Fondazione Agnelli si muove. I tempi sono giusti, il “rapporto” arriva subito dopo la nomina del nuovo presidente INVALSI Annamaria Ajello; sarà una coincidenza, ma suona quasi come un invito o un monito a ribaltare l’indirizzo politico che si evince dalle sue prime parole “L’Invalsi deve fornire misurazioni, non valutazione. E deve fermarsi sempre sulla soglia delle scuole”.
Tra i principali enunciati del rapporto, come hanno prontamente hanno rilevato i commentatori come Flavia Amabile (La Stampa), Simonetta Fiori (Repubblica), Gianni Bocchieri (sussidiario.net) e altri, ci sono questi:
1) perché le scuole funzionino «della valutazione si può fare a meno». Alcuni dei sistemi di maggior successo nel mondo ne sono del tutto privi. La valutazione non è fondamentale. La vera priorità della scuola italiana è il reclutamento dei docenti. (di pari se non maggiore importanza è la formazione continua in servizio, perché insegnanti non si è per sempre. Ma questo magari potrà essere oggetto di indagine del prossimo “rapporto”. ndr)
2) abbiamo bisogno di sapere cosa funziona e cosa non funziona nelle singole scuole (basta saperlo chiedere ndr.)
3) in nessun paese europeo vengono valutati i singoli insegnanti. E là dove si è provato a farlo — gli Stati Uniti — l’esito è stato fallimentare (a quanti fischieranno le orecchie? ndr.).
4) «Una valutazione CONTRO o SENZA i docenti non potrà mai decollare» (lo abbiamo sempre detto noi ndr.)
5) Sbagliato premiare con somme di danaro le scuole d’eccellenza (per non parlare poi dei docenti! ndr).
Allora via la valutazione dei singoli insegnanti e via il sistema di pagelle, voti, premi e punizioni per essi e per le singole scuole. Fin qui siamo d'accordo. Un passettino lo hanno fatto.
Una riflessione, però, a tal proposito va fatta: non si dovranno vergognare un po' quelli che per anni hanno accusato gli insegnanti di non volersi far valutare e di rifiutare pregiudizialmente qualsiasi forma di valutazione? Gli insegnanti avevano visto bene mentre, ministri, docimologi improvvisati, corifei a vario titolo e mestiere, i vari Bocchieri, Ichino, dirigenti, ispettori e organizzatori di cordate pro-Invalsi, ma anche i vari Gavosto e i ri-Fondazione Agnelli, NO.
C'è più verità e più saggezza nelle posizioni ragionate di chi ha criticato e critica l'invalsimania di quanto ce ne sia in tutti i pasdaran che sbandierano la "cultura della valutazione" della quale non hanno mai precisato confini, ambiti, situazioni, metodi, istanze, principi ecc., ma solo uno slogan, uno spot come è (mal)costume italico, o italiota, oggi.
Se sui punti in elenco siamo d'accordo, erano già nostre da sempre, sul resto dobbiamo registrare distanze molto profonde nelle posizioni.
La formazione iniziale e il reclutamento degli insegnanti statali sono e restano prerogative di gestione nazionale tramite concorsi pubblici. L'assunzione diretta da parte dei dirigenti scolastici delle singole scuole disintegrerebbe l'unitarietà del sistema scolastico e lo trasformerebbe in sistema privatistico, localistico. La formazione iniziale degli insegnanti, poi, dovrà essere seguita da una formazione in servizio lungo tutto l'arco della carriera professionale, in varie forme come aggiornamento, ricerca, sperimentazione, periodi sabbatici, scambi e collaborazioni con docenti di altri paesi ecc.
Non siamo assolutamente d'accordo sul ruolo, funzione, finalità dell'INVALSI.
Se questo istituto non ha e non deve avere compiti che riguardano la valutazione dei docenti e delle scuole, che significa deve essere autonomo, la cosiddetta terzietà? All'Invalsi resterebbe solo il compito di valutare gli apprendimenti, cosa fra l'altro che fa già OCSE-PISA indipendente e sovranazionale.
L'INVALSI avrebbe compiti di ricerca, come quella che fanno tanti altri istituti che sono sempre per definizione dotati di autonomia, definita e regolamentata in relazione ai fini perseguiti.
Viene detto: Fondazione Agnelli "propone anche l’autonomia dell’Invalsi, l’istituto di valutazione, dal Miur: proprio per essere libero di valutare anche l’azione del governo."
