Dirigenti pubblici licenziabili

di Luigi Oliveri, ItaliaOggi 15.7.2014

Non chiamateli licenziamenti anche se l’effetto è sempre la risoluzione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici privi di incarico. La versione assestata del ddl legge-delega di riforma della pubblica amministrazione elimina la parola espressa “licenziamento”, ma tratta la sorte dei dirigenti che restano senza incarichi esattamente allo stesso modo. Si stabilisce, infatti, che i dirigenti privi di incarico riceveranno il trattamento economico fondamentale e la parte fissa della retribuzione (sostanzialmente la sola retribuzione tabellare, senza posizione e risultato) maturata prima dell’entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione della legge-delega, e verranno posti in disponibilità. Lo schema di ddl aggiunge che detti dirigenti, a seguito di un determinato periodo di collocamento in disponibilità, decadranno dai ruoli unici. Il che equivale a dire, dunque, che verrà risolto il rapporto di lavoro. E, poiché il collocamento in disponibilità dura 24 mesi, a meno di modifiche speciali da parte dei decreti legislativi attuativi, basteranno due anni senza incarico perché i dirigenti di ruolo perdano il lavoro.

La configurazione del licenziamento dei dirigenti pubblici, contrariamente a quanto ha dichiarato la titolare del dipartimento della Funzione Pubblica Marianna Madia secondo la quale vi sarebbe piena parità di posizione tra una dirigenza di ruolo e quella “di fiducia” politica soggetta allo spoil system, rivela una sperequazione evidente a svantaggio dei dirigenti di ruolo.

Infatti, sono soltanto i dirigenti che accedono ai ruoli unici per concorso a rischiare il licenziamento e la perdita secca del lavoro. I dirigenti a contratto, cooptati senza concorso dalla politica (ricordiamo che il d.l. 90/2014 ha esteso dal 10% al 30% il numero di dirigenti a contratto negli enti locali) nella stragrande maggioranza dei casi assumono l’incarico dirigenziale avendo alle spalle un altro rapporto di lavoro. Infatti, ai sensi dell’articolo 19, comma 6, si tratta di magistrati o di professori o ricercatori universitari, avvocati dello Stato o anche di funzionari della medesima amministrazione conferente l’incarico dirigenziale.

Dunque, i dirigenti a contratto contano, in generale, su due rapporti di lavoro: quello “di provenienza”, che diviene quiescente (si prevede, infatti l’aspettativa); e quello “di destinazione”, cioè l’incarico dirigenziale conferito dall’organo di governo. Pertanto, quand’anche la dirigenza non di ruolo dovesse perdere l’incarico per scadenza del mandato ed esercizio dello spoil system, perderebbe, sì, l’incarico dirigenziale, ma non il lavoro (salvo il caso di persone provenienti dal privato che non riescano ad ottenere la collocazione in aspettativa).

I dirigenti di ruolo, invece, se restano privi di incarico per il tempo che indicheranno con maggior precisione i decreti delegati non avranno alcun paracadute: perderanno non solo l’incarico, ma, decadendo dal ruolo, subiranno la risoluzione del rapporto di lavoro.

Dopo giorni di fuoco e fiamme, ora è il momento dell’attesa. Se è vero che il premier Matteo Renzi, entro un paio di settimane al massimo, illustrerà le linee guida per la riforma della scuola da sottoporre alla consultazione pubblica, a breve ci sarà ben altro che gli annunci da poter commentare.

Ma se quegli annunci saranno confermati nei contenuti, la strada della mobilitazione, e di un eventuale sciopero, sembra l’unica percorribile. Per i sindacati più moderati, come la Cisl e la Uil scuola, e per quelli più intransigenti, come la Cgil. Una protesta che metterebbe d’accordo non solo i confederali, ma anche i movimenti. Saldando le proteste dei docenti di ruolo e di quelli precari.

Ad accendere la miccia, il pacchetto scuola, con i dettagli sulla riorganizzazione del lavoro dei docenti, la revisione dello status giuridico, l’organico funzionale e il taglio di un anno del percorso scolastico così come anticipati dalla stampa in questi giorni. In un’intervista a ItaliaOggi, il sottosegretario all’istruzione, Roberto Reggi, getta acqua sul fuoco e apre la strada al confronto seppure con tempi contingentati. Si vedrà se questo percorso darà i suoi frutti.

Intanto ieri l’esecutivo nazionale della Uil scuola ha approvato all’unanimità il mandato a contattare tutti gli altri sindacati rappresentativi del settore per organizzare, per i primi di settembre, una manifestazione con tutte le Rsu (le rappresentanti sindacali dei singoli istituti) nella quale analizzare le norme che saranno proposte e decidere le eventuali mobilitazioni. «A prescindere da tutto, c’è un contratto di lavoro che non è stato rinnovato», spiega il numero uno della Uil scuola, Massimo Di Menna, «e se nella legge di stabilità non ci saranno le risorse, non sarà rinnovato fino al 2018. Su questo chiediamo risposte chiare. Poi c’è tutto il resto».

Tutto il resto, come quelle 36 ore di lavoro settimanali, ad oggi già previste, e che però nel piano di Renzi diventerebbero più stringenti per i docenti, il cui maggiore impegno sarebbe valutato anche ai fini sella carriera. «Siamo prontissimi a confrontarci su come definire e riconoscere carichi orari diversificati; in molti casi, peraltro, si tratterebbe soltanto di dare visibilità a oneri di maggiore impegno già oggi sopportati da tanti insegnanti, ben oltre il solo orario di cattedra», ragiona Francesco Scrima, segretario Cisl scuola (che ha preparato una tabella di sintesi sui carichi di lavoro in Europa), «ma non si pensi di poter dilatare quest’ultimo a piacimento e a dismisura, significherebbe non conoscere il lavoro di chi sta a scuola».

Lo Snals-Confsal guidato da Marco Paolo Nigi respinge l’ipotesi di compensare finanziariamente l’aumento di tempo-denaro per i docenti o l’introduzione di nuove discipline con la decurtazione di un anno delle scuole superiori (da 5 a 4 anni). E parla dichiaratamente già di sciopero Rino Di Meglio, coordinatore nazionale Gilda: «I docenti italiani lavorano quanto i loro colleghi europei, e in alcuni casi anche di più, basta considerare che le ore di insegnamento sono di 60 minuti e non di 45 o 50 come in altri Paesi Ue, l’approccio del governo è intollerabile». Attacca la Flc-Cgil di Mimmo Pantaleo: «Le proposte di Renzi si chiamano merito e carriera, ma significano tagli lineari e aumento dei carichi di lavoro». Pantaleo attacca anche le consultazioni on line, «sono di stampo grillino, non sono affatto convincenti, si apra invece un grande dibattito con docenti, Ata, genitori, studenti».