Curricolo e didattiche per competenze: a cura di Giancarlo Cerini, Notizie della scuola 12.5.2014 Bene ha fatto “Tecnodid Formazione”, l'agenzia formativa riconosciuta dal MIUR, a dedicare una intensa due giorni (Taurasi-Av, 3-4 maggio 2014) al tema delle competenze, da porre in relazione con i curricoli di scuola e le didattiche effettivamente praticate in classe. Il tema non è nuovo, se ne parla da tanti anni (almeno da metà degli anni '90), ma l'obiettivo del seminario era quello di favorire il confronto tra diversi modi di vedere le competenze agite in situazione, nelle concrete dinamiche del fare scuola. Troppo spesso si va a alla ricerca di definizioni puntuali sul piano scientifico, mentre invece le idee diventano più vaghe ed incerte quando si passa dalle parole ai fatti (dal curricolo “dichiarato” a quello “praticato”). Così si è chiesto ad illustri esperti di presentare – ad un gruppo volutamente non troppo numeroso di partecipanti – diversi “format” di progettazione didattica per competenze, intendendo per “format” schemi operativi utili a guidare l'azione didattica, a rappresentarla, comunicarla, renderla valutabile. Insomma, una specie di filigrana dell'intenzionalità progettuale. Dalla successione delle presentazioni, dai confronti, dalle puntualizzazioni sono emersi alcuni punti condivisi.
Competenze e curricoloIntanto, si è ribadito che il termine “competenza” non può essere solo un gioco di parole, un cambio di etichette verbali, un dispositivo pedagogico “alla moda”. Il concetto non è isolabile dall'idea di curricolo, cioè dal superamento di una visione della scuola legata a programmi didattici statici e rigidi, da applicare in modo uniforme in tutte le realtà. Curricolo rimanda ad una esperienza educativa condivisa, che mette in moto le relazioni tra le persone, il loro impegno professionale, la capacità di progettare e realizzare una proposta didattica adeguata alle caratteristiche degli allievi e di verificarne i risultati. È necessario uscire dall'isolamento tipico dei docenti (fossero pure grandi “solisti della didattica”), portare avanti un lavoro di tipo collaborativo, fare comunità professionale. E si è detto che questa comunità si costruisce se è animata da un dirigente [erano molti i dirigenti presenti a Taurasi] che sappia curvare la sua azione verso una leadership aperta, condivisa, focalizzata sul miglioramento di ciò che avviene in classe e quindi sui risultati degli allievi (leadership per l’apprendimento)[Stancarone]. Se il curricolo è orientato alle competenze, se è “verticale”, se è richiamato da Indicazioni Nazionali e Linee Guida pertinenti (più nel primo che nel secondo ciclo) allora il dibattito sulle competenze esce dalla sterilità e diventa scuola viva, contesto di apprendimento.
Definizioni credibiliMa perché il concetto di competenza è così avvincente? Siamo in presenza di un costrutto qualitativo, da diventare quasi sfuggente, inafferrabile, impalpabile. Giustamente, si è detto, non si “vedono” le competenze, ma piuttosto si vede in azione una persona competente, che agisce in modo appropriato per affrontare situazioni spesso inedite. Ci sono tante definizioni di competenze, alcune addirittura ufficializzate nei documenti europei, per esempio: “Le competenze chiave di cittadinanza” del 2006; il “Quadro europeo delle qualificazioni” del 2008. Quest'ultimo presenta un codice di lettura dei risultati di apprendimento (come abilità, conoscenze, competenze) che dà valore comparabile ai diversissimi titoli di studio rilasciati dei diversi paesi europei, quasi una sorta di “euro” dell'apprendimento! Ma anche i testi normativi italiani non sono da meno, a partire dalle ultime Indicazioni nazionali per il 1° ciclo, che definiscono un “profilo atteso delle competenze a 14 anni” e fissano dei traguardi di competenze per ogni disciplina. Abbastanza simile è pure il percorso disegnato per il secondo ciclo, nelle Indicazioni per i Licei (più attenuato) e nelle Linee Guida per i Tecnici e Professionali. Questa pervasività del concetto lo fa uscire dal tecnicismo di certe definizioni funzionali e performative e lo arricchisce di molti significativi. Basti pensare che una delle definizioni più “ariose” di competenza (non a caso al singolare) la si trova nel capitolo delle Indicazioni relativo alla scuola dell'infanzia (2012), che per altro l'aveva già anticipata negli Orientamenti del 1991, in tempi non sospetti, come una delle finalità del progetto educativo 3-6 anni [Seccia].
