DALLA PARTE DEI MINORI
L’altra povertà, quella educativa Rapporto di Save the Children: in fondo alla lista le regioni del Sud, Friuli regione più ricca di opportunità formative. Al via la campagna «Illuminiamo il Futuro» per sviluppare i talenti anche dei bambini e degli adolescenti meno fortunati di Orsola Riva, Il Corriere della Sera scuola 12.5.2014
Più di un milione di bambini e adolescenti italiani vive in condizioni
di povertà assoluta, cioè «al di sotto di uno standard di vita
minimo accettabile nel contesto di appartenenza» (erano la metà nel
2007, prima della crisi). E altri 3 milioni e mezzo sono a rischio
di esclusione (peggio di noi in Europa solo alcuni ex Paesi dell’Est
- Bulgaria, Romania, Ungheria e Lituania - e l’Irlanda e la Grecia
ridotte in ginocchio dalla crisi). Ma c’è una cosa peggiore che
nascere poveri: essere condannati a restarlo. Mangiare male e non
poter fare neanche un pasto equilibrato al giorno perché la tua
scuola non ha la mensa, stare in classe ma senza astuccio e
quaderni, tornare a casa e non avere un libro da leggere o un
pallone a cui tirare un calcio in giardino (ma quale giardino?).
Sono queste le cose che, quando mancano, trasformano la povertà in
ergastolo. E’ questa miseria educativa a creare un circolo vizioso
con la povertà materiale: povero sei e povero resterai.
Contro questo circolo vizioso questa mattina Save the children,
l’organizzazione fondata nel 1919 per la difesa dei diritti dei
bambini, lancia la campagna «Illuminiamo il futuro»: una iniziativa
per la sensibilizzazione, la raccolta fondi e il contrasto della
povertà educativa. Ma cosa si intende per «povertà educativa»? Lo
spiega bene Valerio Neri, direttore generale di Save the Children
Italia: «La povertà educativa - dice - è la privazione per un
bambino e un adolescente della possibilità di apprendere, di
sperimentare le proprie capacità, di sviluppare e far fiorire
liberamente le proprie aspirazioni». Per questo Save the Children ha
deciso di intervenire concretamente sul territorio impiantando una
serie di centri pensati per dare anche ai bambini meno fortunati la
possibilità di scoprire e coltivare i propri «talenti». I primi 5
«Punti Luce» (si chiamano così perché si ispirano alla favola della
lampada di Aladino) sono stati aperti a Palermo, Catania, Gioiosa
Ionica (RC), Bari e Genova, in quartieri particolarmente
svantaggiati. Lì i bambini e i ragazzi possono studiare, giocare e,
in casi di particolare necessità, vengono sostenuti con una «dote
educativa»: un piano formativo personalizzato che permette per
esempio l’acquisto di libri e materiale scolastico, l’iscrizione a
un corso di musica o a un’attività sportiva, la partecipazione a un
campus estivo. L’esperienza di questi centri è raccontata in un
video nel quale lo scrittore Gianrico Carofiglio ha incontrato
Michele, 39 anni, barese, ex magazziniere, disoccupato, tre figlie
di 5, 10 e 15 anni, una bimba affetta da disturbi dell’attenzione e
ritardo cognitivo. «Qui da loro - racconta Michele parlando di Save
the Children - mi sento meno solo. A volte basta un sorriso...».
Per combattere quella forma occulta di povertà che è la povertà
educativa bisogna però prima di tutto farla emergere, misurarla,
«fotografarla». Come si calcola la povertà educativa? Save the
Children ha messo a punto un proprio indice che combina fattori
scolastici e elementi di contesto: da un lato la penuria di asili
nido, la scarsa incidenza del tempo pieno alle elementari e alle
medie, l’alto tasso di dispersione scolastica; dall’altro una serie
di opportunità mancate nel tempo libero: niente libri né sport,
niente ingressi a teatri mostre e musei.
