comma 4 dell’art.1 del D.L. n.147 del 2007 che così recita: “il terzo anno della scuola secondaria di primo grado si conclude con un esame di Stato, al quale sono ammessi gli alunni giudicati idonei a norma del comma 4-bis”; quest’ultimo stabilisce che “il consiglio di classe, in sede di valutazione finale, delibera se ammettere o non ammettere all'esame di Stato gli alunni frequentanti il terzo anno della scuola secondaria di primo grado, formulando un giudizio di idoneità o, in caso negativo, un giudizio di non ammissione all'esame medesimo”.

Il comma 2 dell’art.3 del D.P.R. n. 122/2009 riprende tale contenuto: “il giudizio di idoneità di cui all'articolo 11, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 59 del 2004, e successive modificazioni, è espresso dal consiglio di classe in decimi, considerando il percorso scolastico compiuto dall'allievo nella scuola secondaria di primo grado”.

In sede di ammissione e di definizione del giudizio di idoneità, benché quest’ultimo sia espresso in decimi, il consiglio di classe, organo collegiale deputato alla valutazione degli alunni, è chiamato a “formulare” un giudizio di idoneità (art.11, comma 4-bis, D.Lgs.59/2004) considerando il percorso scolastico compiuto dall’alunno nella scuola secondaria di primo grado.

La formulazione del giudizio di idoneità non può quindi essere l’espressione di una media matematica, tutt’al più che sarebbe difficile esprimere attraverso quest’ultima l’intero percorso scolastico degli alunni, legato a diverse contingenze personali, a fattori psico-sociali, ad oscillazioni di profitto ed anche a comportamenti confacenti o non alla vita scolastica.

A prescindere dal voto in decimi non si può non tener conto anche della maturazione personale dell’alunno secondo una visione olistica, circostanziata da eventi, da risultati ottenuti e da dati soggettivi ed oggettivi.

Quando c’è di mezzo la valutazione, sarebbe interessante riprendere la metafora dell’iceberg, valutando sia la parte esplicita che quella latente dell’individuo, la prima rapportabile a ciò che è direttamente osservabile nelle prestazioni fornite dagli alunni, la seconda a quella che non emerge se non scavando a fondo nella parte interiore dell’individuo, facendo appello ai suoi processi motivazionali, socio-affettivi ed anche volitivi, in altre parole all’impegno, alla motivazione, alle strategie metacognitive, al ruolo sociale, all’immagine di sé, alla consapevolezza e alla sensibilità al contesto.

Il comma 2 dell’art.3 del D.P.R. n.122/2009, che sottolinea di dover considerare il percorso scolastico compiuto dall’alunno nella scuola secondaria di primo grado, al fine di determinare il giudizio di idoneità, sembrerebbe rinviare proprio al principio sopra espresso. Di conseguenza appare logico che il giudizio di idoneità debba essere dedotto, per ogni singolo alunno, attraverso un procedura di valutazione didattico-comportamentale, in cui il Consiglio di classe esprime le ragioni della valutazione, adducendo le dovute motivazioni a verbale. In aggiunta al fatto che ricavando il giudizio di idoneità da un mero calcolo matematico si verrebbe a svilire proprio il principio di collegialità che è insito nell’organo in parola. Al riguardo è utile ricordare che una sentenza del Tar Calabria - Catanzaro, la n. 514 del 7 marzo 2008 ha così asserito: “ogni valutazione deve essere eseguita collegialmente, dopo approfondito e puntuale esame per ciascun alunno, sulla base dei giudizi analitici dei docenti delle discipline di insegnamento. Ciò, anche perché ciascun allievo percorre un proprio iter, soggetto a valutazione finale complessiva, e, quindi, la situazione didattica di un alunno non può essere comparata con quella di altri soggetti”.

La valutazione dell’ammissione dell’alunno è quindi il risultato di un processo logico-valutativo, onnicomprensivo delle valutazioni operate durante tutto il triennio, in specie nell’ultimo anno, e non l’esito di una sterile media matematica.