Disabilita' nella scuola,
continuita' didattica e sostegno

di Flavio Fogarolo,  ScuolaOggi 3.7.2014

Oggi il nostro sistema scolastico non riesce purtroppo a garantire un servizio adeguato di istruzione ed educazione per gli alunni con disabilità, ossia a far sì che in qualsiasi situazione, in ogni scuola d’Italia, il livello delle prestazioni risponda a livelli minimi di erogazione. Ne risulta un quadro molto diversificato, anche nello stesso territorio, con scuole distanti tra loro solo pochi chilometri, che possono offrire servizi radicalmente diversi, dall’eccellenza educativa e inclusiva, a forme sistematiche di ghettizzazione dell’alunno disabile e del suo insegnante di sostegno.


Sono le situazioni di criticità che fanno la differenza e su queste si dovrebbe prima di tutto intervenire per eliminare quella sensazione di aleatorietà e insicurezza che spesso vivono le famiglie degli alunni con disabilità nei confronti della scuola. Sembra cioè che non vi sia alcuna certezza: se si è fortunati e si ha l’insegnante di sostegno giusto, tutto funziona a meraviglia, ma se cambiano i protagonisti, tutto può precipitare.
In questo quadro, quando tutto va bene, la continuità educativa rappresenta una sicurezza alla quale aggrapparsi con forza e appare sintomatico l’atteggiamento di molti genitori che rifiutano anche il normale passaggio di scuola alla fine di ogni ciclo scolastico e invocano il trattenimento, a volte a oltranza, nella scuola dell’infanzia, o primaria, o secondaria di primo grado. Il nuovo, infatti, fa troppa paura, quando non ci sono garanzie.

La mancanza di continuità degli insegnanti di sostegno è vissuta pertanto come una grave criticità dall’utenza, spesso come il principale dei problemi, ma si tratta in realtà della conseguenza, non della causa, di una criticità più generale che riguarda in certi casi tutto il servizio.
Un insegnante di sostegno che si trova a dover gestire un alunno con grave disabilità e molto problematico (autistico, ad esempio), senza avere delle minime competenze professionali, vive una situazione di grande disagio che genera spesso, come è naturale, meccanismi di fuga. Anche durante l’anno sono frequenti episodi di assenteismo, con assenze prolungate per malattia o altro, ma alla fine dell’anno stesso, od ogniqualvolta viene offerta la possibilità di cambiare sede, in questi casi è quasi impossibile resistere.
Non ha senso cercare di risolvere il problema con visite fiscali o bloccando le possibilità di trasferimento: il problema si supera solo creando le condizioni affinché chi svolge questo lavoro sia in grado di farlo in modo adeguato. E se, nonostante tutto, la difficoltà permane, è meglio per lui, e ovviamente anche per l’alunno, che si sposti da qualche altra parte: la continuità non può essere mai un valore assoluto.

Bisogna quindi intervenire su fattori strutturali che veramente possano garantire a tutti gli alunni con disabilità un’integrazione scolastica di qualità, ma la strategia vincente deve necessariamente partire dalle potenti risorse che abbiamo a disposizione, e in particolare dalle numerose realtà scolastiche dove l’inclusione di qualità è diventata sistematica e che vanno quindi valorizzate e potenziate, mettendo in rete le competenze e favorendo un reale processo di promozione che consolidi le eccellenze, mettendole a disposizione di chi è in difficoltà.

