Concorsi triennali e GAE chiuse. Orizzonte scuola, 7.1.2014 di Eleonora Fortunato - “Selezione dei docenti da parte delle scuole? Parliamone. Magari con concorsi a livello di singolo istituto o di reti di istituti”. Un punto su cui occorrerà essere più chiari nei prossimi mesi. Una cosa è certa, per ridare vigore all’istruzione, la selezione e la carriera dei docenti sono nodi importanti, e la squadra di Renzi non ha paura di infrangere quelli che, almeno per la ‘vecchia’ classe docente, erano tabù. Ma ancora, liceo a quattro anni, autonomia, salari, divario Nord-Sud, Invalsi, TFA, finanziamenti alle paritarie: ecco come il nuovo PD ridisegnerebbe i contorni della scuola italiana. “Reclutamento? Smettiamo di chiamarlo così, non è mica l’esercito!”. Scherza con noi il nuovo responsabile Scuola del PD su uno dei grandi temi della scuola. La chiamata diretta dei docenti da parte delle scuole era uno dei cavalli di battaglia di Matteo Renzi alle primarie PD 2012; poi alle ultime, con la paura che si trasformasse in un cavallo di Troia, più nulla. Adesso però, evitando magari di chiamarla proprio così (anche se è in questo che rischierebbero di trasformarsi i concorsi ‘locali’), si potrebbe tornare a parlarne, come si potrebbe tornare a ragionare di salari, carriere, autonomia, riordino dei cicli. Insomma, c’è aria di riforme nevralgiche nel campo istruzione in casa PD, almeno a giudicare dalle ampie e dettagliate risposte che Davide Faraone, il nuovo responsabile Scuola, ha fornito alle nostre domande. Ma, poiché il clima è quello dei confronti (la Costituente del ministro Carrozza, il tavolo dei ‘grillini’), niente imposizioni dall’alto… staremo a vedere. Nonostante le consuete dichiarazioni sull’importanza degli investimenti nel settore dell’istruzione, si deve registrare che quasi tutti gli interventi sono dettati dalle ragioni del contenimento della spesa pubblica. Il suo gruppo intende invertire questa tendenza? Se sì, quali ipotesi sono allo studio? Con quali risorse?
“Per il PD la scuola è
una priorità, un obiettivo strategico per uscire dalla crisi. Sulle
azioni e le ipotesi: qualunque ipotesi o proposta di riforma questa
volta verrà discussa col mondo della scuola e con gli insegnanti
perché sono convinto che il mondo della scuola sia un mondo dove
vige il senso della cooperazione e della relazione. Ogni imposizione
dall’alto è miseramente fallita non per “spirito di conservazione
dei docenti”, ma perché non erano proposte condivise. In genere so
che i docenti quando si tratta di cooperare sono entusiasti di
innovare, purché l’obiettivo sia l’interesse degli studenti. In
passato la logica seguita dal terribile trio
Gelmini-Tremonti-Brunetta è stata quella dei tagli lineari punitivi
nei confronti di una categoria che considera ostile. Pensare di fare
riforme contro gli insegnati è inutile prima che ingiusto. La nostra
sarà la stagione dell’ascolto e della condivisione delle proposte
con tutti i portatori di interessi: gli insegnanti, i dirigenti, gli
studenti e le loro famiglie, ma anche gli enti locali, le imprese,
le associazioni professionali e quelle che operano sui territori.
Nella scuola bisogna investire, spendendo meglio che in passato e
questo può avvenire solo responsabilizzando tutti”. Come pensa che dovrebbe avvenire il reclutamento delle nuove leve di insegnanti? Vi pronuncereste per una entrata a regime dei corsi di TFA? Ma soprattutto, si può pensare al futuro senza prima dare una risposta alle istanze delle varie categorie di docenti (abilitati e non abilitati) che si aspettano un riconoscimento del loro merito o del loro operato? Sarebbe favorevole a una riapertura delle graduatorie a esaurimento?
