Liceo in quattro anni? di Francesca Coin e Alberto Ferretti, minima & moralia 5.1.2014 È di qualche giorno fa la proposta del Ministro dell’istruzione inglese Michael Gove di estendere la scuola a 51 settimane e abolire le vacanze estive per bimbi e ragazzi, perché “in estremo oriente studiano di più e sono più competitivi”. Una sorta di estensione ed intensificazione illimitata del tempo di studio perchè la prima missione della scuola neoliberale è selezionare studenti disposti a divenire “macchine da lavoro” infaticabili e inarrestabili.
Una cosa simile sta avvenendo in Italia. Ridurre il liceo a quattro
anni è una mossa curiosa per un paese come l’Italia in cui la
percentuale di popolazione (25-64 anni) senza diploma è nettamente
superiore rispetto alla media europea. Perché, dunque, questa
riforma, a nostro avviso l’azione più dannosa intrapresa sino ad ora
dal Ministro Carrozza? Il piano complessivo di “adeguamento agli
standard europei” ha uno scopo chiaro ed esplicito: anticipare di un
anno la fine della scuola (loro dicono, anticipare “l’ingresso dei
giovani nel mondo del lavoro” – quale lavoro?). Secondo l’articolo
del Corriere “A scuola c’è un anno di troppo” del 5 dicembre 2013,
tagliare è fondamentale per ottenere tre miliardi di risparmio, il
dubbio è solamente se fondere la quinta elementare con la prima
media, e/o ridurre il liceo a quattro anni. Il dibattito aleggia già
da diverso tempo. Lo scorso anno era stato l’economista Daniele
Checchi a mostrare, all’interno della
conferenza dell’Associazione Treelle e della Fondazione Rocca,
come in Italia la scuola primaria e secondaria avessero “indicatori
anomali rispetto alle medie UE”. Per indicatori anomali, si vedano
le slides, invece che sulla insufficiente retribuzione degli
insegnanti o l'elevato numero di drop out, si puntava il dito sul
numero troppo basso di studenti per insegnante e su una spesa per
studente troppo alta nella scuola primaria. “Spesa troppo alta”: un
concetto che fa quasi ridere. Come dicevamo, questa è una situazione win-win, secondo i nostri economisti. Aumentare il monte ore settimanale e annuale, infatti, aumenta l’intensità del lavoro e la sua estensione nel tempo di lavoro extra-scolastico. In altre parole, le classi pollaio richiedono più impegno per ogni insegnante (correggere i compiti, seguire gli studenti: tutto lavoro non pagato), e poi ci sono i bonus derivanti da un liceo più piccolo e meno costoso: per dirne una, un quinto della cubatura dei licei italiani può ora essere dismessa, svenduta, demolita o monetizzata quale oggetto di speculazioni edilizie. Ma per capire davvero come mai questo obiettivo sia così importante bisogna andare al di là dei soli indicatori economici. Verrebbe da citare uno studio di Krashinsky (2006; 2009), secondo il quale ridurre la scuola di un anno ha un effetto negativo “significativo e robusto” sulla performance degli studenti all’università. “ridurre la durata della scuola di un anno ha effetti avversi” non solo sul piano delle competenze ottenute, ma anche sui salari futuri e comporta, per gli studenti, una peggiore capacità decisionale. Ma forse per il mercato questo non è un male. Infatti la crescita dell’impegno scolastico quotidiano funge da filtro selettivo precoce. In altre parole, elimina preventivamente chi non riesce o non può stare al passo, per qualunque ragione, trasformando così la crescita del rigore educativo in un fattore causale di crescita dell’abbandono scolastico. Come ripetuto infinite volte nella letteratura angloamericana, implementare gli standard educativi senza sostenere gli studenti con risorse, azioni di tutoraggio e sostegno, scoraggia gli studenti più fragili, per origini culturali o economiche, causandone la fuoriuscita precoce dal mondo dell’istruzione, in un processo che ne trancia immediatamente le aspettative ed opportunità di vita. Evidentemente questo non importa granché ai nostri riformatori. Tornando al a href=”http://www.orizzontescuola.it/news/spazi-tempi-metodologie-quali-cambiamenti nel-liceo-quattro-anni”> Preside Giuliano, infatti, questa sembra una cosa positiva: “La selezione … dovrà esserci eccome”. “Non si può pensare di coinvolgere nel percorso a quattro anni ragazzi che normalmente ne impiegherebbero sei. Si tratta comunque di un’azione che vuole valorizzare l’eccellenza”.
Insomma, “eccellenza” uguale “selezione”, “umiliazione” e
“esclusione”. Non a caso le proposte formative sono esplicitamente
riservate a studenti già eccellenti: “s’intende destinare il corso
liceale d’eccellenza agli alunni delle terze medie che riportano
agli esami finali conclusivi del primo ciclo la votazione finale di
8-9-10/10” (fonte).
In altre parole, per passare indenne la prima fase della
sperimentazione basta effettuarla su un campione di studenti non
rappresentativo della media degli studenti italiani. Come si capisce
nel caso liceo San Carlo di Milano, il “Progetto Eccellenza”, viene
così testato su studenti sopra la media e rimarrà riservato a soli
quelli, escludendo tutti gli altri, ovvero gli studenti che
evidentemente costoro considerano “di seconda qualità”. E il resto degli studenti? E il Sud? E l’abbandono scolastico? Infine, gli studenti, che ne pensano? Perché sebbene Fregonara dalle colonne del Corriere chiosi con toni trionfalistici che la riforma “farebbe la felicità dei ragazzi”, questi di fatto replicano con “un no motivato ed incontestabile”, non a caso laddove vi è stato un referendum per sondare l’opinione degli studenti su una questione simile (l’introduzione della settimana corta, con redistribuzione delle ore del sabato nei giorni rimanenti), questi hanno stroncato la proposta con un 77% di “no” al liceo classico e addirittura con l’88% di “no” al liceo artistico. Purtroppo di questi tempi il parere degli studenti rimane celato dietro alla cappa complice e inetta della stampa, che dalle sue colonne lascia filtrare solo una cosa: la più violenta e sfacciata determinazione nel portare a termine l’unico progetto politico sostenuto con coerenza dal Miur nell’ultimo ventennio: ridurre il più rapidamente possibile il numero di persone istruite, informate e consapevoli, affinché l’Italia possa finalmente diventare una risacca di manovalanza a basso costo facilmente governabile anche personaggi di dubbio calibro. Ma costoro, ci farebbero la magia di scomparire, almeno per l’Epifania? |