Gli “scatti di anzianità” e il buon padrone. dal blog di Max Bruschi, 9.1.2014 La questione scatti spiegata (e con una modesta proposta per risolverla)
La vicenda legata al prelievo “forzoso” di 150 euro dalle buste paga
del personale scolastico che aveva percepito, nel 2013, i previsti
scatti di anzianità, risulta oggi “sospesa”, in attesa di una
soluzione che sembra provenire da un lato dai residui del
“tesoretto” Gelmini, dall’altro da un ulteriore taglio al FIS. Resta
che occorrerebbe, come dichiarato dagli ex ministri Fioroni e
Gelmini, modificare la norma. Non, a mio avviso, il dPR 122/2013, e
in particolare l’articolo 12, comma 1, lettera b che riguarda
specificamente il personale scolastico, ma la legge cui detta
lettera rinvia. L’articolo 9, comma 23 del decreto legge 78/2010,
infatti, nel decretare il blocco degli scatti per gli anni 2010,
2011, 2012, fa salvo “quanto previsto dall’articolo 8, comma 14″
della medesima legge. Ma cosa prevede questo articolo? Si tratta di
una disposizione, allora voluta dal ministro Gelmini, che dispone,
sia pure in maniera un poco criptica, la possibilità di utilizzare i
risparmi ottenuti dalla riforma (il famoso 30%, inizialmente
destinato alla valorizzazione del merito e agli investimenti) per
coprire gli scatti: ” 14. Fermo quanto previsto dall’art. 9, le
risorse di cui all’ articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133, sono comunque destinate, con le stesse modalità
di cui al comma 9, secondo periodo, del citato articolo 64, al
settore scolastico. Alle stesse finalità possono essere destinate
risorse da individuare in esito ad una specifica sessione negoziale
concernente interventi in materia contrattuale per il personale
della scuola, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio
dello Stato e nel rispetto degli obiettivi programmati dei saldi di
finanza pubblica. La destinazione delle risorse previste dal
presente comma è stabilita con decreto di natura non regolamentare
del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative”. In teoria,
dunque (e ciò spiega come il MEF abbia chiesto al MIUR, prima di
diramare la circolare “incriminata” ove si annunciava il prelievo
forzoso, se avesse altre coperture), sarebbe bastato attivare quella
procedura. Ovvero, oltre a usare i residui del “tesoretto”, reperire
altre risorse nel bilancio MIUR. Ora, i casi sono due: o i fondi, da
qualche parte, c’erano e per motivi non noti non si è deciso di
impiegarli a copertura degli scatti, compiendo innanzitutto la
ricognizione del bilancio e iniziando la procedura a partire dal 21
marzo 2013, data in cui il dPR 122/2013 è stato “vistato”, in prima
lettura, dal Consiglio dei Ministri (”saetta previsa vien più
lenta”); oppure, anche raschiando il fondo del barile, soldi non ce
ne erano e non ce ne sono, e allora occorre modificare per l’appunto
l’articolo 8, inserendo risorse aggiuntive. Lo si sarebbe potuto
fare nel decreto legge 104/2013 “La scuola riparte” (varato il 12
settembre 2013, dunque pochi giorni dopo il dPR 122/2013, datato 4
settembre, che sanciva la proroga del blocco degli scatti); lo si
sarebbe potuto fare nella legge di stabilità (la sede più propria).
Lo si può forse fare (ma la scelta è spericolata: non sarebbe
quella, a rigor di regole, la sede giusta) nel “milleproroghe”, con
un emendamento ad hoc, oppure con un decreto legge. La “tregua”
decretata via twitter dal presidente Letta può essere proficuamente
impiegata.
Alcune considerazioni su come funziona (o non funziona) un ministero.
Lo “studio di caso” si presta ad alcune considerazioni di carattere
generale, innanzitutto sul funzionamento dei ministeri. La
“macchina”, sulla carta, è predisposta per funzionare a meraviglia.
Le cosiddette “Bassanini” hanno sancito, a ogni livello, dal piccolo
comune ai ministeri, la separazione netta tra potere di indirizzo e
controllo, riservato al livello politico, e attuazione degli
indirizzi, di competenza dell’amministrazione. Decisione presa forse
anche per supplire a certe mancanze (in media: con brillanti
eccezioni) del personale politico della II Repubblica poco avvezzo e
poco interessato alle pandette. A differenza, occorre dirlo, di
quello della I: ricordo ancora il mio pesante dressage normativo,
alla scuola di Antonio Del Pennino, secondo il quale “se non sai
leggere e stendere una norma, col c…o che puoi far politica” e per
un breve periodo a quella radicale: da Pannella a Calderisi, con
regole auree cui per mio conto ho sempre cercato di obbedire,
nonostante gli oltre venti anni trascorsi e il dominio attuale della
“twitterpolitics”. |