Su questo non si può essere d'accordo. Non ci può essere nessun istituto autonomo, pubblico o privato che sia, al quale possa essere affidato il compito di "valutare l'azione di governo". L'azione di governo la valuta il Parlamento, il complesso delle istituzioni e poteri autonomi dello Stato, le scuole, gli insegnanti, i cittadini, il complesso delle organizzazioni che si occupano di scuola, ricerca e formazione. La valutazione dell'azione di governo è un processo democratico non tecnocratico, affidato ad un ente che sfugge al controllo dello Stato e non risponde a nessuno. Invalsi ha ragion d'essere solo come istituto di ricerca sulla qualità degli apprendimenti scolastici che restituisce i risultati ai soggetti deputati al funzionamento delle istituzioni scolastiche: MIUR, scuole. Saranno questi i soggetti che valuteranno i risultati della ricerca e si attrezzeranno per operare gli interventi ritenuti opportuni. Oltre a fornire strumenti di conoscenza l'Invalsi inoltre dovrebbe svolgere lavoro di supporto e consulenza alle singole scuole circa la costruzione di strumenti specifici di rilevazione e valutazione degli apprendimenti e di implementazione di questi nella normalità dell'azione didattica, fermo restando la titolarità dei docenti nel decidere il cosa, il come, il quando.
Modellato l'ente in tal modo, non ha più senso il metodo censuario delle rilevazioni, basta quello campionario, come fa OCSE-PISA. Inoltre le prove dovrebbero uscire dal sistema di valutazione dei singoli alunni, soprattutto negli esami. Il diritto/dovere di valutare resta prerogativa della funzione docente, come la scelta degli strumenti di rilevazione "oggettivi" o soggettivi che siano perché parte integrante della valutazione formativa.
Mantenere obbligatorietà, censuarietà, valore valutativo anche negli esami produce quel cancro della didattica che viene indicato con l'espressione "teaching to test". Questa malattia perniciosa produce l'immiserimento culturale e formativo del rapporto insegnamento/apprendimento, ridotto
a puro addestramento sulle tecniche di risposta ai test.
Una volta escluso dai compiti INVALSI la valutazione dei singoli alunni e la valutazione dei docenti, resta il problema della valutazione delle singole scuole.
Finora su questo versante sono state pensate e proposte cose molto diverse. Ci sono state le "sperimentazioni" VSQ e “Valorizza” promosse dal ministro Gelmini che sono state solennemente bocciate e respinte dalle scuole. Il massimo del ridicolo si è raggiunto col metodo "reputazionale". A queste si è aggiunta la sperimentazione VALeS, promossa dal ministro Profumo, che più o meno applica il sistema della qualità totale (TQM = Total Quality Management ) alla scuola.
L'aziendalismo pare l'unica ricetta disponibile, visto che di crearne una nuova che nasca specificamente dalla scuola e possa essere praticata dalla scuola i nostri grandi consulenti non vogliono proprio saperne. I punti critici alla base di queste sperimentazioni, pur nella diversità che le contraddistingue restano:
1) l'attendibilità (discutibile) dei test INVALSI nella rilevazione della qualità degli apprendimenti;
2) il calcolo del "valore aggiunto" ( contesto socio-economico-culturale), che fra l'altro non è utilizzato in nessun sistema di valutazione all'estero ed è ritenuto molto discutibile;
3) il nucleo esterno, sua composizione, competenze, status giuridico. A proposito di questo c'è chi reclama un corpo ispettivo che non c'è, non è preparato, non è formato. Così come non ci sono in giro tanti esperti certificati (da chi?) di valutazione scolastica. Un conto, infatti, è una piccola
Sperimentazione per poche decine di scuole, altro conto è un Sistema Nazionale che funzioni a regime su 72.554 istituti quanto sono le scuole in Italia.
Quanti ispettori ci vorrebbero? Quanti "esperti"? Così come in Italia non esiste un equivalente dell'Ofsted britannico, a meno che non si candidino ad assumere quel ruolo enti privati come
Fondazione S. Paolo, Fondazione Treelle, Fondazione Agnelli collegati al sistema economico (Confindustria) e alle banche.
In verità ciò che prima bisognava capire attraverso un ragionamento politico è ormai detto esplicitamente dagli stessi, e cioè che i loro studi, i loro rapporti, le loro ricerche non sono disgiungibili da "un'idea sottostante di scuola" e di società. E che i risultati delle loro ricerche, dei loro "rapporti" non sono altro che un programma politico col quale si vuole governare la scuola italiana, col quale già in qualche modo si governa la scuola italiana, nonostante qualche impaccio,
qualche laccio e lacciolo costituiti da quelle quisquilie e pinzillacchere che si chiamano democrazia e Costituzione.
Quell'idea sottostante di scuola e di società portata avanti da questi signori è incompatibile con l'altra idea di scuola e società, quella che pensa la scuola come di tutti e di ciascuno, come luogo in cui i cittadini di si formano consapevoli, autonomi, liberi, colti, solidali, democratici, non solo
professionalmente preparati, o per meglio dire, addestrati a compiti e progetti che altri hanno fatto al posto loro, i cosiddetti “poteri forti” che li vogliono solo utenti, clienti, consumatori, esecutori passivi delle regole del dio mercato-azienda-finanza.