“Innanzi tutto
smettiamo di chiamarlo reclutamento: non è mica l’esercito… TFA: la
materia è complessa anche perché in questi anni si sono alimentate
troppe aspettative spesso contrastanti tra loro e sedimentati troppi
metodi di formazione iniziale e assunzione in servizio, non mi
sembra sensato mettere in discussione il TFA adesso e inventarsi
qualcosa d’altro. In generale, le posso dire che ci devono guidare
due principi: primo, vanno contemperate le legittime aspettative di
tutti i soggetti: precari storici e neolaureati che aspirano ad
abilitarsi e ad insegnare; secondo, si deve lavorare per ridurre al
minimo il contenzioso amministrativo: non può più essere che siano i
TAR a decidere come lo Stato forma seleziona e assume chi dovrà
insegnare. Per il primo obiettivo, riaprire le GAE non è
auspicabile: piuttosto si dia cadenza triennale a concorsi
radicalmente innovati nelle modalità e riservati ai soli abilitati e
al contempo sia garantita ogni anno quanto meno la copertura del
turn-over, togliendo al MEF il potere di veto che ha su questa
materia. Per il secondo obiettivo, il Parlamento deve approvare
norme meno contraddittorie e ambigue, ma si deve agire anche su un
altro fronte: basta fomentare guerre tra poveri e prosperare sul
contenzioso permanente, ma soprattutto serve un patto chiaro che dia
una risposta e tempi certi e ragionevoli a tutti”. Restituire prestigio sociale agli insegnanti: per il segretario del suo partito Matteo Renzi questa sembra essere una priorità assoluta. A quali interventi mirati state lavorando per riuscire in questa impresa? E’ solo demagogico in questo momento pensare che si possa o si debba ripartire dai salari?
“Su questo ho le mie
idee e voglio confrontarmi con i docenti medesimi. Alcune
considerazioni. La prima, l’articolo 36 della Costituzione recita
"Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla
quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad
assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La
durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.”.
Parlare di giusto salario non è un segno di debolezza ma di forza. E
credo che sia stato un fattore di debolezza per i docenti non
battersi, ma insieme a questo vorrei definire meglio coi docenti
qual è la “durata massima della giornata lavorativa” di un docente,
perché mi pare che il contratto, cioè la legge, non corrispondano
esattamente alla realtà: ci sono docenti che lavorano 24 ore al
giorno, ma non tutti. Ci sono docenti con due lauree, dottorati e
che si aggiornano con fatica e a proprie spese e altri, anche in
questo caso pochi, che non lo fanno. E allora chiarire e regolare
queste condizioni insieme ai docenti, con l’ausilio e non
l’impedimento, delle parti sindacali, sarebbe utile a restituire
quel prestigio perso, perché poi sono i difetti dei pochi che hanno
influito a rovinare la reputazione dei più. In sede di
contrattazione aprirei anche la questione della formazione in
servizio per reperire le risorse necessarie a renderla obbligatoria
per tutti”. Il suo partito come imposterebbe la carriera dei docenti? Quali criteri per differenziare i salari?
“Torniamo alla domanda
di prima. Ci sono tanti modi per differenziare i salari, io credo
che sarebbe utile differenziare le carriere e definire dei criteri
obiettivi, il meno discrezionali possibili, per valutare le
competenze, la formazione e il lavoro di un docente. In tutto il
mondo si cerca di definirli e credo che con la collaborazione dei
docenti lo si possa fare anche da noi: in modo quantitativo con il
numero delle ore effettivamente “lavorate” a scuola oltre le ore di
lezione, con il numero degli alunni, con la definizione dello status
di scuole a rischio, con la qualità certificata di formazione in
servizio. Un dottorato ad esempio non è certamente equiparabile a un
corso generico di aggiornamento. E’ necessario stabilire insieme i
criteri, in questo modo la valutazione e i meriti saranno definiti
in modo condiviso. Per quel che riguarda la parte quantitativa, il
tutto deve avvenire su base volontaria e responsabilizzando i
dirigenti su chi coinvolgere in queste attività aggiuntive: avviso
pubblico e selezione interna tra coloro che si offrono. È comunque
un tema da affrontare in sede di contrattazione, assieme alla
necessaria revisione dello stato giuridico e al superamento di
alcune rigidità del contratto nazionale non sempre compatibili con
l’autonomia scolastica. Serve un confronto franco e aperto, non
preordinato: si può partire con la prossima contrattazione”. L’autonomia delle scuole è ancora un tema chiave per il PD? L’autonomia potrebbe o dovrebbe riflettersi anche a livello di gestione delle risorse umane, come avviene in molte esperienze internazionali?
