Infanzia breve? No grazie. di Cosimo De Nitto, Educazione & Scuola 13.6.2014 “A 4 o 5 anni i bambini possono iniziare a scrivere, leggere, contare e possono anche essere bravi nel farlo.” Questa frase viene spesso ripetuta da parte di chi, di fronte al tema dell’anticipo, fa questa affermazione teorica che, se riferita a singoli possibili casi, non può certo essere smentita, ma riferita all’universo dei bambini della scuola dell’infanzia non risponde al vero, non ci sono ricerche scientifiche censuarie che dimostrino ciò con evidenza e certezza assoluta, la pratica e l’esperienza quotidiana delle insegnanti che lavorano con tutti i bambini dice piuttosto cose molto diverse circa il mito del bambino ipercognitivo, nativo digitale, precoce ecc.
La qualità dell’apprendimento Il problema non è tanto la capacità di apprendimento del bambino di quella età, ma la qualità di questi apprendimenti. Per dirla schematicamente, si può apprendere in due modi: 1) per addestramento/imitazione, per sequenze reiterate, per ritenzione mnestica, meccanicamente insomma; 2) si può (deve) apprendere in modo significativo, per costruzione ed elaborazione di concetti, per reti di significati, per motivazione intrinseca, che è ben altro ed oltre il gioco, anche se questo resta, come l’interesse, un veicolo utile da non sottovalutare e a cui ricorrere come approccio soprattutto in caso di bambini piccoli. La scuola, guardando alle sfide complesse della “società della conoscenza”, all’evoluzione dei saperi, alla rapida obsolescenza di mestieri, professioni, modelli economici sa bene che non è del primo tipo di apprendimento che ha bisogno il cittadino del futuro, piuttosto, e preferibilmente, del secondo tipo. Non basta la ripetizione a memori della sequenza di numeri per dire che un bambino sa contare, se non ha il concetto di numero, di quantità, e non ha ancora la capacità di rappresentazione, trasposizione e scambio tra il simbolo e gli oggetti concreti. Per non parlare poi dell’apprendimento della lingua e della capacità di sviluppare la riflessione sulla lingua (metalinguistica), oppure la capacità di operazioni fini che scaturiscono da una precisa coordinazione oculo-manuale come nel caso della scrittura. Si può obiettare che i bambini pachistani sono capaci di operazioni fini coordinate nel tessere da piccoli schiavi i famosi tappeti, ma evidentemente questo non può essere l’obiettivo di una scuola che vuole emancipare e far crescere in libertà e rispetto il bambino con la consapevolezza di essere autonomo e libero, possibilmente felice di essere venuto al mondo e di vivere l’avventura della scoperta dapprima attraverso il gioco, poi, man mano che cresce, con l’applicazione, la concentrazione, il lavoro.
Non ci sono solo genietti
E’ certo che ci sono le
eccezioni, i “genietti”, come accade sempre e come è naturale. Ma
quando si fa questo discorso bisogna aver presente che qui si tratta
della scuola pubblica che deve essere frequentata non da piccoli e
precoci geni ma da tutti i bambini. Anche quelli che geni non sono e
probabilmente mai lo saranno, come la maggior parte dell’umanità fra
l’altro. Anche quelli che per vari motivi sociali, psicologici,
culturali partono svantaggiati ma possono, col lavoro,
legittimamente aspirare a divenirlo, se la scuola non li brucia in
una selezione precoce candidandoli non al successo formativo ma al
fallimento prima e all’abbandono e alla dispersione poi. Per non
parlare infine di chi per difficoltà e disabilità non è giusto né
legittimo tenere fuori dal diritto allo studio e all’integrazione
scolastica e sociale. A un bambino che ha un certo tipo e grado di
disabilità o che comunque ha difficoltà anche non particolarmente
gravi (DSL, discalculia, dislessia, disgrafia ecc.), o ha speciali
bisogni educativi si pensa che possa far bene fargli anticipare la
primaria e metterlo così presto di fronte ai saperi formali e
disciplinari? So già che mi si obietterà che a 4/5 anni non si
metteranno i bambini di fronte a questi ostacoli sormontabili solo
per una percentuale minima di essi, e pertanto il primo anno della
primaria si farà gioco, si farà “ponte”, si metteranno tutte insieme
appassionatamente insegnanti di infanzia e primaria, per fare cosa
non si sa, visto che le Indicazioni prevedono un’altra scansione
temporale dei cicli. Ma quand’anche questa nebulosa/pateracchio
priva di fondamento che chiamano “ponte” (l’anno “ponte” vero c’è
già ed è il primo anno della primaria, già scuola elementare) si
facesse, si pone il problema degli interventi di legislazione
scolastica imponenti che bisognerebbe prima fare (quando, chi e con
chi, con quali controindicazioni? ecc. E le modiche strutturali
degli edifici, dei servizi? ecc. E i comuni, gli enti locali con
quali soldi? ecc).
