INTERVISTA

Giannini: “Meno burocrati e meno potere
ai baroni per salvare l’Università”

Il ministro dell’Istruzione: “Accorpare per essere più competitivi”

Giacomo Galeazzi, La Stampa 30.6.2014

ROMA
«Meno burocrazia, più fondi in base al merito. Così ridurremo la forbice tra nord e sud». Il ministro dell’Istruzione, università e ricerca, Stefania Giannini sfoglia il dossier con le classifiche («italiane e internazionali») che danno i voti agli atenei.  

Cresce il divario tra le università settentrionali e quelle del Mezzogiorno. Perché?  

«Il territorio incide molto. Non è uguale per un ateneo operare a Palermo o Bari piuttosto che a Milano. Nelle graduatorie a penalizzare le realtà meridionali sono soprattutto i parametri che valutano l’occupazione dei laureati e la produzione scientifica. Però sta aumentando la loro capacità di attrarre finanziamenti esterni. Al nord si concentrano le eccellenze, però, anche lì, aggregare, razionalizzare, accorpare ci renderebbe più competitivi in Europa». 

A Napoli, fanalino di coda delle università, si punta l’indice contro i tagli. Cosa replica?
 

«Nel 2014 il fondo di finanziamento ordinario per le università italiane non sarà intaccato da nuovi tagli lineari. Le risorse verranno assegnate all’80 % in base al costo standard di uno studente in corso. Il calo delle matricole fotografa una diminuzione rispetto al passato dell’attrattiva del nostro sistema universitario. Siamo un Paese sempre meno convinto che studiare sia fondamentale per il progresso individuale e della società. La politica deve trovare gli strumenti e la visione per restituire uno spirito ormai scomparso. Un ciclo di studi universitario statale costa quasi come cambiare un’auto utilitaria. Ma cambiare la macchina a volte lo si considera più importante che far studiare il proprio figlio».  

In che modo intende togliere potere ai “ baroni accademici”?  

«Controllando meglio come vengono spesi i fondi del governo: i 6,5 miliardi all’anno per il funzionamento degli atenei. Introdurremo regole semplici e internazionalmente condivise. Ci stiamo assumendo un impegno politico perché vengano assunti 6 mila ricercatori l’anno nelle università e negli enti di ricerca. Si tratta di grossi investimenti, 100 milioni di euro l’anno, per un piano quadriennale. Stiamo progettando il riordino del settore».  

Quando arriveranno le misure concrete?  

«Abbiamo già più che raddoppiato le borse di specializzazione in medicina arrivando a quota 5mila e adesso ci concentriamo sui dottorati industriali. Ci sarà un riordino degli enti, in termini anche di razionalizzazione e aggregazione tematica. I soldi andranno a chi non li spreca e nessun barone distribuirà più cattedre. Il piano prevede semplificazione e delegificazione per favorire l’azione delle università nelle rispettive autonomie, un nuovo sistema di ripartizione delle risorse basato sui costi standard e sulla premialità, margini più ampi di autonomia agli atenei con migliori indicatori di sostenibilità economica».  

Perché i centri d’eccellenza sono al nord e gli atenei inefficienti al sud?
 

«Non si è investito molto nella ricerca e il Mezzogiorno è svantaggiato C’è stata una notevole trascuratezza negli ultimi anni.Va bene risparmiare, ma è necessario anche investire dove è necessario. Il governo si muove su una strada non solo di rifinanziamento, ma anche di ridefinizione delle tasse universitarie. Il costo standard è un importante strumento tecnico per riequilibrare il sud e il nord. Lo sforzo deve essere nazionale per metterci al passo degli standard europei e restituire competitività al Paese. E al Sud bisogna creare condizioni grazie alle quali le università divengano motore di sviluppo».  

E il ritardo del Mezzogiorno?  

«Le università meridionali vanno messe in condizione (meglio di quanto non sia avvenuto finora) di poter esprimere la loro autonomia responsabile , valorizzando quei settori di eccellenza che già hanno, e comunque garantendo una qualità media del tutto competitiva. Credo molto, e non solo per il sud, alle specializzazioni territoriali. Un sistema dell’istruzione superiore che è ormai per definizione europeo ed internazionale non può più lavorare su una generalizzazione delle competenze . Diffuse uguali e allo stesso livello dappertutto. Non si può fare tutto, tutti, ovunque , nella stessa misura. Ci vuole il coraggio di scegliere su quali campi puntare».