Scuola digitale/2.
Chi corre e chi frena

 TuttoscuolaNews, n. 621 10.2.2014

La compresenza dei citati fattori innesca i processi innovativi in buona misura a prescindere dalla collocazione geografica delle scuole, come mostrano le numerose esperienze d’avanguardia in atto (alcune delle quali presentate e analizzate in una serie di dossier di Tuttoscuola, consultabili anche sul portale tuttoscuola.com), da quella del liceo ‘Lussana’ di Bergamo a quella della scuola media di Rosso di San Secondo (Caltanissetta).

In molti casi le scuole che hanno iniziato a correre agiscono in una logica che, in termini di sistema, si potrebbe definire bottom-up: non hanno atteso che le novità fossero sollecitate dall’alto secondo un modello precostituito. Il modello lo hanno costruito dal basso, localmente, e lo hanno poi proposto alle altre scuole per linee orizzontali e reticolari, via internet o magari esportandolo tramite iniziative di formazione dei docenti come quelle promosse dal Centro Studi Impara Digitale, diretto dalla profssa Dianora Bardi, avente come scopo di “diffondere l’utilizzo e promuovere lo sviluppo di didattiche per la scuola digitale”. Il Centro è aperto ad ogni persona, fisica e giuridica ed altri soggetti che manifestino interesse per le didattiche per la scuola digitale. La maggior parte dei soci è costituita  da insegnanti sperimentatori (di area sia scientifica che umanistica) diventati esperti sul campo, spesso in un rapporto di reciproco apprendimen to cooperati vo con i loro studenti.

L’assenza di uno o più dei citati fattori rallenta invece l’apertura alla scuola digitale. E poi ci sono casi, come quello della scuola primaria Iqbal Masih di Roma, nei quali genitori e insegnanti organizzano convegni supportati da relazioni tecnico-scientifiche (ne è stato fatto uno lo scorso 22 gennaio) per manifestare aperta contrarietà verso l’avvento in classe dell’informatica e di internet, giudicati ‘strumenti di distrazione di massa’.

Tra scuole che corrono e scuole che frenano (con motivazioni discutibili, ma argomentate) c’è poi una vasta zona di scuole che attendono e che si limitano a galleggiare come in una grande bonaccia. E’ a queste scuole che servirebbe una sollecitazione dal centro, o comunque dall’esterno. Servirebbe una politica di incentivi alla ricerca-azione, di microseminari di produzione (in passato se ne fecero alcuni di grande efficacia negli Istituti professionali), di sostegno attivo (cioè finanziato) alla diffusione sistematica delle buone pratiche, di forte defiscalizzazione del fund raising finalizzato all’innovazione tecnologica. Qualcosa di paragonabile a quanto si sta facendo in altri Paesi, a partire da quello che ha dato il via alla rivoluzione digitale, gli Stati Uniti d’America.