“L’autonomia ha messo
in salvo la scuola italiana negli anni bui delle Gelmini e dei
Tremonti. Il poco che si è salvato dell’esperienza del tempo pieno
lo si deve all’autonomia. Non oso immaginare come sarebbero ridotte
le nostre scuole medie (già considerate da molti studi un anello
debole del sistema) senza quel minimo di spazi di manovra concesso
loro dall’autonomia. Le poche esperienze di flessibilità del
curricolo alle superiori o di maggiore collaborazione con il mondo
del lavoro si devono all’autonomia. E potrei andare avanti. Ciò
detto, però, l’autonomia è anche la grande incompiuta del nostro
sistema di istruzione e formazione. È per molti aspetti ancora da
applicare perché fino ad oggi, per assenza di risorse, si è attuata
una finta autonomia che spesso si traduce in uno scarica barile di
responsabilità su diversi livelli. Sulla gestione delle risorse
credo che una scuola debba autogestirsi in base alle esigenze e ai
bisogni degli allievi. Mentre sulla selezione delle risorse il
dibattito è aperto. Credo che la certificazione delle competenze dei
docenti, cioè le abilitazioni, debbano avere un percorso più chiaro,
certo e rigoroso cercando di mettere in campo un metodo unico e un
bagaglio definito di competenze necessarie alla docenza. Non basta
più il percorso classico. Alcuni, lo so, sarebbero per dare un ruolo
alle scuole nella selezione dei loro docenti. Parliamone. In certi
contesti funzionerebbe ma in altri, dove le logiche e le dinamiche
di scelta seguono sempre vie molto discrezionali potrebbe essere un
boomerang che provocherebbe dequalificazione non qualificazione. Una
cosa è certa: nessuna chiamata diretta, ma eventualmente concorso a
livello di scuola o di rete di scuole”. Qual è la sua opinione sulla riduzione del percorso di secondaria di secondo grado da cinque a liceo quattro anni? “È in corso una sperimentazione, vediamo come va prima di lanciare proclami a favore o contro. Mi sembra un atteggiamento coerente con il metodo scientifico... Delle preoccupazioni espresse dai detrattori ne condivido una in particolare, quella di chi è preoccupato possa essere un ulteriore taglio. Se la sperimentazione va a regime si libera il 20% dell’organico: noi pretendiamo che non sia messo a risparmio ma utilizzato nella scuola. Le attività che si possono fare sono le più diverse: compresenze, attività di potenziamento e di recupero, orientamento, ricerca educativa, flessibilizzazione del curricolo, attività pomeridiana e nei mesi estivi e tanto altro… Aggiungo però una cosa: se di sperimentazione si tratta, va fatta con tutti i crismi della comparazione scientifica. Due esempi. Primo, mi piacerebbe che il Ministro vincoli le scuole che stanno sperimentando a collegarsi tra loro, scambiarsi informazioni, relazionare periodicamente in particolare sugli esiti in termini di dispersione e rendimento. Secondo, se il tema è ridurre di un anno il ciclo di studi, va sperimentato anche il 7+5, agendo così sulla fascia d’età tra i 9 e i 14 anni, un’età complessissima da ogni punto di vista e in ogni contesto territoriale o geografico e che è quella che soffre di più dell’attuale scansione dei cicli scolastici.
Molte ricerche, i dati
e le problematiche segnalano questa fascia come coincidente con l’
“inizio dei guai”, non credo nemmeno che sia la scuola media in sé
il problema perché poi non si risolve nel biennio superiore. Credo
che sia proprio da ripensare l’approccio, come diceva anche Renzi". L’ultimo rapporto Pisa-Ocse mostra ancora un importante divario tra Nord e Sud per quanto riguarda la qualità dell’istruzione. In alcuni Paesi europei si incentivano gli insegnanti più bravi a spostarsi, almeno per un periodo della loro carriera, verso le scuole ‘di frontiera’. Lei che soluzioni concrete metterebbe in campo?
“I divari dei livelli
d’istruzione risalgono all’800, sono mali che ci portiamo dietro da
un secolo. Non credo che basti spostare “gli insegnanti più bravi”.
Anche perché in genere i docenti di scuole a rischio, e io ne
conosco parecchi, sono bravissimi. Il tema è l’attuazione di
politiche e di azioni compensative nelle aree deboli del Paese. Il
docente più bravo non può contrastare problemi come il tempo scuola
esiguo (in Sicilia ad esempio il tempo di 40 ore alla primaria è
attivato solo nel 3% delle scuole mentre in Lombardia copre fino
all’85 %; o gli asili, fondamentali per il successo scolastico, che
nelle aree dove i rendimenti sono più scarsi, non esistono proprio)
e l’assenza di azioni a supporto delle conoscenze implicite, che
invece sono presenti in aree più benestanti e che tanto influenzano
i rendimenti complessivi (contesto familiare, teatri, cinema,
sport,..). Mi lasci aggiungere che le indagini OCSE-PISA - ma anche
il lavoro di Invalsi - servono proprio a questo: consegnare a chi ha
responsabilità di governo e alle istituzioni scolastiche i dati che
consentano di intervenire. Aver diffuso negli anni passati l’idea
che invece servissero a fare classifiche e consegnare medagliette è
servito solo a fermare la diffusione di una cultura della
valutazione tra i docenti italiani, che sono stati indotti a
preoccuparsi quando non se ne sentiva proprio la necessità. Altra
enorme responsabilità della destra berlusconiana”. Per il PD la scuola deve essere inclusiva o selettiva?
