Scuola: gli inglesi formano i prof,
in Italia imparano da soli

di Alex Corlazzoli, Il Fatto Quotidiano 14.1.2014

“So di non sapere”. Sì, lo ammetto. In maniera socratica. Sono tra le migliaia di docenti che non sanno bene l’inglese, che non saprebbe da che parte iniziare se gli fosse affidata una classe prima, che insegna Educazione motoria senza avere competenze e nemmeno esperienza didattica. Sono uno dei tanti (troppi!), che da vent’anni non riceve formazione. In Italia siamo in migliaia ma pochi lo ammettono. Nessuna scuola obbliga i docenti ad aggiornarsi. Tanto meno il Ministero della Pubblica Istruzione. Nel contratto dei docenti si fa menzione “dell’autonomia culturale e professionale” del docente che “si esplica nella partecipazione ad attività di aggiornamento e formazione in servizio”.

L’art. 63 del contratto stabilisce persino i termini e i modi per garantire il diritto alla formazione. Ma nella pratica partecipare ad un corso di formazione per un docente significa pagarsi il viaggio, trovarsi un sostituto nelle sue ore, recuperare le stesse in altri momenti dell’attività didattica sacrificando la propria vita. Il tutto con la certezza che non vi sarà alcun riconoscimento professionale e nemmeno remunerativo. E così ci si arrangia. La mia formazione è dettata dall’esperienza personale tra i ragazzi di strada, dall’analisi dei testi di don Milani, di Maria Montessori, di Gianfranco Zavalloni, dalla scoperta delle scuole libertarie; dai viaggi, dalla letteratura, dalla visita a musei e mostre; dall’incontro con uomini e donne (tra cui la mia maestra e l’insegnante di filosofia alle magistrali) che hanno segnato il nostro secolo. Ce la metto tutta. Ho acquisito strumenti per segnare la strada ad altri, dalla vita. Con passione ed entusiasmo insegno storia, geografia, italiano, arte mettendo a disposizione la mia esperienza, insegnando a porsi sempre degli interrogativi, a cercare la verità, a sapere per il piacere di conoscere e non per raggiungere mete fittizie. Ho imparato a fare il maestro da solo.  

Quando a trent’anni sono sbarcato nel pianeta scuola, nessuno si è preoccupato di dirmi come s’insegna italiano in una prima, musica in una terza o matematica in quinta. Mi hanno istruito a compilare, verbalizzare, programmare, fare crocette su un foglio e sull’altro ancora ma nulla di più. E così ogni anno assisto a colleghi che dicono: “Ah no, io non faccio la prima perché non la so fare” oppure “Musica assolutamente non la insegno non saprei da dove cominciare” o ancora “Tecnologia falla tu che sai usare il computer”.

Ancor più drammatico sapere da alcuni studenti della facoltà di Scienze della Formazione primaria che nei corsi universitari la didattica è ridotta al lumicino.

In Gran Bretagna, il partito laburista ha pensato ad una proposta che riguarda la scuola, da inserire nel manifesto elettorale per le elezioni del 2015: una verifica delle competenze e dell’aggiornamento dei docenti, da attuarsi ogni 5 anni. In caso di bocciatura i docenti perderanno l’abilitazione e saranno licenziati. I docenti, sempre secondo la proposta, dovrebbero frequentare dei corsi di aggiornamento e superare degli esami; in base ai risultati, saranno o licenziati o obbligati a fare corsi di aggiornamento, o se bravi continueranno a mantenere la licenza e ad insegnare.

La proposta laburista ha un senso anche in Italia a condizione che la scuola si preoccupi di formare i docenti senza aggravio per gli stessi o i docenti siano messi nelle condizioni economiche e professionali (abolizione del precariato) tali da poter essere obbligati a frequentare corsi in maniera autonoma. La scuola italiana ha bisogno di professionisti che siano costantemente formati e supportati, pronti ad affrontare le nuove situazioni famigliari e sociali degli allievi.

In queste settimane l’Invalsi con il supporto metodologico della Fondazione Giovanni Agnelli sta realizzando un monitoraggio di “valutazione e miglioramento” in 400 istituti comprensivi: si tratta di un progetto ben strutturato ma è facile prevedere fin da ora i risultati. Spesso qualcuno mi chiede: “Se tu fossi Ministro qual è il primo atto che faresti?”. La risposta è semplice: “Nessun monitoraggio, nessuna valutazione ma la formazione obbligatoria a costo zero per tutti i docenti, dalla scuola dell’infanzia alla scuola di secondo grado. Fatta la formazione poi si fanno i monitoraggi”.