L’INTERVISTA AL NUOVO PRESIDENTE

LA CITTA’ DEL BENE

Italiano per stranieri, la prof volontaria
«I più stimolanti quelli che sanno dire solo ciao»

Ornella Rigoni, ex marketing manager, dopo la pensione
ha deciso di aiutare la scuola Filef Lombardia di via Bellezza

di Marta Ghezzi, Il Corriere della Sera 9.2.2014

Il registro, un quaderno extrasize, è posato sulla cattedra. Intonso. «Lars, c’eri venerdì scorso?», chiede l’insegnante. Lo studente ha un attimo di esitazione, sono passati cinque giorni, non ricorda. Non è un problema: segnare le presenze è quasi un proforma. Sette di sera, corso avanzato di italiano per stranieri in zona Bocconi, di fronte al parco Ravizza. Accanto alla palestra di boxe e danza dell’Arci Bellezza c’è un’aula tinteggiata di fresco. Gli allievi entrano alla spicciolata. C’è una folta rappresentanza sudamericana, Cile e Perù, una discreta presenza dell’Est Europa, Bulgaria e Ucraina, poi Iran, India, Sri Lanka e, a sorpresa, Svezia. Sono 109 le scuole di Milano dove si insegna la lingua di Dante. Stanno sulle dita di una mano le private e le pubbliche. Le altre, che raccontiamo nelle pagine della «Città del Bene» di domenica 9, sono nate da associazioni del terzo settore e dalle parrocchie. Hanno sedi poco confortevoli ma l’atmosfera è unica. Carica di aspettativa e passione. La conoscenza della lingua, per l’immigrato, è il biglietto da visita più importante. Anche chi è arrivato in città con un alto grado di scolarizzazione fatica a integrarsi se non sa esprimersi correttamente. E così, indipendentemente da paese d’origine, età, lavoro, una, due, tre volte la settimana si torna sui banchi di scuola.

L’INSEGNANTE - Fra gli insegnanti della scuola Filef Lombardia di via Bellezza c’è Ornella Rigoni. Marketing manager, quando è andata in pensione, tre anni fa, ha bussato alla porta dei «vicini di casa». Un corso di formazione, tanta teoria e poca pratica, e poi subito in aula. Oggi segue gli allievi dell’avanzato e con scioltezza li aiuta a comprendere le irregolarità grammaticali e aumentare la padronanza lessicale. Ma non ha dimenticato l’esordio. «La prima volta? Terrore puro», ammette. «Non ero preparata, pensavo solo di assistere e prendere appunti, invece la classe era superaffollata e mi hanno messo in un angolo con tre allievi che non sapevano andare oltre il ciao». Racconta che adesso sono proprio loro, gli studenti che arrivano senza alcuna conoscenza linguistica, a regalarle più soddisfazione.

GLI STUDENTI - «Ti organizzi, parti spiegando l’alfabeto, lavori sulle associazioni fra suoni e lettere, insisti su concetti che appaiono lontani dalla realtà e poi, dopo qualche mese, un giorno ti ritrovi a chiacchierare con loro. È una magia, un’emozione difficile da spiegare». Venticinque studenti in media per classe. C’è modo di approfondire la conoscenza? «Noi siamo molto cauti, arrivano persone con storie difficili e dolorose, non sarebbe giusto forzarle a raccontare», dice. «Cerchiamo di offrire uno spazio neutro, allegro ed empatico. A volte le vicissitudini personali affiorano, a volte no. Non è importante».