Maggioranza in cerca di una politica scolastica

 TuttoscuolaNews, n. 643 14.7.2014

Per quasi venti anni, dal 1996 al 2014, fino alla formazione del governo Renzi, la politica scolastica delle maggioranze di governo alternatesi durante quel periodo, convenzionalmente denominato ‘seconda Repubblica’, si è identificata con quella dei ministri pro tempore.

A differenza di quanto accadeva con le frequenti, estenuanti e spesso inconcludenti trattative tra i partiti della prima Repubblica, non c’è stato alcun bisogno, per i ministri della Seconda, di esercitarsi in complesse mediazioni e ripetute limature dei provvedimenti legislativi. Così è stato per i ministri Berlinguer, Moratti, Fioroni e Gelmini, e perfino per il ‘tecnico’ Profumo e la ‘tecnico-politica’ Carrozza, membri questi ultimi di governi (Monti e Letta) sostenuti da maggioranze eterogenee, che almeno sulla carta avrebbero avuto bisogno di discutere e definire una linea di politica scolastica condivisa. Cosa che non è avvenuta, anche per la forte caratterizzazione tecnocratica degli interessati.

Solo con l’avvento del governo Renzi, e anche a seguito dell’esplicita dichiarazione di intenti del nuovo titolare del Miur Stefania Giannini (che si è subito autodefinita ministro politico e non tecnico, anche in quanto leader di Scelta civica), si è assistito ad un ritorno della politica scolastica come oggetto di dibattito e iniziativa politico-parlamentare non dipendente o discendente dall’azione del ministro.

Così il Pd (con il responsabile scuola Faraone, ma anche con Puglisi, capogruppo in commissione istruzione del Senato, Reggi, sottosegretario al Miur, e altri) si è fatto promotore di proposte e iniziative in vari campi e direzioni – dal potenziamento della scuola dell’infanzia alla difesa dei diritti dei disabili, dalle ‘scuole aperte’ a un diverso stato giuridico – dando l’impressione di agire in autonomia dal ministro e/o di volerne condizionare l’opera.

Il ministro, dal canto suo, non perde occasione per esternare sugli argomenti più diversi, ma lo fa quasi sempre attraverso brevi messaggi, per flash più che per argomentazioni, dando spesso l’impressione di parlare a titolo personale anziché a nome del governo. Sulla cui politica scolastica forse servirebbe a questo punto maggiore chiarezza.