Tempo di prove INVALSI di Cosimo De Nitto, Educazione & Scuola 6.5.2014
Il senso e il nonsenso
Ma ditemi voi cosa prova, cosa dimostra questa domanda della foto.
Che per misurare si può mettere il metro al contrario e fare una
sottrazione anziché una misurazione normale e diretta, come hanno
fatto sempre mamma e papà per vedere quanto era diventato alto e
come via via cresceva? Il bambino parte dalle operazioni concrete di
cui ha esperienza, e guai se non lo facesse. Parte dal probabile non
dall’improbabile o dall’assurdo, a meno che non sia in situazioni di
gioco che lo richiedano, e queste non sono certo le prove invalsi.
In una situazione di relazione didattica normale, ordinaria,
quotidiana le domande sono spiegate nei termini che la maestra sa
che i bambini possono ben comprendere, in quanto conosce il loro
vocabolario e il loro vissuto esperenziale. La conoscenza delle
parole dei bambini e delle loro esperienze pregresse reali fa porre
alla maestra le domande nel modo giusto. Non solo. Se i bambini
pensano di non aver capito bene chiedono spiegazioni e solo dopo
daranno le loro risposte che saranno credibili, giuste o sbagliate
che siano, perché il bambino si riconosce in esse, condivide che
sono le sue. Se ha risposto giusto non ha timore di aver indovinato
a caso, se ha risposto sbagliato non attribuisce la causa
all’incomprensione della domanda o a qualche altro accidente che gli
ha impedito di capirla bene. Quando il bambino non capisce la
domanda, la “colpa”, dal punto di vista didattico, non è sua. Che
significato, quali “informazioni” utili mi potrà mai dare una prova
non formulata partendo dal “vocabolario” e dalle “esperienze”
pregresse del bambino?
Determinante in negativo o in positivo è la variabile tempo. Qui i
bambini lumaca, i bambini tartaruga possono anche essere dei
filosofi, degli artisti, dei divergenti, non c’è scampo per loro.
Saranno classificati male, pagheranno questa loro peculiarità
ponendosi ai margini e alla base della piramide, facendo male loro e
recando anche danno al gruppo classe che risentirà di questo loro
“deficit” nel giudizio globale. La variabile tempo è frutto a sua
volta di numerose variabili, soggettive/personali, e di percorso
didattico svolto. I bambini a quell’età hanno tempi di reazione e
risposta molto diversi e le maestre sanno bene che vanno rispettati,
che i tempi vanno rispettati tutti. Nel corso degli anni e con
l’esperienza didattica questi tempi cambieranno, ma non cambieranno
certamente se non li si rispetta, non li si agevola mettendo in
campo strategie anche personalizzate. Il tempo non è un dato
oggettivo e naturale di partenza uguale per tutti, ma uno dei punti
di arrivo cui mirerà l’azione didattica. I quiz “somministrati” ai
bambini hanno il torto che lamentava Don Milani, quello di “far
parti uguali tra disuguali”.
I test preparano alla vita, dicono alcuni sostenitori. Alla vita, si
può rispondere, prepara tutto ciò che si impara, capisce, motiva,
coinvolge non solo cognitivamente, ma anche affettivamente,
emotivamente. Alla vita prepara tutto ciò che ha senso, il dare
senso, non i giochini mentali, i video-war-game senza consolle
tecnologica che sono fatti passare come test di intelligenza.
Conosco tanti campioni di videogame e di enigmi che non se la
passano molto bene nella vita.
Se vale il principio che è pedagogicamente e didatticamente
sbagliato proporre prove su cui i bambini non abbiano avuto modo di
esercitarsi, principio riconosciuto dalla legislazione scolastica in
merito, per es., alla terza prova agli esami di Stato per sostenere
la quale la scuola deve dimostrare che gli alunni si sono esercitati
diverse volte su questa tipologia di prova, appare non solo
legittimo, ma doveroso addestrare i bambini a svolgere i test
invalsi. Il teaching to test, che è classificato come malattia grave
dell’insegnamento/apprendimento e dell’educazione/formazione, non
solo è un rischio che si corre, ma è una necessità ineludibile visto
il valore che si attribuisce ai test INVALSI circa la taumaturgica
azione valutativa che viene attribuita loro in merito a: 1)
“preparazione”(Ajello) dei bambini; 2) preparazione dei docenti; 3)
funzionamento della scuola.
Dal punto di vista pedagogico nel bambino si deve affermare l’idea
che il questionario è un contenitore di trucchi con i quali si cerca
di prenderlo in giro e farlo sbagliare, facendogli fare la figura
dello scemo. A lui il compito di farsi furbo e prendere in giro
coloro che hanno cercato per primi di prenderlo in giro. Ogni
domanda che gli viene posta contiene un trucco, qualcosa che cerca
di ingannarlo, pertanto gli viene richiesto un assoluto sospetto,
diffidenza verso tutto, anche verso cose che sembrano giuste. Ecco
l’insegnamento. Diffidenza verso tutto e tutti, anche verso se
stesso, verso ciò che vede, ciò che sembra ma che potrebbe non
essere come sembra. Non solo. Deve imparare che esiste una ed una
sola risposta giusta, tutte le altre possibili sono sbagliate.
Bell’addestramento al pensiero assoluto, quando invece nella realtà
c’è il vero, il verosimile, il diversamente vero, non solo. Nella
realtà le strade per arrivare al “vero” sono molteplici e varie.
Tanti “vero” e tanti “modi” per arrivare al vero, non solo quelli
degli estensori del quiz in base al quale poi io sono classificato
scemo o intelligente, preparato o impreparato, competente o
incompetente. E ancor peggio, con me viene classificata tale anche
la mia maestra, poverina, che non c’entra niente, anzi ha il merito
di insegnarmi tante cose utili e interessanti che quanto meno non mi
fanno sentire scemo e/o asino.
Dicono che i test invalsi accertano le capacità logiche dei bambini;
il problema, però, è che i test li elaborano gli adulti basandosi su
un atto di presunzione. Essi presumono la certezza della loro
conoscenza delle capacità logiche dei bambini, o comunque quelle che
dovrebbero essere tali secondo la loro rappresentazione della
logica. Formulano items per rilevare quanto i bambini sono capaci di
capire e conformarsi al loro modello di logica con un processo di
convergenza. Non si considera che le vie della logica, come quelle del Signore, sono infinite. |