il mondo dell’educazione e il problema dei giudizi

“Test a scuola, troppe false partenze”

Il report della Fondazione Agnelli:
“Verifiche inutili se gli insegnanti le vivono come una ghigliottina”

di Flavia Amabile, La Stampa 19.2.2014

roma
Ma la scuola italiana deve utilizzare per forza i test Invalsi e tutto quello che li circonda? Se lo chiede la Fondazione Agnelli nel suo ultimo rapporto tutto dedicato alla valutazione della scuola, mettendo per la prima volta un punto interrogativo nel suo giudizio sulla complessa macchina che dovrebbe permettere agli istituti italiani di capire chi sono, dove vanno e perché.

Dietro questo dubbio si nasconde una provocazione ma soprattutto un giudizio molto severo su quello che è accaduto in Italia negli ultimi quindici anni. «False partenze, cambiamenti di direzione, incapacità di comunicare con chiarezza gli obiettivi, inaccuratezze tecniche hanno finito per rendere una parte assai consistente dei docenti ostile alla valutazione, in misura superiore a quanto è successo in altri Paesi, dove pure non tutto è filato sempre liscio». Insomma per gli insegnanti ancora oggi i test sono considerati soltanto un modo per «farli fuori». E quindi la gran parte di loro restano diffidenti. Ma come sperare che la macchina funzioni senza di loro? Abbiamo compreso - scrive la Fondazione - che «senza un’ampia adesione della scuola anche il più perfetto dei sistemi di valutazione è destinato a sicuro fallimento».

D’altra parte perché le scuole funzionino «della valutazione si può fare a meno». Alcuni dei sistemi di maggior successo nel mondo ne sono del tutto privi. «Quando le qualità professionali del personale sono uniformemente elevate le scuole tendono a funzionare bene comunque, che ci sia o non ci sia valutazione». Non è quello che si può dire dell’Italia dove «flussi decennali di assunzioni legate alla sola anzianità, senza concorsi che verifichino le competenze degli aspiranti docenti, senza prospettive di carriera o di sviluppo professionale, senza alcun investimento pubblico in formazione, comportino un rischio elevato che la scuola sempre più possa attrarre persone di modesta qualità professionale, poco motivate o che scelgono l’insegnamento perché prive di alternative». Non è sempre così, precisa il rapporto, ma è anche vero che un sistema che «paga poco, chiede poco, offre poco» difficilmente può contare ancora a lungo su una nuova leva di insegnanti super-motivati e super-preparati come spesso se ne trovano ancora oggi.



A queste condizioni, quindi, il sistema di valutazione è necessario. Senza si rischia grosso. Diventerebbero sempre più forti «le spinte verso un sistema fortemente polarizzato con poche scuole eccellenti e molte inadeguate». Chi ha la possibilità abbandonerebbe il sistema pubblico per concentrarsi ancora di più nelle scuole d’élite lasciando le scuole statali al loro destino.



Per salvare la valutazione in Italia, secondo la Fondazione Agnelli, bisogna coinvolgere i professori, garantendo «maggiore trasparenza nei criteri di scelta dei collaboratori» dell’Invalsi, evitando «l’immagine di un circolo ristretto». Bisogna comunicare meglio i vantaggi legati alla valutazione mentre il Miur «ha mantenuto una certa ambiguità sugli utilizzi futuri» dando adito a dubbi e sospetti.

È necessario, invece sganciare del tutto i risultati della valutazione da qualsiasi tipo di premio o di punizione. Ed evitare anche che le prove siano utilizzate per valutare contemporaneamente ragazzi, scuole e prof perché «si creano i presupposti per la loro manipolazione». Quale insegnante si immolerebbe, in nome di non si sa bene che cosa?

Ci vorrebbe anche un’idea sulla scuola «che rimanga costante» per un periodo più lungo dell’anno o poco più in cui restano in carica i ministri e quindi che si segua «la rotta scelta anche in presenza di eventi non così infrequenti sulla scena italiana come il cambio del ministro o del presidente dell’Invalsi».

Per evitare trucchi e boicottaggi, secondo la Fondazione Agnelli, il premio per gli istituti deve essere l’autonomia, la libertà. I migliori «avendo dimostrato di avere la capacità di autogestirsi, potrebbero ottenere margini crescenti di libertà amministrativa, organizzativa e di gestione delle risorse». Potrebbero, ad esempio, chiamare direttamente i docenti attraverso procedure trasparenti, oppure disporre liberamente di fondi per la formazione dei docenti.