Esaminando le situazioni di criticità che possono presentarsi in alcune realtà scolastiche relativamente ai processi di inclusione degli alunni con disabilità, vediamo che i problemi più rilevanti sono di tre tipi:
- carenze di competenze: mancano soprattutto insegnanti con conoscenze adeguate in relazione a specifiche disabilità, come autismo, problemi di comportamento, cecità, sordità…
- carenze di condivisione: individualismi, delega pressoché totale all’insegnante di sostegno, allontanamento dalla classe, con conseguenti fenomeni di emarginazione e rischi di personalismi;
- mancanza di responsabilità: il sistema non dispone di nessun meccanismo di controllo dei risultati e tutto quello che si fa – ma soprattutto che non si fa – è ammesso e giustificato, nessuno risponde degli insuccessi o, ed è il caso più frequente, dell’insufficiente sviluppo delle potenzialità di crescita.
Ebbene, quando tutte e tre queste criticità sono presenti, il disservizio può essere pressoché totale: è il caso – poco frequente ma non certo rarissimo – di un insegnante di sostegno privo di competenze ed esperienze al quale la scuola delega in toto la gestione dell’alunno con disabilità, imponendo anche una separazione fisica in uno spazio distinto (aula di sostegno), con nessuna forma di controllo né da parte della scuola (il Dirigente Scolastico ha altro a cui pensare), né da parte dei servizi dell’ASL che spesso, per vari motivi, stentano a svolgere un ruolo di supporto.
Nella maggior parte dei casi, fortunatamente, non è così e la scuola riesce comunque a compensare alcune di queste criticità. Ad esempio, se un’insegnante di sostegno senza competenza opera in una scuola in cui il bambino è veramente preso in carico da tutti, la qualità del servizio non è mai catastrofica. D’altra parte un insegnante di sostegno esperto e professionalmente adeguato riesce di solito a gestire decentemente l’integrazione, anche se i colleghi curricolari sono poco collaborativi.

Vale dunque la pena proporre qualche idea per intervenire su questi fattori di criticità.
La carenza di competenze è molto spesso la causa diretta della mancanza di continuità. Il problema è grave, e urgente è la ricerca di una soluzione.
La formazione – iniziale e in servizio – è senza dubbio la strada maestra da seguire, ma non può risolvere tutte le situazioni, soprattutto quando vengono assunti insegnanti di sostegno senza alcuna preparazione specifica: bisogna intervenire subito, ma è assai improbabile che subito vengano attivati in zona dei corsi di formazione specifici.
Molto utili sono dei servizi di consulenza e supporto didattico gestiti da altri insegnanti, esperti e formati, che si recano a scuola e offrono indicazioni operative molto semplici e mirate. Un esempio di questi tipo è lo Sportello Autismo dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Vicenza, che coinvolge come operatori una ventina di insegnanti e offre consulenza a circa ottanta Consigli di Classe, corrispondenti più o meno al 30% del totale degli alunni con autismo che frequentano le scuole del territorio.
Si tratta di un’iniziativa nata sette anni fa, che sta riscuotendo un notevole successo tra l’utenza, grazie al linguaggio diretto utilizzato e alla chiara percezione, da parte delle scuole, della funzione di puro aiuto – non di controllo o valutazione -, che viene offerta.
Lo Sportello ha costi modestissimi (qualche migliaia di euro all’anno), tutti coperti con fondi ordinari. Mancano statistiche ufficiali, ma, in base alle segnalazioni che arrivano, c’è la percezione di una notevole riduzione dei casi di assenteismo e di cambio continuo di scuola, causati dal senso di inadeguatezza degli insegnanti di sostegno.

Sarebbe poi possibile migliorare notevolmente la situazione della continuità, se si riuscisse a modificare le procedure di assunzione degli insegnanti di sostegno privi di specializzazione. È assurdo, infatti, che una scuola, per seguire un bambino autistico, debba assumere un insegnante privo di esperienza e competenza, e senza titolo, solo perché ha qualche punto in più per anzianità, figli, residenza… rispetto a uno esperto, formato, motivato…
Molti problemi, quindi, potrebbero essere risolti, senza nessuna spesa, dando al Dirigente Scolastico la possibilità di assumere i docenti di sostegno privi di specializzazione in base alla valutazione del curriculum, e quindi alle esperienze e competenze necessarie per le esigenze dello specifico alunno, come del resto già si fa quando le graduatorie di alcuni insegnamenti sono esaurite e non si trovano insegnanti con il titolo di studio richiesto. Questa innovazione potrebbe avere anche un rilevante effetto indiretto sulla qualità dell’integrazione perché spingerebbe i giovani interessati ad accedere a questo lavoro a formarsi in modo serio e specifico.

