L'incanto smarrito

di Giuseppe Bagni, Insegnare 9.7.2014

Non scrivo volentieri del "piano per la scuola" di cui sono uscite alcune notizie sui giornali: ne sappiamo troppo poco.

Dico solo che si prosegue con la logica delle anticipazioni parziali e aperte a diverse interpretazioni che stimolano le reazioni confuse e di pancia dei soggetti interessati. Che diventano sempre meno soggetti, sempre più massa indistinta dove i ruoli specifici non contano più nulla (tutti scrivono di tutto). Con il comune denominatore di essere un pubblico che fischia o applaude di fronte a uno spettacolo che comunque si svolge altrove. 
Restando su questa strada si rinuncia a stimolare partecipazione e a costruire consenso su posizioni che siano un avanzamento rispetto a quelle portate da ciascuno. Dispiace, perché abbiamo un esagerato bisogno di buona politica, quella che si pone l'obiettivo di far crescere il pensiero del Paese. Della pessima, che cerca di scoprirlo per trarne consenso, ne abbiamo avuta abbastanza.
Preferisco, per così dire, "riflettere sulle nostre riflessioni" cercando di capire cosa c'è dietro i tanti insegnanti che non rispondono un no secco al “raddoppio” dell'orario di lavoro, ma accettano il confronto e sono disponibili a ragionarci sopra. 
Non sono pochi, e sono insegnanti consapevoli del valore del proprio lavoro. Ne troviamo traccia anche nei commenti che pubblichiamo in questo spazio della rivista, molto ricchi e stimolanti.
Cosa li spinge? Faccio alcune ipotesi: il senso di responsabilità rispetto alla situazione di crisi del Paese; la convinzione che questa sia la strada giusta per risolvere i problemi reali della scuola; il miraggio di uno stipendio finalmente europeo.
Nessuna delle tre motivazioni mi convince.

Gli insegnanti consapevoli sanno di lavorare alle prese con una carenza di risorse di cui non si vede fine e di far comunque funzionare la scuola (una delle poche istituzioni ritenute ancora degne di fiducia) grazie al proprio impegno. Il senso di responsabilità lo dimostrano tutti i giorni.

Che sia la strada giusta per migliorare la qualità della scuola non ci può credere nessuno che capisca di scuola. I problemi sono sul tappeto da anni, ben documentati dalle rilevazioni europee e dall'Invalsi: un livello di dispersione che non si riesce a intaccare; differenze abissali da regione a regione come se la nostra penisola fosse in realtà un arcipelago che comprende la Finlandia e il Qatar; scelte di scuola che chiudono gli orizzonti, con differenze di profitto "tra" le scuole diventate più grandi di quelle tra gli alunni "nella" stessa scuola!. Come dire che invece di "rimuovere gli ostacoli" alla realizzazione individuale, il contesto scuola ne produce di nuovi.

Di fronte a questa situazione gli insegnanti sanno che ci vogliono ben altri interventi prima di parlare di orari e di aperture serali. Perché una scuola può essere "aperta al pubblico" fino alle 22 senza per questo svolgere bene la sua funzione "pubblica", istituzionale, che è altra cosa. Non ci serve una scuola che prosegua al pomeriggio, nei corsi di recupero, il pessimo lavoro iniziato al mattino.

Nemmeno la prospettiva di uno stipendio europeo spiega da sola la disponibilità a  discutere del proprio orario di lavoro. Altrimenti resta impossibile capire cosa abbia spinto fino a oggi tanti ottimi insegnanti (non tutti ma tanti) a far bene il proprio lavoro pur in cambio degli stipendi attuali.

 Io dico che le ragioni sono più profonde e fanno capo al disincanto. La fine dell'illusione di questi insegnanti di modificare in tutto o almeno in parte l'immagine stereotipata del loro lavoro che viene fatta propria dalla politica ("gli insegnanti in Italia lavorano meno.").

Se per l'opinione pubblica restiamo quelli che godono del privilegio del posto fisso, delle 18 ore di lavoro settimanali e dei tre mesi di ferie l'anno, allora l'unica possibilità è cambiare tutto. Una posizione forte, ma anche facile da assumere da parte di chi sa di lavorare già ben oltre 36 ore settimanali. Pur di distruggere lo stereotipo dominante sugli insegnanti si diventa disponibili a mettere tutto in mostra, facendo tutto a scuola, sotto gli occhi attenti del dirigente. In fondo non è il massimo dei piaceri usare le domeniche e i dopo cena per correggere i compiti.

Temo fortemente il disincanto degli insegnanti consapevoli perché porta paradossalmente a conclusioni condivise anche da una fetta di insegnanti che l'incanto dell'insegnare non l'hanno mai conosciuto. Quelli che si limitano all'orario obbligatorio, che quando escono da scuola chiudono con la scuola, disponibili a starci un'ora in più solo se monetizzata. A loro le 36 ore andranno benissimo se pagate, e faranno la coda fuori della presidenza per offrire i loro servigi. Poi saranno ancora in coda, con il badge in mano per strisciare per primi l'uscita, ben prima della trentaseiesima ora. Ci sono in tutte le categorie anche se non rappresentano la categoria.

 Ma temo il disincanto soprattutto perché non fa loro vedere come dietro la razionalità della proposta vi sia l'obiettivo di confinare in uno spazio e in tempo ben definiti e "visibili" il lavoro degli insegnanti. Una scelta che l'incanto dell'insegnare rischia di seppellirlo per sempre.

Cosa dovremmo fare allora? Faccio alcune proposte.

Smettere di andare a traino di qualunque balbettio della politica e riprendere a parlare di scuola, imponendo la discussione, prima che sugli orari dei professori, sul loro profilo professionale. Perché ciò che fanno a scuola è più importante di quanto ci stanno.

Chiedere che la politica si (e ci) interroghi su quale sia oggi l'insegnamento più efficace con questi nuovi adolescenti e si impegni a dar forma (prima che riforma) alla scuola che vogliamo.
Ma soprattutto deve essere salvaguardato l'equilibrio tra ciò che dell'insegnamento può essere illuminato senza che questo lo snaturi, e ciò che deve essere riconosciuto, ricostruito, valutato, ma lasciandolo in quella zona d'ombra che accompagna sempre l'atto stesso dell'illuminare.

 Don Milani diceva che il maestro è l'unico adulto che non ha interessi culturali quando è solo. Come dire che anche quando è solo non lo è mai del tutto, nel senso che tutto quello che fa, scopre e impara, è pensato per essere trasferito ai suoi alunni. Ovunque sia e in qualunque momento, pensa da maestro.
Un'assenza di confini di questa portata può spaventare, ma dobbiamo proteggerla con tutte le forze. Perché è lì che si nasconde il segreto dell'incanto.