Gli insegnanti?
Insegnano ad accettare il mondo senza capirlo
Giuseppe Aragno,
Fuoriregistro
1.1.2014
E' un tiro al piccione e non è questione di colore politico. Come si
parla di scuola e di insegnanti tutti hanno un colpo da sparare,
anche chi a scuola ci vive. Persino in una riflessione sensata ti
puoi imbattere in un attacco generico e superficiale. La scuola,
sostiene Giuseppe Montesano, scrittore e docente,
"deve dire [...] chi è Platone, non può non dirlo, e non solo
perché sta scritto nel misero programma ministeriale, ma perché è il
suo unico compito, la sua unica chance, deve spiegare la geografia
astronomica, i terremoti, i pianeti, le cose elementari e importanti
della cultura. Però si tratta di un punto di partenza, quando invece
è considerato il punto di arrivo, diventando così una stupida
gabbia, e non un grimaldello per aprire la gabbia. Questo non
succede solo perché molti insegnanti sono pigri, ripetitivi, figli
di questa società e quindi uguali agli alunni, ma anche perché gli
alunni adolescenti hanno sì una grande potenzialità, che gli
insegnanti, adulti, in genere non hanno più, ma questa energia
spesso non sanno nemmeno di averla e non sanno che possono usarla
per sapere e capire il mondo: tutto gli insegna, dalla scuola alla
famiglia alla società, che il mondo devono solo accettarlo senza
capirlo".
Gli insegnanti sono figli di questa società, scrive Montesano. E'
proprio così o si tratta di una banale generalizzazione? Si insegna
per quaranta anni; in servizio ci sono, quindi, docenti nati negli
anni Cinquanta, che si sono formati quando la repubblica era
giovanissima: anni Sessanta - Settanta. C'è chi è nato invece quando
altri docenti completavano gli studi o iniziavano la carriera e ha
cominciato a insegnare negli anni Novanta. L'Italia era
profondamente cambiata. E c'è anche una terza generazione, i più
giovani, quelli entrati da pochissimi anni. Anche qui le differenze
sono enormi e non sono figli di società uguali tra loro. Se poi
società sta per epoca della storia e indica in senso lato un mondo,
un "tempo" con le sue caratteristiche generali e la sua cultura,
beh, questo è accaduto e accadrà sempre e nessuno potrà evitarlo, ma
le differenza esistono ugualmente. Gli storici del Novecento non
hanno interpretato i fatti della storia tutti allo stesso modo e
nessuno si azzarderebbe a sostenere che gli artisti, diventati
"adulti", perdono la creatività. Non si capisce perché, invece, i
docenti peggiorano con gli anni e lavorano tutti allo stesso modo.
Si tratta di un'affermazione che non è solo generica e superficiale,
ma decisamente deformante, perché induce a riflettere su uno
stereotipo di docente, un insegnante che non esiste, non sui docenti
in carne ed ossa. Stesso discorso per la scuola, che, secondo
Montesano, insegnerebbe ad accettare il mondo senza capirlo. E'
un'affermazione molto parzialmente vera e somiglia maledettamente a
un luogo comune. Che la scuola sia figlia di un "tempo della storia"
è vero. Vero è anche, però, che in una società chiusa e repressiva
come quella russa della seconda metà dell'Ottocento, quando una
riforma di carattere democratico aprì le porte della formazione a
tutti, anche ai figli dei contadini, i docenti "progressisti"
tirarono su la generazione di rivoluzionari che scardinò l'impero.
Nel Sud borbonico, dopo il 1848, le scuole private libere, come
quella di De Sanctis, furono tutte chiuse: erano una minaccia per
l'ordine costituito e la formazione fu affidata al clero. Per non
dire dell'Italia risorgimentale, che non fu mai larga di maniche con
la scuola - troppo alfabeto fa male alla salute - ma si ritrovò coi
maestri socialisti che facevano guerra all'analfabetismo nonostante
gli stipendi da fame.
Non c'è dubbio, la scuola è figlia di un tempo storico, ma davvero è
pensabile che quotidianamente tutti gli insegnanti si mettano
all'opera per convincere gli studenti che il mondo migliore è quello
che hanno e devono accettarlo? E' credibile che essi vadano a scuola
per fare dei nostri ragazzi degli utili idioti, rassegnati,
imbottiti di nozioni e incapaci di capire? Tutti gli insegnanti, in
tutte le nostre scuole? Le cose non stanno così. Ogni scuola, in
realtà, è una sorta di repubblica a sé, una collettività con
caratteri distinti, con insegnanti pigri, insegnanti attivi,
lavoratori solerti, menti aperte e gente chiusa e ottusa.
All'interno di ognuna delle nostre istituzioni scolastiche ci sono
manipoli di docenti che hanno un'idea emancipatrice della
formazione. Bisogna stare attenti alle semplificazioni. Esse hanno
una valenza divulgativa, un impatto molto condizionante e spesso
sono dannose. Generalizzare vuol dire cogliere i caratteri generali
e perdere quelli particolari. I dettagli, però, non sempre sono dati
secondari e spesso sono decisivi per disegnare un profilo. Quando si
dice totalitarismo, per esempio, si riesce a mettere agevolmente
assieme fascismo, nazismo e bolscevismo. Chiunque si metta a guardar
bene, però, si accorge che è un imbroglio. Tre dittature, certo, ma
L'Italia fascista non è la Germania nazista e soprattutto nazismo,
fascismo e bolscevismo sono tre pianeti lontani e profondamente
diversi tra loro.
E' vero, un insegnante deve dire chi era Platone, ma è vero anche
che non può farlo senza passare per Socrate, senza indurre cioè a
rifiutare un mondo che non si è capito.