L’INTERVISTA

«Insegnanti, superare gli scatti di anzianità»

Parla il neoministro dell’Istruzione Giannini:
«Gli aumenti automatici sono il frutto del mancato coraggio politico»

di Pietro Piovani, Il Messaggero 23.2.2014

ROMA Pur essendo una leader di partito, in quanto segretaria di Scelta civica, Stefania Giannini può al tempo stesso essere considerata un ministro tecnico, in quanto docente universitaria ed ex rettrice dell’Università per stranieri di Perugia. «Se parliamo di università, sono questioni di cui ho conoscenza diretta e di lungo termine. Però se parliamo di scuola, quelli sono dossier complessi e delicati che devo prima vedere da vicino».

Ecco, allora parliamo di scuola. Il governo precedente si è trovato nei pasticci sulla questione degli scatti d’anzianità per gli insegnanti. Non pensa che sia arrivato il momento di superare il sistema degli aumenti automatici, concessi per anzianità di servizio?

«Ci sono due parole fondamentali su cui secondo me dobbiamo basare tutta la nostra azione: merito e valutazione. Per i docenti, così come per gli studenti, si devono adottare criteri premiali. Che consentano agli insegnanti di migliorarsi e di essere premiati per i loro miglioramenti»

Quindi basta con gli automatismi di stipendio.

«Gli automatismi sono il frutto di un mancato coraggio politico del passato. Ma ovviamente sto parlando in modo generale, prescindendo da eventuali misure che ancora non ho neanche lontanamente concepito».

Quindi non possiamo dire come secondo lei dovrebbe essere applicato il principio della valutazione meritocratica?

«C’è una terza parola fondamentale: autonomia. La valutazione si collega all’autonomia e alla responsabilità di chi è autore del processo. Posso fare l’esempio delle università, che sono diventate responsabili di sé stesse da quando sono istituzioni con bilancio autonomo. Credo che anche nella scuola si debba introdurre questo concetto».

Nelle università resta aperto il problema di come reclutare i nuovi docenti universitari. L’ultima riforma sta producendo effetti paradossali già molto contestati. Lei in passato ha detto che, a suo giudizio, nelle università andrebbero aboliti i concorsi.

«Ora però sono ministro e posso solo dire che questo capitolo va certamente rivisitato».

Ma qual è l’alternativa al concorso pubblico? L’assunzione per chiamata diretta?

«No, non funzionerebbe in un sistema come quello italiano ed europeo».

E allora?

«E allora autonomia e responsabilità. Le università dovrebbero poter adottare il loro sistema valutativo, e rispondere del prodotto finale, dei risultati conseguiti».

E come si misurano i risultati raggiunti da un’università?

«Si possono seguire gli esempi di altri paesi che hanno fatto scelte politicamente diverse dalle nostre, più proiettate verso il futuro ».

Quali paesi?

«Per esempio la Gran Bretagna. Dove sono passati da una valutazione dei risultati puramente quantitativa a una valutazione anche qualitativa».

C’è poi l’eterno tema della mancanza di risorse.

«Un paese che spende 265 miliardi in pensioni e 54 miliardi per tutto il comparto dell’istruzione deve porsi degli interrogativi. Si tratta di considerare le spese in questo settore non come costi, ma come investimenti in capitale umano, in crescita, in futuro».