Poniamo pure che tutto
ciò possa, per un colpo di reni e di euro di questo governo, essere
realizzato, ci ritroveremmo con una scuola primaria di fatto priva
di un anno per poter realizzare i suoi già ponderosi obiettivi che
le assegnano le Indicazioni, perché se vogliamo essere onesti e
realisti bisogna concretamente riconoscere che non si tratterebbe
del primo anno della primaria, ma del quinto della scuola
dell’infanzia con qualche forzatura e inutile fuga in avanti. A
questo punto la scuola media dovrebbe anche essa abbassare le sue
“pretese” e farsi carico degli insegnamenti della primaria. E così
pure la scuola superiore dovrebbe abbassare i suoi traguardi
formativi. E tutto questo casino per realizzare cosa? Un anno di
meno di scolarizzazione? Con quali costi (enormi, in pratica si
disfa tutto l’ordinamento scolastico), e con quali benefici (ridurre
ulteriormente il numero degli insegnanti, se si accorcia a due anni
l’infanzia, nel caso del “ponte”, nemmeno quel “risparmio”)? Si
dovrebbe riformare tutto l’ordinamento scolastico da fondo a cima,
si dovrebbe ripensarlo per raggiungere un unico obiettivo, quello di
accorciare la scolarità di un anno alla luce del grandioso progetto
pedagogico basato su due sommi principi non previsti dai padri
nobili delle scienze pedagogiche e della formazione: 1) realizzare
una spending review con l’abolizione di posti di lavoro; 2) questo
“ce lo chiede(rebbe) l’Europa”. Poi c’è un’altra ragione profonda che inficia la teoria dei sostenitori dell’anticipo. Il fatto che essi analizzano solo un aspetto, sia pure importante, del bambino, la sua sfera cognitiva. Il bambino è persona, è anche (talvolta prevalentemente) affettività, pulsioni, immaginazione, gioco, fantasia, socialità ecc. ecc. La qualità dei suoi apprendimenti dipende anche dallo sviluppo della sua interiorità, dalla sua capacità (e diritto) di conoscere e imparare a sperimentare forme di relazione sociale attraverso il gioco. Io penso che un gioco divertente e strutturato metta in condizioni il bambino di 4 /5 anni di apprendere significativamente, cosa che fanno bene le nostre scuole dell’infanzia, i cui risultati ben conoscono e apprezzano le insegnanti della primaria le quali testimoniano, con la loro esperienza diretta, i preoccupanti dislivelli con i bambini che non hanno frequentato in tutto o in parte quei magici e basilari 3 anni. Attraverso il gioco, la relazione, le operazioni concrete il bambino apprende le strutture essenziali e propedeutiche dei concetti, comincia a muovere i primi passi verso la concettualizzazione senza la quale ogni approccio agli apprendimenti formali, specifici della scuola primaria, risulta una forzatura che in seguito sarà difficile destrutturare per poi ricostruire su basi disciplinari. Questo lo sanno bene le insegnanti che devono sudare le proverbiali sette camicie per destrutturare le false conoscenze prive di fondamento dei bambini che sono arrivati in prima “tutti imparati” per premurosa e ancorché non richiesta opera da parte di genitori impazienti. Cives non si nasce Il cittadino del futuro non è solo un insieme di conoscenze e competenze cognitive, è anche importante che sappia essere cives, sappia entrare in relazione collaborativa e critica con l’universo degli altri cives. Il cittadino del futuro non può essere un uomo ad una dimensione; se uomini si nasce cives si diventa, e si diventa soprattutto se nella relazione formativa, fin da piccoli, si ha rispetto e cura didattica per questa dimensione fondamentale della persona, se si rispettano i tempi, se si dà il giusto tempo ai bambini di maturare la graduale fuoriuscita dall’egocentrismo infantile in un favorevole ambiente di apprendimento. Se consideriamo che di fatto l’anticipo è largamente presente nelle prime classi (in taluni casi per motivi economici, in altri perché i genitori hanno decretato che il proprio figlioletto è un genio che può tranquillamente competere anche con chi è più grande di lui), non abbiamo bisogno di raffinatissime e costosissime ricerche. C’è il database delle insegnanti, la loro pluriennale esperienza, il loro averne viste e trattate di tutti i colori da cui poter attingere la conoscenza di quanto male faccia, delle fatiche didattiche che comporta un inutile e dannoso precocismo che vuole far iniziare a 4/5 anni la scuola primaria.
Con l’anticipo non è in ballo solo la distruzione di un riconosciuto patrimonio quale la scuola dell’infanzia, ma anche la dequalificazione della primaria (la più colpita tra tutti gli ordini di scuola dagli apprendisti/riformisti stregoni) e il conseguente trascinamento in basso del livello qualitativo di tutto il ciclo dell’istruzione. |