Una certa idea di competenzaC'è un plafond comune alle diverse idee di competenze. I relatori l'hanno composto portando ciascuno un tassello significativo. Certamente nelle competenze trovano spazio i riferimenti ai saperi e alle conoscenze da acquisire, di tipo dichiarativo (il “sapere cosa”). Dunque è opportuno che siano individuate all’interno di ogni disciplina, evitando però il rischio dell’enciclopedismo e concentrando l’attenzione sui nuclei essenziali di ogni sapere. Però non basta; l’idea di competenza sposta il focus anche verso le conoscenze procedurali (il sapere “come”), le abilità, gli apprendimenti agiti. In questa ottica rimanda a processi della mente, all’organizzazione logico-linguistica del pensiero, ad organizzatori cognitivi via via più complessi ed approfonditi [Petracca]. È opportuno, dunque, intestarle agli allievi e predisporre situazioni di apprendimento in grado di “mobilitarle”. L’azione, l’attitudine all’operatività, il ri-uso delle conoscenze, il mettersi alla prova, la motivazione ad affrontare i problemi (in generale: il “saper interagire”) sono l’indispensabile corollario di questo concetto “dinamico” e “non inerte” di competenza. Una competenza non è solo una prestazione operativa ben definita e standardizzata (quella semmai è una abilità, un automatismo, un saper fare). C'è qualcosa di più, che attiene alle risorse del soggetto, al suo percepirsi competente (“agency”), alla sua capacità di iniziativa e di successo in un contesto di vita (“capability”). Ecco perché è possibile coniugare il riferimento alle competenze all'idea di una scuola inclusiva, in cui ogni allievo – con le sue caratteristiche, le sue condizioni, le sue intelligenze– sia accompagnato verso la conquista delle competenze [Carlini]. I traguardi che abbiamo in mente sono comuni, ma i percorsi devono interagire con le diverse caratteristiche dei soggetti. Appunto: traguardi per lo sviluppo delle competenze, come suggeriscono le Indicazioni/2012.
Il trasversale viene prima o dopo?Le competenze hanno una naturale propensione ad aprirsi, ad uscire dai recinti disciplinari entro cui sono spesso rinchiuse le conoscenze, a sostenere uno sguardo ampio sulla realtà. Diventano strumenti per osservare, per capire e per agire. Non restano un artificio scolastico (per questo si parla di competenze per l'educazione “permanente”), si associano all'idea di cittadinanza attiva, alle life skills, e si sostanziano nei profili di competenza (nei documenti ufficiali: a 6 anni, a 14 anni, a 16 anni e nelle specificità dei diversi indirizzi). Dunque sono trasversali. Ma il “materiale” con cui si costruiscono le competenze è dato dalle “discipline”, da quei saperi che pongono vincoli ma offrono nuove opportunità per capire e comprendere (dunque: conoscenze, linguaggi, regole, dispositivi ermeneutici). Una didattica della lingua per competenze fa scoprire in profondità l'organizzazione di un testo [Loiero]. Forse è questo il motivo per cui nelle Indicazioni/2012 per il primo ciclo le competenze si trovano innervate nelle discipline (i traguardi sono orientati alle competenze); ed è per questo che sono stati tolti i riferimenti ad aree o ambiti precostituiti: non per negare il valore formativo della connessione tra i saperi (basta leggere la premessa intitolata al dialogo tra i saperi), ma per rendere concreta questa integrazione passando dalle dichiarazioni di principio al livello del lavoro in classe. Sono le concrete situazioni di apprendimento (ma si potrebbe dire: le didattiche “autentiche”, i contesti operativi, gli ambienti e le tecnologie, le relazioni e i significati) a dirci se c'è dialogo tra i saperi, se ciò che si fa a scuola ha effetti generativi, se è destinato a permanere negli atteggiamenti dei ragazzi anche dopo il suono della campanella. Ma tutto questo implica la trasformazione delle classi in veri ambienti di apprendimento, rimettendo in discussione la routine della lezione frontale, l'organizzazione degli spazi, la gestione a scacchiera degli orari. È tempo dunque di sperimentare nuove didattiche: collaborative, partecipate, operative [Stornaiuolo].
