Tra Appelli e Cordate di Aldo Tropea e Loredana Leoni, Educazione & Scuola 12.1.2014 La scelta di nominare una commissione per l’individuazione del prossimo Presidente dell’Invalsi, da parte del Ministro Carrozza, ha avuto almeno un aspetto positivo: non solo riavviare una discussione sulle finalità, i compiti, gli strumenti e i metodi dell’INVALSI, ma anche ribadire la necessità di mantenere prove standardizzate e confrontabili, da somministrare a tutte le scuole secondo un criterio censuario e non campionario, sostenuta da una maggioranza forse non prevista. E non è poca cosa, visto che questo inverno molte associazioni professionali avevano condiviso un documento che sosteneva il ritorno al sistema campionario e, addirittura, invocavano la sospensione della somministrazione delle prove INVALSI in attesa di una maturazione della “sensibilità valutativa nelle scuole”, come se la sua incontestabile carenza fosse causata dall’Istituto stesso e non da gravissime e lontane responsabilità politiche. Il fatto ambiguo e allarmante, in quelle prese di posizione, giunte fino al punto di coinvolgere studenti e genitori, in nome persino della difesa della “privacy”, era che fossero assunte in nome di una cultura dell’autovalutazione e dell’attenzione ai processi, aspetti che in realtà sono stati rimessi sotto i riflettori proprio grazie ai rapporti INVALSI. Nelle scuole più attente alla progettazione, con dirigenti consapevoli del significato strategico che questa operazione può assumere, sono maturate riflessioni a partire dai dati restituiti. In particolare dove l’autoanalisi non si è fermata solo ai risultati generali della scuola e delle classi, ma si è entrati nel merito della connessione tra le singole parti delle prove e i processi cognitivi, delle conoscenze e delle abilità richieste dagli item. Se da una parte questo è certamente positivo per la riflessione sul curricolo e soprattutto sulle strategie di insegnamento, dall’altra la somministrazione all’intero universo e la contemporanea ricerca degli elementi che consentono l’individuazione di contesti ambientali omogenei consentono una corretta comparazione sincronica tra situazioni analoghe e un’analisi diacronica per valutare l’efficacia della programmazione educativa. Come per ogni evento legato alla rilevazione e misurazione di fatti umani e sociali, si tratta certamente di un lavoro non privo di incertezze ed errori. Consapevoli che muoversi nel campo valutativo significa, come affermato da Bateson in Mente e Natura. Guardare con molta attenzione alle cose che si è deciso di guardare, è possibile migliorare la elaborazione delle prove, affrontare le difficoltà nella rilevazione dei condizionamenti ambientali e degli esiti nel tempo. E’ un lavoro tecnico che ha bisogno di interlocuzioni costanti con la didattica reale che si pratica nelle scuole ma soprattutto di competenze specialistiche complesse di natura statistica, a servizio del sistema e delle scuole.
Molte incomprensioni e
successive alzate di scudi, se non legate a questioni di principio,
sono certamente connesse a una mancata comprensione del senso
complessivo dell’operazione. Per questo è fondamentale un rapporto
costruttivo con le scuole; è necessario che gli insegnanti siano
formati per comprendere le metodologie della rilevazione esterna e
per poter leggere i rapporti ai fini dell’autovalutazione. Ciò è
propedeutico a modalità di somministrazione corrette e al rispetto
delle regole deontologiche che implicano.
Ma gli avversari “a
priori” dell’INVALSI non hanno scelto la strada della sollecitazione
critica, hanno piuttosto chiamato a raccolta tutti quelli convinti
che, mentre gli insegnanti sono gli unici legittimati a valutare gli
esiti di apprendimento di ciascun allievo (cosa ovvia), nessuno è in
grado di raccogliere dati attendibili e formulare giudizi
comparativi sul grado di efficacia del sistema e sull’adeguatezza
degli obiettivi raggiunti. Con ciò confondendo in maniera clamorosa
e intenzionale il livello della valutazione di sistema con quello
della valutazione degli allievi. Quanto poi alla questione del teaching to testing, davvero ci sembra che questa sia l’ultima delle preoccupazioni da nutrire in un paese come il nostro in cui fin dal biennio delle scuole secondarie ( e forse da prima…) la promozione o la bocciatura dipendono dall’esito di una interrogazione programmata su tutti i contenuti affrontati durante l’anno, o, all’opposto, su un capitolo studiato appositamente per la verifica e dimenticato subito dopo. Rimangono due problemi seri, rispetto ai quali, pur partendo da posizioni non identiche, è stato raggiunto un grado soddisfacente di condivisione.
Il primo è relativo
all’utilizzo pubblico dei risultati delle rilevazioni. Noi riteniamo
che le rilevazioni abbiano il compito di dare informazioni sul grado
di efficacia e di equità del sistema, sulla base delle quali il
decisore politico deve assumersi la responsabilità di intraprendere
azioni coerenti e conseguenti. La finalità principale è quindi
quella del miglioramento del sistema. Alcuni – anche e soprattutto
su queste pagine on line – sono convinti che enfatizzare i risultati
ottenuti da ciascuna scuola sia il modo migliore per avviare una
concorrenza virtuosa basata sulla libera scelta delle famiglie. Noi
su questo punto la pensiamo come l’ex presidente Cipollone: non
crediamo che questa strada sia, nella specifica situazione storica
sociale e culturale del nostro paese, la più idonea a migliorare il
sistema e temiamo che presenterebbe forti rischi di gerarchizzazione
progressiva che, utile probabilmente a livello delle università,
presenterebbe rischi pesanti di ghettizzazione nelle scuole primarie
e secondarie.
L’altra fondamentale
questione, è quella della delimitazione dei compiti dell’INVALSI e
della sua terzietà. |