Tutti debbono essere valutati, dal blog di Giorgio Israel, 7.5.2014 È uscito oggi sul Corriere della Sera uno sconcertante articolo a firma di Gianna Fregonara a proposito dei test Invalsi, il cui titolo rispecchia perfettamente il contenuto: «La scuola che ha paura di farsi valutare».
L’articolo si riduce a un sillogismo: a) la scuola deve farsi
valutare; b) la valutazione coincide con i test Invalsi; c) chi non
accetta i test Invalsi ha paura di farsi valutare. Siamo d’accordo che la scuola deve farsi valutare. Siamo d’accordo che chi non vuol farsi valutare ha un atteggiamento riprovevole. Ma come si debba valutare è una questione aperta alla discussione, se è ancora lecito sperare di non vivere in un regime di pensiero unico. L’articolo si riduce quindi a una geremiade contro chi semina dubbi contro l’Invalsi e i suoi test – “ovvero”, nella logica di Fregonara, contro la valutazione in sé e per sé – e quindi contro chi non vuole migliorare la scuola italiana. «Come da copione», lamenta Fregonara stigmatizzando le proteste e le contestazioni e, nella sua ortodossia, arriva al punto di stigmatizzare persino una dichiarazione della presidente dell’Invalsi Annamaria Ajello, per aver parlato di “domande trabocchetto”, troppo difficili e persino a lei incomprensibili, e aver in tal modo seminato «dubbi». In altri termini, nessuno può entrare nel merito di quel che fa l’Invalsi, dei test che confeziona e “somministra”, quasi si trattasse del Vangelo: bizzarra situazione in tempi in cui neppure il Vangelo gode più di un simile trattamento di favore. Siamo in tanti ad essere favorevoli alla valutazione, siamo in tanti a sgolarci facendo proposte alternative e di correzione dell’andazzo scelto negli ultimi anni. Siamo in tanti a stigmatizzare la diffusione del dannosissimo “teaching to the test” e la scandalosa esplosione di libercoli di addestramento ai test, talora scritti dagli stessi consulenti dell’Invalsi. Siamo in tanti ad aver perso tempo ad analizzare i test proposti uno per uno rilevandone i difetti, con argomenti che non sono certo da prendere come i Dieci Comandamenti, ma che hanno il diritto di essere presi in considerazione e discussi. O no? No. È stata la risposta fino ad ora. Di quel che dicono e pensano i critici alle vestali della valutazione invalsiana non importa nulla. Loro hanno la verità in tasca per via amministrativa. E Gianna Fregonara si schiera su questa linea: zitti e in riga, discutere è vietato, o meglio, è semplicemente la prova che non volete farvi valutare. Si gira la testa dall’altra parte di fronte al vero scandalo, e cioè che un ente preposto alla valutazione rifiuti di farsi valutare, quantomeno accettare un confronto: una contraddizione per la quale è difficile trovare aggettivi adeguati. Si gira la testa dall’altra parte di fronte al fatto che i consulenti che confezionano i test sono sempre gli stessi da anni, inamovibili e dotati del potere di scegliere in modo arbitrario i docenti che, remando sottocoperta, preparano la platea di “pretest” da cui, in un grottesco percorso di ben due anni, vengono selezionati quelli da “somministrare”. Si gira la testa dall’altra parte di fronte al fatto che la selezione sui “pretest” non viene fatta in base alla loro qualità di contenuto, ma in base a una procedura demenziale, e cioè alla loro conformità ai criteri statistici derivanti dall’applicazione di un modello matematico, il modello di Rasch, ampiamente contestato nella letteratura, quantomeno opinabile e tutt’altro che garante della tanto ridicolmente sbandierata “oggettività”. Si gira la testa di fronte al fatto che gli stessi consulenti dichiarano che il modello di Rasch – ormai il Moloch dell’Invalsi – non ammette una verifica in termini di “fitting” empirico. Quando queste cose sono state contestate non vi è stata risposta, se non un ritirarsi iroso dalla discussione, nella rarissime occasioni in cui questa si è prodotta. Forse queste cose Gianna Fregonara non le sa. Forse non ha idea di cosa sia il modello di Rasch o non ha idea delle procedure seguite dall’Invalsi. Allora dovrebbe prudentemente tacere, invece di presentare, con un sillogismo sgangherato, persone serie che vogliono discutere seriamente come parassiti che non vogliono farsi valutare. Altrimenti, non dà soltanto prova di meritare una bocciatura nelle “competenze” di ragionamento, ma di essere ispirata da una visione ostile alla discussione aperta e libera; senza la quale parlare di valutazione è una presa in giro, o uno stile da regime. |