Invalsi: Liberi tutti?

Fino a un mese o due fa, parlar male dell'Invalsi o anche solo avanzare critiche e perplessità per migliorarne il funzionamento e i rapporti con le scuole era considerato una sorta di Lesa Maestà

di Mario Ambel, Insegnare maggio 2014

Strano (e sempre un po' triste) paese, questo!

Fino a un mese o due fa, parlar male dell'Invalsi o anche solo avanzare critiche e perplessità per migliorarne il funzionamento e i rapporti con le scuole era considerato una sorta di Lesa Maestà. Si rischiava immediatamente l'accusa di tradimento dell'onor patrio e di estremismo. E ovviamente di conservatorismo di sinistra. Ovvero di quella particolare forma di “conservatorismo” di cui viene accusato chiunque si opponga ai fasti della società competitiva e meritocratica, della valorizzazione del capitale umano, della valutazione come leva del cambiamento, della flessibilità senza regole, ecc. ecc.

Per avanzare dubbi sulle prove Invalsi o sul loro uso bisognava iscriversi ai Cobas, oppure esserne immediatamente assimilati. Nulla di disdicevole, ovviamente, ma ci era sembrato spesso legittimo, nei tempi fin qui trascorsi, delineare e provare a coltivare un terreno di critica costruttiva, talvolta severa, ma anche di riconoscimento dei meriti così come di allertamento sugli errori e sui rischi. Ma non era possibile. Persino un documento come quello sottoscritto dalle Associazioni disciplinari che riconosceva l'importanza della valutazione di sistema e il ruolo dell'Istituto ma chiedeva, per esempio, di evitare l'inserimento delle prove negli Esami di terza media (una ostinata e sciagurata iattura) era stata considerato, anche in ambienti autorevoli, una forma di estremismo, di radicalizzazione delle posizioni.

Da qualche giorno, il vento sembra invece aver mutato direzione. Da qualche giorno parlar male dell'Invalsi, avanzare non solo dubbi, ma critiche feroci e talvolta anche prive di senso, scoprirne le lacune e le parzialità, invocarne la soppressione, boicottarne l'esercizio è divenuto pratica corrente. Abbiamo addirittura sentito esponenti politici che certo non si occupano tutti i giorni della valutazione del sistema scolastico contraddire quella che fino a poche settimane fa era una sorta di religio sine qua non: il sistema di valutazione così come viene oggi esercitato è condizione essenziale per l'efficacia del sistema e il suo miglioramento. E ora sono arrivati anche gli studenti, che passano dall'ansia indotta dei più piccoli e dal boicottaggio strisciante consumato sui banchi dei più grandi a quello esplicito portato nelle piazze, digitali e reali. Meglio: se non altro evitiamo di alterare i risultati, con tutto quel che ne consegue. Insomma, da qualche giorno parlar male dell'Invalsi è diventato una sorta di sport nazionale, come sparare sulla Croce Rossa.

A chi, come chi scrive e questa rivista e questa associazione, ha sempre cercato di lavorare per far nascere un rapporto virtuoso (che non c'é) e non vizioso (come imperversa) tra Invalsi e scuole, vien persino voglia di difenderlo. O almeno di invocare la ricerca di una soluzione non troppo approssimativa e incompetente, com'è invece prassi corrente sulla scuola. Non per partito preso, ma per un sospetto che ci coglie a porci la domanda: Ma perché questo cambio di vento? Che cosa è successo nel frattempo?

Il sospetto (di quelli andreottiani, per intenderci) è che lo scontro per la carica di Presidente dell'Istituto abbia lasciato scontente le due fazioni estreme. Quella di chi avrebbe voluto un Invalsi ancor più funzionale alla logica competitiva, meritocratica, che pretende di usare poche prove censuarie per misurare e valutare tutto: gli allievi, gli esami, gli insegnanti, le scuole, le macroregioni, il paese e usare gli esiti, ovvaimente pubblici, per fare classifiche, pubblicare risultati, premiare e punire, fornire ai genitori criteri di scelta e chi invece vorrebbe abolire i “quiz” (le prove Invalsi non sono quiz, spesso lo sono invece quelli per l'ammissione alle facoltà universitarie) e l'Istituto che li propina proprio perché funzionali a quella idea di scuola e di società competitiva ed escludente, chi non vede soluzione praticabile alla presenza di una qualsiasi forma di osservazione e valutazione esterna o mista del funzionamento e degli esiti delle istituzioni scolastiche.

Si ha come la sensazione che la sconfitta di queste due ipotesi abbia lasciato un poco più aperto lo spazio per lavorare a una soluzione intermedia: un sistema di valutazione che funziona anche perché accetta le critiche e che collabora in modo dialettico con una scuola che a sua volta vi interagisce anziché subirlo, riflette in modo professionalmente maturo sui rapporti fra la valutazione esterna e quella interna e così facendo contribuisce a migliorarle entrambe. Insomma uno spazio di costruzione condivisa di professionalità più competenti, dall'una e dall'altra parte, capaci anche di riconquistare la fiducia e la collaborazione degli allievi. Che poi è la cosa che più conta e per la quale vale la pena spendersi.

Si ha la sensazione che sia questo spazio a essere sempre più faticoso in questo paese. E che anche solo l'apertura di uno spiraglio in tale direzione finisca con l'alimentare, magari inconsapevolmente, il fuoco di fila. Asservimento a logiche preconcette e rottamazione delle procedure passate sembrano oggi aver molto più appeal. Infatti hanno subito riempito le gazzette.