Ragionare in verticaleLa verticalità del curricolo rappresenta un elemento innovativo delle Indicazioni, ricco di suggestioni psicopedagogiche, se si esce dallo scontato omaggio alla continuità educativa o dal buonismo dei raccordi tra un grado scolastico all'altro. Nel testo delle Indicazioni/2012 il curricolo verticale viene sì presentato come continuo e unitario (quindi con una sua compattezza e coesione interna), ma gli aggettivi che lo contrassegnano sono piuttosto quelli di un percorso “evolutivo”, “progressivo”, “ricorsivo” [Cerini]. A fianco delle ragioni della continuità si affacciano quelle della discontinuità, che reclamano una più sicura progressione degli apprendimenti, delle strumentalità di base, da arricchire nel passaggio da uno step all'altro (cosa cambia negli apprendimenti? Cosa ritorna ciclicamente? Come evolvono i processi? Come si affinano e ampliano i contenuti?). Un curricolo verticale potrebbe prendere spunto dal profilo delle competenze del 14enne (le 12 competenze trasversali, da leggere in connessione con le 8 competenze-chiave europee), riscoprire a ritroso la connessione con i traguardi di competenze delle diverse discipline (che magari sarebbero da declinare in termini più operativi e con degli step intermedi alle classi), essere poi accompagnate dalla individuazione delle abilità e dei contenuti da mettere al centro delle diverse situazioni di apprendimento [Da Re]. Ogni competenza potrebbe poi essere dipanata in una serie di livelli attraverso una rubrica descrittiva dei comportamenti attesi, utile anche per una valutazione meno improvvisata e intuitiva di quella affidata ai voti in decimi. Ma questo sarebbe molto più simile al National Curriculum inglese, piuttosto che alle Indicazioni/2012, che restano ancorate ad un impianto “narrativo” di carattere generale. Così spetta alla scuola declinare operativamente in verticale i traguardi di competenza, stabilire la connessione tra traguardi e obiettivi (in cui i primi sono prescrittivi, i secondi più orientativi), definire criteri di valutazione. Un lavoro utile per contestualizzare e condividere, ma che richiede molto tempo che potrebbe essere destinato piuttosto alla concreta progettazione e verifica del lavoro in classe [Spinosi]. È stato fatta la richiesta ai membri del CSN (Comitato Scientifico Nazionale delle Indicazioni), alcuni dei quali presenti a Taurasi, della elaborazione di Linee Guida nazionali per la costruzione del curricolo, con protocolli più operativi delle competenze attese, capaci di orientare il lavoro delle scuole [Ciccone].
Valutare bene convieneMolti format di progettazione per competenze prevedono la scomposizione analitica di una competenza nei suoi elementi costitutivi (riferimento ad oggetti di conoscenza, individuazione delle abilità implicate, prefigurazione di comportamenti) per trarre qualche indizio sulle esperienze di apprendimento da promuovere per mobilitare una competenza. Connessa a questa azione è anche la costruzione di rubriche di osservazione/valutazione che consentono di prefigurare i concreti comportamenti che gli allievi devono mettere in atto per rendere evidente la padronanza di una determinata competenza. Un metodo utile, nella consapevolezza che non è la sommatoria di micro-abilità o di contenuti di conoscenza a dar luogo ad una competenza [Castoldi]: c'è un elemento olistico da considerare, che sfugge a misurazioni oggettive e va piuttosto colto nel suo evolversi attraverso una valutazione formativa (un portfolio, un dossier, prove complesse), che chiama in causa la consapevolezza del soggetto (l'autovalutazione), la natura dei prodotti cognitivi (valutazione autentica), oltre che la descrizione degli apprendimenti acquisiti (sulla base di criteri di riferimento). In materia di valutazione occorre usare con cautela la dicitura “certificazione delle competenze”, che richiederebbe sempre un soggetto “terzo” (mentre qui è affidata ai docenti) e degli standard di comparazione. Nel nostro caso sarebbe già tanto parlare di una attestazione delle competenze in fase di acquisizione, visto che il compito della scuola di base è proprio quello di accompagnare gli allievi verso l'acquisizione progressiva di competenze sempre più solide, in un processo che assume tempi, ritmi e caratteristiche diverse per ogni alunno. La descrizione dell'evoluzione delle competenze attese rappresenta una operazione indispensabile propedeutica ad ogni valutazione. La preoccupazione non deve essere quella di sanzionare o classificare un apprendimento, ma di “riconoscerlo” e “descriverlo” nella sua evoluzione, in modo da fornire agli allievi le giuste informazioni di ritorno, incoraggiare il miglioramento, sostenere la motivazione. La stessa elaborazione di uno strumento nazionale di certificazione nel primo ciclo dovrebbe rispondere a questa preminente preoccupazione pedagogica, piuttosto che a ragioni di carattere giuridico-legale che appaiono fuori luogo nella scuola di base.
La ricerca continuaDal seminario di Taurasi è emerso un “format” sufficientemente coerente e unitario della progettazione per competenze. Molte questioni, poste dai curatori dell'evento Giancarlo Cerini e Mariella Spinosi, restano aperte ma sono state individuate possibili chiavi di soluzione:
Quando si ragiona per competenze (ed ora anche i documenti ufficiali invitano a farlo) si rimette in discussione il modo di essere della scuola: deve cambiare il mestiere dell'insegnare, perché non è risolvibile nella sola successione delle lezioni frontali, ma deve cambiare anche il mestiere dell'allievo [Muraglia], perché non basta adagiarsi sulla rassicurante scansione lezioni, interrogazioni, esercitazioni, ripetizioni. Dunque un invito per tutti a rimettere in moto il pensiero, a tenere aperta la ricerca su modalità didattiche innovative, ad arricchire la professionalità docente, ad ampliare il repertorio delle soluzioni didattiche. La Tecnodid, promotrice del seminario in veste di agenzia formativa riconosciuta dal MIUR (“Tecnodid/formazione”), si è impegnata [Crusco] a sostenere questo itinerario di ricerca, attraverso attività editoriali anche innovative (ipertesti esemplificativi in forma di e-book), la proposta di seminari e work-shop a livello territoriale, un servizio di “networking” tra formatori, associazioni, scuole, figure di sistema.
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