Nessuna sorpresa che le regioni più povere, cioè il Sud, siano anche
quelle a maggiore povertà educativa. Con un’unica eccezione
notevole, la Basilicata, che nonostante un tasso del 27,2 per cento
di povertà relativa minorile (cioè di bambini o adolescenti che
provengono da famiglie che hanno «uno stile di vita e consumi
inferiore a quello medio») è la prima regione italiana per scuole
medie a tempo pieno e per connessioni ad Internet e sta nella fascia
alta anche per il servizio mensa e per i certificati di agibilità
degli edifici scolastici. Il record negativo (10 indicatori su 14),
va alla Campania, dove appena 2,8 bambini su 100 frequentano il nido
(una percentuale lontana anni luce dal record dell’Emilia
Romagna(26,5 per cento) e ancor più dall’obiettivo europeo del 33
per cento. Un dato, questo, particolarmente drammatico, perché ormai
tutti, economisti, neuroscienziati e sociologi, concordano sul fatto
che le disuguaglianze fra adulti siano imputabili in larga parte
proprio alle diverse opportunità educative e cognitive sviluppate
nei primissimi anni di vita, prima dell’entrata a scuola. Peggio, in
fatto di nidi, fa solo la Calabria (2,5 per cento), ma la Campania
se la passa malissimo anche sul tempo pieno, sul servizio mensa,
sulle aule connesse a Internet e - da non credere nella regione che
vive ancora nel mito del Napoli di Maradona - nello sport. Meno di
un bambino campano su 4 fa sport continuativamente.
Se si guarda invece alle regioni più virtuose, la classifica è guidata
dal «solito» Friuli Venezia Giulia, seguito da Lombardia, Emilia
Romagna e Veneto. Sono queste le aree più ricche in termini di
servizi e opportunità di formazione per i minori e dove i bambini e
i ragazzi leggono più libri, vedono più mostre e spettacoli
teatrali, fanno più sport. Le stesse regioni che non solo nei test
nazionali (Invalsi) ma anche in quelli internazionali (come l’Ocse-Pisa
sulle competenze dei 15enni) registrano le performance migliori,
testa a testa con le capolista europee, mentre gli adolescenti del
Sud profondano al livello di Turchia e Kazakhstan. Il Nordest in
particolare è anche l’area con il minor tasso di dispersione
scolastica, intesa come la percentuale di giovani fra i 18 e i 24
anni in possesso della sola licenza media e ormai tagliati fuori dal
sistema d’istruzione o formazione scolastica. Se il tasso medio
italiano di abbandono scolastico è pari al 17,6 per cento (siamo
quartultimi in Europa), in Veneto, Friuli e nella provincia di
Trento si aggira attorno al 10 per cento (ovvero ha già raggiunto
l’obiettivo che l’Unione europea si è prefissata per il 2020).
Mentre il record negativo è nelle isole: un giovane siciliano o
sardo su 4 abbandona prematuramente gli studi). Male anche la
Campania e la Puglia e pure la settentrionalissima Val d’Aosta
(circa uno su cinque). Come affrontare quest’emergenza educativa? Save the Children punta innanzitutto al completamento dell’Anagrafe Scolastica redatta dal Miur: è importante monitorare in modo continuo le presenze, le assenze, gli abbandoni e i trasferimenti di tutti i ragazzi in età dell’obbligo. Ma bisognerebbe anche iniziare a raccogliere in modo sistematico i dati relativi al reddito e al lavoro dei genitori in modo da poter mettere in atto forme efficaci di «discriminazione positiva». Fare investimenti mirati nelle aree più svantaggiate, sul modello delle cosiddette Zep francesi (le Zone di educazione prioritarie), verificando scrupolosamente l’impatto degli interventi anche con l’aiuto dei sistemi di valutazione già in vigore (le prove Invalsi, il test Pisa), che dovrebbero essere vissuti dalle scuole non come strumenti di ispezione dall’alto ma come mezzi di autovalutazione. Estendere la diffusione dei nidi soprattutto al Sud, garantire il tempo pieno e la mensa a tutti, perché la mensa scolastica non è solo uno strumento di lotta alla povertà e uno stimolo alla corretta educazione alimentare ma soprattutto un potente fattore di socializzazione e di integrazione. E infine, dice Valerio Neri, bisognerebbe introdurre una «golden rule», cioè dei criteri di scomputo dal calcolo dell’indebitamento delle spese dedicate all’infanzia e alla scuola (un po’ come immaginato dal governo Renzi per il suo piano di riordino dell’edilizia scolastica in deroga al patto di stabilità interno). Perché, come diceva Benjamin Franklin, «nessun investimento paga migliori interessi dell’investimento in conoscenza». |