Renzi-pensiero: sull’istruzione pubblica di Marina Boscaino, Il Fatto Quotidiano 19.2.2014 Il Renzi-pensiero sulla scuola è stato soggetto a tali e tante rivisitazioni e ripensamenti, che – soprattutto ora, che il vincitore è in sella e potrebbe apparire quantomeno inopportuno presentargli il conto di tante sconcertanti dichiarazioni da lui proferite, soltanto un anno fa – la ricostruzione risulta impervia. Nel corso dei mesi, a poco a poco, sono state destituiti di fondamento precise dichiarazioni e programmi di evidente stampo manageriale-privatistico-neoliberista, a suo tempo però documentati, con cui l’effervescente rottamatore si presentò appena 14 mesi fa alle primarie contro Bersani. Ma, cercando di non farci condizionare dal profondo senso di diffidenza che quel trasformismo di comodo ha ingenerato in molti insegnanti, atteniamoci alla stretta contemporaneità. E, a poche ore ormai dalla nomina del prossimo inquilino del Miur, riferiamoci pertanto alle dichiarazione rilasciate pochi giorni fa da Davide Faraone (il nuovo responsabile scuola del Pd) a Orizzonte Scuola “Selezione dei docenti da parte delle scuole? Parliamone. Magari con concorsi a livello di singolo istituto o di reti di istituti”. Poi precisa: “nessuna chiamata diretta, ma eventualmente concorso a livello di scuola o di rete di scuole” Insomma, il Pd sembra generosamente accogliere uno dei desiderata della Lega Nord, da sempre fautrice del reclutamento “personalizzato”, nel loro caso per selezionare la razza purosangue che possa istruire studenti altrettanto purosangue a lingua, cultura e tradizioni rigorosamente padane (ddl Pittoni e Goisis). Ipotesi peraltro non estranea alla Aprea D.O.C., il pdl 953/2008, poi rimasticato in chiave soft dal PD pre larghe intese. Parlatene pure (voi e tra voi): ma non dimenticate l’art. 52 della Costituzione, che prevede l’accesso di tutti i cittadini a tutti gli uffici pubblici senza discriminazione; e non dimenticate in quale di Paese già viviamo, anche grazie alle disattenzioni delle (un tempo) opposizioni. Annuncia “ascolto e condivisione” (musica nuova…) e “scuola come priorità” (forse qualcuno dei suoi predecessori – di destra o di sinistra – in “campagna elettorale” ha mai parlato di ministero autoreferenziale e di scuola come tema secondario?). Aborre il termine reclutamento (“non siamo mica nell’esercito“) e rilancia la scansione regolare dei concorsi – quella già caldeggiata da Profumo – riservati al personale abilitato, confermando la scelta del Tfa. Faraone si dice sostenitore di uno sviluppo di carriera del personale docente “io credo che sarebbe utile differenziare le carriere e definire dei criteri obiettivi, il meno discrezionali possibili, per valutare le competenze, la formazione e il lavoro di un docente. In tutto il mondo si cerca di definirli e credo che con la collaborazione dei docenti lo si possa fare anche da noi: in modo quantitativo con il numero delle ore effettivamente “lavorate” a scuola oltre le ore di lezione, con il numero degli alunni, con la definizione dello status di scuole a rischio, con la qualità certificata di formazione in servizio”. Anche in questo caso siamo di fronte a una prospettiva non dissimile dalla Aprea. Per quanto riguarda l’autonomia – la “grande incompiuta del nostro sistema scolastico”, Faraone afferma: “Sulla gestione delle risorse credo che una scuola debba autogestirsi in base alle esigenze e ai bisogni degli allievi. Mentre sulla selezione delle risorse il dibattito è aperto”. Sarebbe più onesto e virtuoso un Pd che dicesse parole chiare sull’ingresso massiccio dei privati (e dei loro interessi e strategie) nella scuola pubblica; o dobbiamo invece accontentarci dell’Aprea-Ghizzoni, che prevedeva il consiglio di amministrazione, lo statuto dei singoli istituti e la legittimazione agli interventi dei privati, prefigurazione evidente della rottura del principio di unitarietà del sistema scolastico nazionale, concretizzazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini? Per fortuna Faraone ha invece usato parole chiare sulle scuole paritarie. Sono quelle del Pd, il partito che ha ostacolato il referendum di Bologna contro la destinazione di fondi pubblici alle scuole dell’infanzia paritarie, e che ne ha ignorato gli esiti; quello che sostanzialmente ha taciuto e continua a nicchiare sul tema del buono scuola in Lombardia. Il partito per cui detti finanziamenti non sono in dubbio, perché “Se ne discutiamo in termini quantitativi, lo Stato con la scuola paritaria ci guadagna visto che spende per un alunno di scuola paritaria da 1/10 a 1/6 di quanto spende per gli alunni delle scuole a gestione statale. Va anche evitato l’approccio ideologico e questo vale per entrambe le parti in causa. I pasdaran dell’una e dell’altra fazione non ci portano lontano: affrontiamo la questione con concretezza e pragmatismo e una soluzione condivisa si troverà certamente”. Ne è sicuro, Faraone? Se “approccio ideologico”, per lui, significa dismissione della fedeltà ai principi costituzionali, non conti sulla pacificazione nazionale, in nome della “concretezza e del pragmatismo”: in nome della politica “del fare” sono già state compiute abbastanza infrazioni gravissime, anche dal suo partito. Sulla “sperimentazione dei 4 anni di liceo” Faraone pare non ricordare che il suo partito ne è stato a più riprese entusiasta sostenitore. Poiché – per sua stessa ammissione – se la “sperimentazione” (non una parola sull’anomalia della stessa) va a regime libera il 20% dell’organico, che per il responsabile scuola del Pd va necessariamente reimpiegato “in compresenze, recupero, orientamento, ricerca didattica”, avallarla significa approvare quel tipo di spregiudicata operazione. Vorremmo perciò conoscere la sua opinione: una sperimentazione così sui generis è motivata da urgenze pedagogiche (e non tiriamo fuori il solito “ce lo chiede l’Europa”) oppure da triviali urgenze di cassa? L’intervista tenta di essere con ogni evidenza un decalogo di “buone intenzioni”. Fermo restando che, come nelle migliori tradizioni italiche, non c’è una parola su come reperire i fondi per dare ad esse corpo, una lettura attenta evidenzia però come anche la stessa bontà di quelle intenzioni sia del tutto opinabile. Esse infatti si basano su una parziale presa di distanza rispetto al programma che Renzi rese pubblico nel 2012, ma non appaiono da nessun punto di vista essere la base per il rilancio –sarebbe meglio dire la ricostruzione – di una scuola davvero in grado di fornire pari opportunità a tutti i giovani cittadini, garantendo loro l’acquisizione di competenze culturali critiche e la possibilità di collocarsi sul mercato del lavoro con prospettive non umilianti. Vengono infatti ribadite – e per certi aspetti ampliate- tutte le ambiguità che hanno caratterizzato il rapporto del Pd con l’istruzione pubblica e privata fin dalla sua fondazione. |