La formazione professionale: di Maurizio Tiriticco, Educazione & Scuola 21.1.2014 Sono pienamente d’accordo con l’iniziativa promossa dall’Associazione Docenti Italiani, che mira a rivedere l’assetto istituzionale e organizzativo della Formazione Professionale, perché possa pienamente rispondere agli obiettivi che deve perseguire e sia affidata alla competenza delle Regioni. E’ necessaria un po’ di storia per comprendere come siamo giunti a questo impasse. La Costituzione del 1947 all’articolo 117 affida alle Regioni “l’istruzione artigiana e professionale e l’assistenza scolastica” in considerazione del fatto che nell’immediato dopoguerra il mondo del lavoro era fortemente legato al territorio, quindi alle Regioni. Com’è noto, le Regioni a statuto normale, in effetti, sono state istituite solo negli anni Settanta. Il che non ha permesso che l’assunto costituzionale diventasse norma. E ha determinato che l’istruzione professionale fosse “senza padre” e costituisse così la “gamba debole” del nostro sistema formativo. Fu in tale carenza che vennero istituiti enti ad hoc, in genere di matrice sindacale. In particolare, lo Stato assunse su di sé il compito e l’onere di istituire istituti professionali che con il tempo hanno dato luogo all’istituzione di una Direzione Generale ad hoc del Ministero della Pubblica Istruzione. Con la riscrittura del Titolo V (legge cos. 3/2001), si è ribadito che l’istruzione è materia esclusiva dello Stato, “salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”, di competenza regionale. In seguito, con la legge 53/2003 si è affidata al Governo la “delega per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale”: quest’ultima di competenza esclusiva delle Regioni. Nella medesima legge, con l’articolo 2 si istituisce il “Sistema educativo di istruzione e di formazione”. Ne consegue che il Sistema educativo è costituito dal Sottosistema dell’istruzione, di competenza statale, e dal Sottosistema della formazione, di competenza regionale. Con la medesima legge 53/2003 sono stati istituiti otto percorsi liceali (tra cui quello tecnologico e quello economico, poi “cancellati” con il dpr 89/2010) e si è taciuto sul destino dell’Istruzione Tecnica e dell’Istruzione professionale, stante il precedente assunto costituzionale che, di fatto, affidava tali percorsi alle Regioni. Si è venuto a determinare così un vuoto normativo, che non solo ha gettato nell’insicurezza dirigenti e docenti di due ordini del secondo grado di istruzione, ma ha anche prodotto effetti di cui paghiamo ancora le conseguenze. In seguito, con la legge 40/2007, articolo 13, si è deciso che “fanno parte del sistema dell’istruzione secondaria superiore, di cui al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e successive modificazioni, i licei, gli istituti tecnici e gli istituti professionali, di cui all’articolo 191, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, tutti finalizzati al conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore”. Pertanto i due ordini, tecnico e professionale, sono stati riassunti dallo Stato. Il riordino attuato con i dpr 87, 88 e 89 del 2010 riguarda, pertanto, tre distinti percorsi del secondo ciclo, tutti di competenza statale: istituti professionali; istituti tecnici; licei: tutti quinquennali. Attualmente, gli istituti professionali statali, di fatto, non godono di alcuna autonomia, in quanto non sono abilitati a rilasciare qualifiche, se non con il concorso obbligato del Sistema regionale. E sono tenuti a costruire con le Regioni percorsi in regime di offerta sussidiaria, integrativa (modello A) o complementare (modello B). Si tratta di percorsi che si realizzano solo in seguito ad una complessa e difficile attività di mediazione che, ovviamente, ricade negativamente non solo sul lavoro dei dirigenti, degli insegnanti e dei singoli insegnamenti, ma anche sulle attese e sugli esiti formativi degli studenti. Pertanto, sarebbe opportuno considerare seriamente la proposta dall’Associazione Docenti Italiani, che così, tra l’altro, recita: “Gli attuali Istituti professionali diventino in parte istituti tecnici e in parte istituti professionali veri, ossia che impartiscano la sola formazione professionale regionale con qualifiche triennali e diplomi quadriennali, innovandola e introducendo una vera alternanza scuola/lavoro. Ciò significa che l’attuale modello B deve diventare l’unico possibile. E come i nuovi licei quadriennali danno accesso al’Università, il diploma professionale quadriennale dia accesso agli ITIS, così da poter completare un percorso”. |