L’Italia ignorante dice no all’insegnamento
della Storia dell’arte
Una Carrozza sul binario morto
Fallito anche l’ultimo tentativo di reintrodurre
le discipline storico-artistiche nella scuola italiana. Una vergogna
nazionale
di Tina Lepri
Il Giornale dell'Arte numero 338, gennaio 2014
Roma. Speranze deluse e nessuna resurrezione per la
Storia dell’arte nelle scuole, uccisa dall’ex ministro Maria
Stella Gelmini con la sua legge di riforma del
sistema scolastico (nn. 133 e 169/2008) che ne ha
cancellato o drasticamente ridotto l’insegnamento. Dagli anni 2009 e
2010, oltre all’abolizione degli Istituti d’arte,
la riforma Gelmini ha imposto la riduzione delle discipline
artistiche nei «nuovi» Licei artistici, la cancellazione di
«Storia dell’arte» dai bienni dei Licei classici e linguistici,
dagli indirizzi Turismo e Grafica degli Istituti tecnici e dei
professionali; zero ore per i geometri; cancellazione di «Disegno e
Storia dell’arte» dai bienni dei Licei scienze umane e linguistici;
cancellazione di «Disegno e Storia dell’arte» dal «nuovo» Liceo
sportivo; eliminazione del «Disegno» nei trienni di questi ultimi
«ambiti formativi» (cfr. n. 321, giu. ’12, p. 10). Non è scomparsa
soltanto la conoscenza di Giotto, Leonardo, Michelangelo, si stanno
perdendo i saperi del grande artigianato, proprio quelle arti
applicate come il design, la moda, la grafica, da sempre gloria
della nostra eccellenza creativa e base del nostro export. Un
documento di ISAlife, l’associazione degli ex
Istituti d’arte aboliti, ricorda che «proprio in quelle scuole
professionali si sono formati gli artigiani che hanno creato e
tengono in vita la tradizione del made in Italy nel mondo».
Negli ultimi due anni si sono moltiplicati i tentativi di far
rinascere la disciplina e tutto il sapere perduto. Appelli
incessanti tra 2012 e 2013 non sono serviti.
La recente raccolta di 15mila firme sostenuta dallo stesso ministro
dei Beni culturali Massimo Bray (tra i primi firmatari Adriano La
Regina, Antonio Natali, Salvatore Settis, Claudio Strinati, Fai,
Italia Nostra, Cesare De Seta, Associazione insegnanti di Storia
dell’arte) sembrava poter avere successo: il 31 ottobre 2013 era
finalmente arrivato in Commissione Cultura Scienze e
Istruzione della Camera l’emendamento «C 1574-A» presentato
da Celeste Costantino, deputata di Sel, per il
«Ripristino della Storia dell’arte nella Scuola secondaria». Il sì
sembrava scontato ma alla fine l’emendamento «non ha trovato
ascolto», bocciato perché, dice la motivazione della
maggioranza della Commissione, reintrodurre la materia «significherebbe
aumentare una spesa che è stata tagliata perché il Paese non è in
grado di sostenerla». Uno schiaffo proprio mentre il Governo
sembra impegnato nella difesa della cultura e del suo valore, etico
ed economico. In Commissione alla Camera, Celeste Costantino lo
aveva presentato così: «Cancellare la formazione artistica è
l’ennesimo paradosso di una politica che negli ultimi venti anni ha
colpito a morte beni culturali, paesaggi e patrimoni culturali unici
al mondo. Aver cancellato la Storia dell’arte per i giovani studenti
significa ridurre il loro senso critico, la conoscenza, il sapere,
fino a costringerli a dimenticare la grandezza del nostro patrimonio
storico artistico». La scuola italiana di Storia dell’arte era
da sempre un modello in Europa, introdotta dalla riforma
Gentile del 1923. Oggi i dati Ocse descrivono la nostra
scuola «ignorante», precipitata agli ultimi posti, vicina
al Montenegro e alla Tunisia. Questo mentre altri Paesi, come
Francia, Austria e Portogallo, si ispirano alle discipline della
Storia dell’arte e del Disegno secondo le linee pre riforma Gelmini,
e la introducono anche nelle classi elementari. Perché, scriveva lo
storico Andrè Chastel, alla fine degli anni ’80, nei suoi
inascoltati appelli al Governo francese (recepiti poi da Sarkozy nel
2008, che ha reso obbligatorio l’insegnamento dell’arte anche alle
elementari): «Il fronte più importante nella battaglia per la
salvezza del patrimonio storico e artistico europeo è quello che
passa nella scuola, come fanno benissimo in Italia».
Per mantenere viva la richiesta di una rinascita, da poco è nata una
nuova associazione, Artem Docere (Associazione
nazionale Docenti Disegno e Storia dell’arte) che si batte assieme
alle altre associazioni «storiche» come l’Anisa. «Non
vengono più preparati gli insegnanti di domani, li stiamo
cancellando insieme con la Storia dell’arte, dice Marinella
Galletti, presidente di Artem Docere, che annuncia nuovi appelli e
azioni. La battaglia culturale per la restituzione di Disegno e
Storia dell’arte, ricomincia da adesso».
La riforma Gelmini è riuscita anche a dividere gli insegnanti: da
una parte 2mila precari, storici dell’arte
vincitori di concorsi espulsi insieme alle loro discipline,
dall’altra quelli di ruolo: «Una operazione barbarica, la
definisce Marinella Galletti, che produce ignoranza e che fa
tacere i professori rimasti nella scuola, protetti dal posto sicuro.
Fuori i dannati, dentro i “fortunati” che preparano classi di
allievi e futuri insegnanti del nulla».
L’ultimo tentativo fallito, che per ora mette fine alle speranze di
una rinascita della «Storia negata», è stato il 7 novembre 2013. Il
Parlamento approva il decreto «L’Istruzione riparte»
presentato, «con soddisfazione e orgoglio» dal
ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza.
Contiene tra l’altro, dice il comunicato del Miur, «borse per il
trasporto studentesco, fondi per il wireless in aula e il comodato
d’uso di libri e strumenti digitali per la didattica».
Reintroduce anche una materia soppressa, la Geografia.
Silenzio tombale sulla Storia dell’arte: petizioni,
comunicati, elenchi interminabili di firme per la sua
rivitalizzazione restano nei cassetti. Inapplicato l’art. 9 della
Costituzione, tradito il pensiero di Roberto Longhi che si batteva
per «quella Storia dell’arte che ogni italiano dovrebbe imparar
da bambino come una lingua viva, se vuole avere coscienza intera
della propria nazione». Si domanda Salvatore Settis: «A che
cosa serve la Storia dell’arte? È semplice: come tutte le scienze (e
in particolare quelle storiche) serve per capire. Serve per capire
un mondo come il nostro inondato da immagini senza subirle
passivamente, sapendone smontare e ricostruire i meccanismi di
persuasione. Perché se rinunciamo a capire, faremo come i ciechi
della parabola illustrata da Brueghel nel quadro conservato a
Capodimonte: quando un cieco guida l’altro, tutti cadono nella fossa».
di Tina Lepri,
da Il Giornale dell'Arte numero 338, gennaio
2014