Esempi da non seguire Pasquale Almirante, La Sicilia 9.2.2014 Non è moralismo, ma la semplice constatazione che, quando l'esempio peggiore viene dall'alto, il lavoro in classe dei docenti si fa più duro. Tra lauree false, frodi fiscali, turpiloqui, sessismo, risse in Parlamento, accuse pesanti al presidente della Repubblica non c'è da aspettarsi condizioni migliori nella aule. E non è senza conseguenze per l'educazione dei giovani venire a spere che l'Inps è stato diretto da un manager con una laurea presumibilmente falsa, mentre da anni personalità di spicco della politica sono accusate di compravendita di deputati e senatori, prostituzione minorile, corruzione e diffamazione, mentre subiscono pure condanne definitive per frode fiscale e appropriazione indebita. Ma non finiscono qui gli esempi deleteri. Segnaliamo donne e uomini pubblici e di spettacolo vantarsi di avere assaggiato spinelli o droghe, mentre qualche buontempone fa sfoggio in Tv, come medaglie, delle sue bocciature a scuola o della sua cattiva condotta o dei suoi ribelli rapporti col professore. Se poi aggiungiamo la bagarre di questi giorni alla Camera, ci si rende conto che i punti di riferimento scivolano via. E se questi sono gli esempi di chi rappresenta la Nazione, gli onorevoli che fanno le leggi, perché aspettarsi comportamenti diversi dai ragazzi quando sono a scuola? E lo stesso termine, "Legalità", attorno a cui si imbastiscono conferenze e incontri nelle aule, quale valenza può assumere fra i ragazzi? E quale credibilità potrà avere un docente quando pretende dai suoi scolari di non copiare, di fare il proprio dovere e i compiti, di guadagnarsi il merito e almeno la sufficienza con lo studio, il sacrifico, la buona volontà, il lavoro quotidiano? Se basta pagare per avere una laurea, perché venire a scuola? E a maggior ragione se quel falso ha consentito incarichi di prestigio, soldi e notorietà, potere e tutto ciò che un ragazzo vorrebbe subito e a costo zero? E se persino in Parlamento, la rocca della legalità, si fa baruffa e si usa il più volgare turpiloquio, perché mai non si può usare a scuola e magari nei confronti dell'insegnante o della compagna di banco o del più debole o del diverso o contro chi non ha la pelle bianca? Scrive una docente: «E se un ragazzo bestemmia, tu lo richiami e lui candidamente ti risponde che lo ha fatto anche quel tale personaggio pubblico e tutti hanno riso? Che gli dici? ». Ecco il punto: che gli dici? |