La scuola non abboccherà di Marina Boscaino, MicroMega 25.7.2014 La prima notizia è che, un paio di settimane fa, siamo stati in molti vittima di una straordinaria allucinazione collettiva. Ce lo hanno rivelato Simona Malpezzi, parlamentare; Valeria Baglio Presidente del Consiglio del Municipio Roma XI (oggi Municipio VIII); Roberto Reggi, sottosegretario all’Istruzione, tutti esponenti del PD, durante un dibattito tenutosi alla Festa dell’Unità, a Roma, mercoledì sera sul tema delle scuole aperte. Il “piano scuola”, annunciato – o meglio, a questo punto dobbiamo dire inventato – da Corrado Zunino su Repubblica (che prevedeva l’aumento dell’orario di lavoro dei docenti fino a 36 ore, l’eliminazione dell’ultimo anno delle scuole superiori, l’apertura progressiva delle scuole fino alle 10 di sera e compreso il mese di luglio, l’attribuzione ai dirigenti scolastici di un ruolo dirimente rispetto all’assunzione degli incarichi e alla carriera dei docenti, l’integrazione delle supplenze sotto i 15 giorni all’interno dell’orario prolungato dei docenti di ruolo, con grave danno nei confronti dei precari), ha scatenato la pronta reazione da parte della scuola, che si è concretizzata in alcune giornate di mobilitazione in molte città d’Italia non era reale. A turno Baglio, Malpezzi e Reggi (cui l’improvvido Zunino ha attribuito il piano) lo hanno negato. Quindi, ci hanno assicurato, abbiamo avuto le allucinazioni e ci siamo allarmati per nulla. Però. 1) Il sottosegretario ha anche in seguito e in varie occasioni ribadito quanto affermato dall’articolo di Repubblica, in particolare su Radio anch’Io, (Radio 1) del 7 luglio; mentre, d’altra parte, altri esponenti del partito smentivano a mezza bocca che la “riforma” avesse quei contenuti e Giannini annunciava laconicamente che l’orario dei docenti “non è un tema in agenda”. Nessuna parola dal premier Renzi; il che potrebbe costituire un dato non neutro. È certo infatti che nell’armata del decisionismo e della velocità al potere (ma la fretta non è una cattiva consigliera?), vere e inventate che siano state, le affermazioni di inizio luglio hanno prodotto non pochi malumori spaccature, fronti. 2) Qualsiasi domanda sia stata volta mercoledì sera ai tre esponenti del PD in merito ai fondi previsti per il piano scuole aperte è stata elusa. In qualsiasi incontro pubblico il partito di maggioranza, parlando di scuola (che continua ad essere – almeno ed esclusivamente nelle parole del premier – il punto di partenza, la “madre di tutte le battaglie”, come l’ha chiamata) si tende a ricondurre l’attenzione sull’edilizia scolastica, unico risultato portato (molto parzialmente) a casa, con uno stanziamento di fondi ben inferiore a quello annunciato e promesso all’inizio del mandato. Per il resto, solo promesse. Scuole aperte come prova della volontà di rinnovamento: dimenticano però che la legge 517/77 all’art. 12 prevedeva tale possibilità, che molte scuole hanno praticato, attraverso accordi e convenzioni stipulate dagli enti locali sotto la cui competenza sono gli istituti. Molte delle “buone pratiche” cui i 3 politici hanno fatto continuamente riferimento e che hanno animato la vita di interi territori attraverso l’ausilio delle scuole sono state inaugurate molti anni fa, quando gli enti locali potevano contare su finanziamenti significativi. La domanda oggi è: a parte il personale, chi pagherebbe i consumi delle scuole aperte, quando oggi lo stesso riscaldamento in orario curriculare è spesso a rischio? La risposta è: i privati. 3) Il leit motiv delle “buone pratiche” da diffondere a tutte le scuole non tiene conto di un principio di realtà: da anni la gran parte delle scuole si sta sostenendo sulla spinta del lavoro aggiuntivo (non pagato) dei docenti, di ruolo e precari. Manca il quotidiano, manca l’ordinaria amministrazione. I tagli hanno rastrellato posti di lavoro e risorse pregresse. Nei discorsi di Reggi e delle sue colleghe è ricorso spesso il termine “volontariato”, che indica la comoda ipotetica soluzione di riforme a costo zero, da respingere drasticamente. 4) I docenti: tra un encomio e l’altro al nostro lavoro, tra una rivendicazione della necessità di una maggiore gratificazione, è spuntato un tema che in qualche modo rimanda alla consueta immagine del fannullon-profittatore che alberga necessariamente (a detta dei novelli solone) in ciascuno di noi. I professori rifiuterebbero un aumento dell’orario perché hanno le ripetizioni. Si tratta, al solito, di una strategia sottile, che devia l’attenzione da una serie di problemi (assenza di un rinnovo contrattuale da 5 anni, tentativo di intervenire su una materia contrattuale per legge, ecc) per accomunare sotto un’unica etichetta (negativa) tutti i docenti. Si persegua seriamente l’evasione fiscale, senza sparare a zero su un’intera categoria di lavoratori, molti dei quali serissimi. 5) Per il momento portiamo a casa un risultato; immediatamente a ridosso delle giornate di mobilitazione, il 22 luglio, Giannini ha dichiarato: ”Stiamo riflettendo su un nuovo pacchetto di misure che riguardano le competenze degli studenti, la valorizzazione del ruolo degli insegnanti e la governance e l’autonomia delle scuole. E’ un lavoro che il cantiere scuola del Miur ha prodotto in questi tre mesi e che consegneremo a breve al Presidente del Consiglio. Nei prossimi mesi ci sarà una consultazione per arrivare finalmente in autunno ad una visione omogenea del tema scuola”. Cosa vi sia contenuto esattamente, non è dato sapere. Si possono fare solo delle previsioni, certamente non positive, considerato il modo in cui sono state gestite le cose fino ad ora, tra un annuncio, una calendarizzazione rimandata, una promessa, l’assenza totale di interlocuzione con il mondo della scuola. Per il momento però possiamo rallegrarci: i “sabotatori del cambiamento” (sic!) (come coloro che si stanno opponendo alla riforma del Senato), quelli che dicono solo “no” (come lo zelante Zunino di Repubblica, dopo la probabile tirata d’orecchie che ha ricevuto in seguito al primo articolo, ci ha voluto definire), quelli – sempre secondo Zunino – mobilitati dalla “protesta automatica, con l’autoscatto, del sindacato italiano in cui c’è molta conservazione e molta autoconservazione” (ma che film ha visto?) sono riusciti – almeno per il breve spazio dell’estate – a far rimangiare le proposte indecenti. 6) Infine: siccome non siamo quello che il giornalista di Repubblica sostiene (“La scuola siamo noi”, si intitola la sua rubrica. Quanti anni è stato in classe?) cerchiamo, come abbiamo fatto qualche sera fa a Roma, di intervenire in tutte le occasioni di incontro con i cantori visionari della “scuola che sarà”; tentando di ristabilire – con la coerenza delle nostre argomentazioni – un principio di realtà che argini il profluvio di promesse e parole in libertà che tentano costantemente di propinarci. E ribadendo che la scuola non abboccherà agli incanti dell’ennesimo pifferaio magico che pretende di calarle dall’alto l’ennesima (contro)riforma. |