Quanto poi alla carenza di condivisione, la normativa vigente – chiara e vincolate – prevede collegialità e condivisione sia nella progettazione che nella gestione degli interventi, ma la prassi che vede di fatto la delega totale del problema all’insegnante di sostegno è purtroppo molto diffusa.
È difficile individuare efficaci correttivi dal punto di vista normativo, considerando che, come detto, la legge attuale è molto chiara, ma sarebbe opportuno riaffermare espressamente il divieto a svolgere in orario di lezione gli incontri di programmazione: è una pratica purtroppo assai diffusa che, impedendo la partecipazione degli altri insegnanti della classe, rafforza la prassi della delega assoluta all’insegnante di sostegno.
Anche poi ai fini della continuità, questo tipo di delega ha un effetto deleterio, perché se l’insegnante di sostegno è l’unica persona che tiene i rapporti con la famiglia e i servizi sociosanitari, se non esiste cioè l’abitudine a condividere le informazioni e documentare i processi, ogni turnazione costituisce una gravissima perdita di informazioni fondamentali, assolutamente inaccettabile.

Ma il punto chiave sul quale credo bisognerebbe intervenire con idonee strategie e correzioni è il terzo fattore di criticità dell’elenco precedente, ovvero la mancanza di responsabilità.
In troppe situazioni – percentualmente poche, ma numericamente sempre troppe – si interpreta la necessità di personalizzare i percorsi, e quindi l’assenza di standard generali di riferimento, come libertà di porre gli obiettivi che si vuole, in piena autoreferenzialità: un operatore si definisce i traguardi, verifica il loro raggiungimento ed esprime una valutazione finale complessiva su quanto fatto. Tutto da solo, senza riscontri seri con nessuno, in un quadro di appiattimento e banalizzazione delle prospettive di crescita a volte veramente sconfortante.
L’impianto normativo della nostra integrazione scolastica, a partire dalla Legge Quadro 104/92, assegna ai servizi sociosanitari il ruolo di controllo e di garante, assieme alla scuola, sulla congruità degli obiettivi della programmazione personalizzata definita per ciascun alunno con disabilità, nonché sulla loro verifica e valutazione.
In realtà, in molte situazioni le ASL non riescono più a garantire per tutti questo tipo di intervento: troppi sono gli alunni certificati da seguire, aumentati ovunque negli ultimi anni, senza contare la mole di lavoro derivante dalle diagnosi di DSA [Disturbi Specifici dell’Apprendimento, N.d.R.] e altro. Così troppo spesso le riunioni di programmazione non si fanno, o si fanno solo per i casi più gravi, o si fanno durante l’orario di lezione; ed è frequente che gli specialisti si trovino a parlare di alunni che non hanno più visto dopo il rilascio della certificazione, a volte parecchi anni prima.
Occorre dunque individuare una soluzione al problema: in nessun sistema scolastico al mondo, infatti, sia esso basato su “scuole speciali” o sull’inclusione, è concepibile che gli obiettivi di un percorso personalizzato vengano definiti e valutati dallo stesso operatore che ha il compito di perseguirli. Si può prevedere, ad esempio, che le ASL continuino a seguire solo gli alunni più gravi, quelli che presentano disabilità che coinvolgono fortemente anche il piano sanitario, mentre potrà essere affidato a personale della scuola – esperto e formato – un analogo compito nelle situazioni meno compromesse, o comunque in cui l’aspetto didattico sia nettamente prevalente rispetto a quello sanitario.
La soluzione non sarà semplice e immediata, ma va ricercata: fingere che il problema non esista, come si sta facendo da troppi anni, può condurre a disservizi sempre più gravi.

Flavio Fogarolo
Già referente per la Disabilità nell’Ufficio Scolastico Territoriale di Vicen
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