Merende a scuola solo a chi può pagarle La decisione del sindaco di Pomezia di concedere un dolce a scuola solo a chi può sostenere un sovrapprezzo di 40 centesimi sul buono mensa. di Paola Di Caro la 27 ora, blog del Corriere della Sera, 23.5.2014 I bambini capiscono tutto. Capiscono se papà e mamma fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, se non possono permettersi vacanze e pizze il sabato sera, se la maglietta del calciatore preferito è quella delle bancarelle, quasi uguale all’originale, in fondo. I bambini sanno che non siamo tutti uguali. Lo imparano prima di prendere una penna in mano per scrivere il proprio nome. Sono consapevoli che la vita è quella che gli arriva ogni giorno, nel bene e nel male, di diverso dagli adulti hanno solo la capacità di inventarsi una felicità rapida e assoluta senza chiedersi che ne sarà di quel momento, domani. Ma è proprio perché i bambini capiscono, e sanno accettare l’inaccettabile, che la decisione del sindaco di Pomezia di concedere un dolce a scuola a merenda solo a chi è in grado di pagare un sovrapprezzo di 40 centesimi sul buono mensa, suscita un insostenibile senso di ingiustizia e di riprovazione. Il dolce, nell’immaginario di un bambino, è molto di più di un giocattolo o una scarpa griffata o un giro alle giostre. Il dolce è quello che rende anche il pasto più anonimo e trascurabile degno di essere consumato nell’attesa che arrivi il bello. È il bello della vita anche quando la vita è amara, è qualcosa che ogni tanto scende a illuminarti il giorno anche quando non ci pensavi più, che aggiusta i mali e lenisce le ferite. A meno di una colpa da punire. «Non mangi il dolce» è la più antica e semplice punizione, la caramella se fai il bravo il premio più ovvio. Da che esiste il mondo. E se un bambino può capire il sacrificio rispetto al necessario, non può né deve imparare ad accettare la discriminante privazione della gioia assoluta, l’aspirazione a un momento di pura felicità a cui tutti, fossero anche gli ultimi degli ultimi, hanno diritto. Un bambino può continuare ad essere felice se mangia pollo e non filetto, ma non può esserlo se comincia a credere che la sottrazione di quel dolce derivi da una qualche colpa, da una diversità oscura e incomprensibile. Ci sarà pure un sistema per scrivere il lieto fine a questa brutta storia. Ma aver abbassato lo sguardo davanti al luccichio degli occhi di un bambino quando si lecca le dita, ci trasforma già in quello che non vorremmo essere, in quello che forse siamo già diventati. |