“Davvero potete fare
una domanda simile a un deputato del Partito Democratico? Scherzo…
Inclusiva, chiaramente. Ma altrettanto chiaramente le dico che oggi
così non è. Siamo di fronte a uno dei sistemi scolastici più
classisti del mondo. A confermarlo i dati sull'abbandono scolastico
resi pubblici di recente da Istat: siamo al 17,6%, una vera
emergenza sociale. Non per colpa dei docenti o di chi opera nella
scuola, ma per precisa responsabilità di chi non vuole vedere i
ritardi che ancora scontiamo e non fa nulla per superarli”. E’ giusto per il nostro Paese ridare propulsione al sistema dell’istruzione professionale, che negli ultimi anni è stato depredato di risorse importanti? Se sì, in che modo?
“E’ uno dei nostri
chiodi fissi: ridare dignità e senso alla formazione professionale.
Innanzitutto osservando i sistemi vincenti di altri paesi, a
cominciare da quello tedesco che funziona molto bene. Adattando al
nostro tessuto produttivo le esperienze migliori, ma tenendo sempre
presente che ciò che funziona altrove non è mai esportabile sic et
simpliciter e dunque qualunque azione va adeguatamente sperimentata
e monitorata. Alcune linee guida possiamo darle: innovazione, legame
con le realtà territoriali e produttive e agire nell’interesse dei
ragazzi che si vanno a formare, non dei formatori. Aggiungo che il
problema della maggiore vicinanza tra mondo del lavoro e sistema di
istruzione non è un tema che riguarda solo la formazione
professionale, anzi. Il PD vuole abbattere il muro che separa
istruzione e lavoro e agirà in tal senso”. La legge di stabilità di quest’anno destina circa 220 milioni di euro alle scuole paritarie, senza però avere la garanzia né della qualità dell’offerta formativa (su cui l’ultimo rapporto PISA-OCSE avanza qualche dubbio, almeno a confronto con l’istruzione pubblica) né della libertà di insegnamento. Come intende muoversi in questo campo il suo partito?
“Il tema è delicato,
anche perché si tende a mettere insieme cose che insieme non stanno.
Un conto è la scuola dell’infanzia (dove senza i privati il sistema
statale e comunale salterebbe), un conto il primo ciclo, un conto il
secondo ciclo. Ma le voglio dire che ci sono due tipi di discussione
che dobbiamo assolutamente evitare: quella tutta quantitativa e
quella tutta ideologica. Se ne discutiamo in termini quantitativi,
lo Stato con la scuola paritaria ci guadagna visto che spende per un
alunno di scuola paritaria da 1/10 a 1/6 di quanto spende per gli
alunni delle scuole a gestione statale. Va anche evitato l’approccio
ideologico e questo vale per entrambe le parti in causa. I pasdaran
dell’una e dell’altra fazione non ci portano lontano: affrontiamo la
questione con concretezza e pragmatismo e una soluzione condivisa si
troverà certamente. Io le dico ad esempio che il tema che mi sta a
cuore è esattamente quello sugli standard. La legge di parità
prevede che scuole paritarie debbano rispettarne di molto rigidi in
termini di non discriminazione in entrata (penso in particolare ai
disabili) e di assunzione dei docenti. Qualora ciò non avvenga non
dovremmo esitare a togliere lo status di paritaria a quelle scuole.
Questo sì che andrebbe a garanzia di una maggiore qualità di tutto
il sistema pubblico”. In generale un giudizio sulla linea Carrozza-Letta. “Si può fare molto di più. Occorrono molte azioni strutturali per la scuola italiana e per me anche un’ora in più di italiano nella primaria o un anno di asilo obbligatorio per tutti sono azioni strutturali, come anche l’innovazione didattica, come anche la ridefinizione dell’organizzazione del lavoro docente”. |