Indagine Indap:I docenti sono stressati

di Mariella Gerardi,  ScuolaOggi 20.6.2014

“Alcune categorie di lavoratori, a causa di particolari fattori stressogeni legati all’attività professionale, sono soggetti a rischio per la sindrome del Burnout. Tale condizione è caratterizzata da particolari stati d’animo come ansia, esaurimento fisico, panico, irritabilità, agitazione, senso di colpa, ridotta autostima. Autorevoli studi hanno accertato che tale affezione rappresenta un fenomeno di portata internazionale, che ricorre frequentemente negli insegnanti”.

Un recente studio commissionato dall’ente previdenziale INPDAP, partendo dall’analisi degli accertamenti sanitari per l’inabilità al lavoro, ha operato un confronto tra quattro macro categorie professionali di dipendenti dell’Amministrazione Pubblica: insegnanti, impiegati, personale sanitario, operatori. Ciò che è emerso è che la categoria degli insegnanti è soggetta ad una frequenza di patologie psichiatriche superiore rispetto a quelle delle altre categorie in esame.

Ma quali sono i fattori che determinano un simile disturbo e perché gli insegnanti sono i più colpiti?

La risposta si trova proprio nello studio su citato, che risale a qualche anno fa ed è stato condotto monitorando per 10 anni i dipendenti pubblici delle quattro macro aree, tra cui, appunto, gli insegnanti. Sono stati analizzati circa 3000 casi gestiti dalla ASL di Milano ed è emerso che gli insegnanti sono maggiormente esposti a disturbi da sindrome di Burnout. Tra i fattori che determinano tali disturbi vi sono tutta una serie di condizioni stressogene a cui essi sono sottoposti: il rapporto con gli studenti e i genitori, le classi spesso troppo numerose, la situazione di precariato che si protrae per anni, la conflittualità tra colleghi, la costante delega da parte delle famiglie, l’avvento dell’era informatica e delle nuove tecnologie, il continuo susseguirsi di riforme, la retribuzione insoddisfacente e, non ultima, la scarsa considerazione da parte dell’opinione pubblica.

Lo studio evidenzia, inoltre, come le donne siano più facilmente esposte alla sindrome di Burnout, in quanto più esposte a situazioni di empatia nei rapporti con gli alunni e con i colleghi.

Emerge anche l’alto numero di docenti che chiedono il cambio di mansione in seguito alla dichiarazione di inabilità a poter svolgere il proprio lavoro. Una constatazione di fatto ed una sconfitta, visti i risultati devastanti in alcuni casi.

Ma come si concilia tutto questo con la definizione di “lavoro usurante”? Come si concilia con la decisione, nella riforma Fornero, di protrarre il collocamento a riposo di ben 5 anni? E’ evidente che tale riforma non può che ripercuotersi negativamente sulla salute degli insegnanti e, di riflesso, sullo svolgimento delle loro attività a scuola.

Come si può chiedere ad un docente con tanti anni di lavoro alle spalle, che lo scorso anno era prossimo alla pensione e che ha appena scoperto di dover lavorare per ben altri 5 anni, di formarsi, aggiornarsi e dare il massimo?

Non è un caso che proprio lo scorso anno, a ridosso di tale riforma, si sono triplicate le domande di inabilità al lavoro di insegnante.

Quello dell'insegnante é un lavoro usurante sul piano psicologico. Capita molto spesso di imbattersi in scuole con un alto numero di insegnanti ultrasessantenni che incontrano una serie difficoltà a reggere ritmi e stress collegati al loro lavoro.

Dopo aver chiesto di lavorare sino a ben 67 anni, come si può chiedere loro di aggiornarsi, imbattersi in nuovi strumenti tecnologici, come ad esempio il registro elettronico o tecnologie da imparare praticamente da zero? Come si può parlare di scuola innovativa quando si trattiene altro tempo docenti con forti problemi legati al lavoro che svolgono?

Si può chiedere loro di aggiornarsi, essere motivati, migliorare?

Di certo, questo rappresenta un problema per la nostra scuola. Un problema purtroppo sottovalutato, perché in molti casi ciò a cui si dà importanza è solo l’essere presenti, un docente in ogni classe che copra le ore necessarie e, poi, che importa cosa realmente si fa in quella classe? Cosa importa se si verificheranno episodi come quello della maestra di Bisceglie, che non ha saputo gestire i suoi problemi, scaricandoli sui suoi alunni con gesti estremi?

Il mestiere dell'insegnante, spesso maltrattato, sottovalutato, criticato e mal gestito dai vari ministri che si susseguono al governo, rappresenta, invece, non solo il principale canale per offrire cultura e per formare i nostri giovani, ma anche un mestiere ricco di responsabilità e di impegno che sottopone chi lo svolge a continui stress psicologici. Probabilmente, se a tutto ciò venisse data più importanza, quella italiana potrebbe essere davvero una scuola di serie A. Una scuola che funzioni davvero.