Scuola digitale/1. TuttoscuolaNews, n. 621 10.2.2014 L’Italia della scuola (ma non solo) è un Paese di forti contrasti, emblematicamente rappresentati dalla distanza che separa il Nord dal Sud, svantaggiato in quasi tutti gli indicatori, dai livelli di apprendimento degli studenti nelle prove oggettive (in contrasto con l’esito di scrutini ed esami, dove la distanza c’è, ma è rovesciata a favore del Sud) all’edilizia scolastica, dalla quantità e qualità dei servizi (servizi di supporto all’attività didattica, tempo pieno) alla dispersione scolastica e alla disoccupazione giovanile. Il rischio (un rischio per il sistema Paese) è che a questo elenco di dislivelli se ne aggiunga un altro, quello che riguarda la disponibilità e l’impiego di risorse tecnologiche a supporto della digitalizzazione dei processi di insegnamento e apprendimento. Con una variante. Il dislivello in questo specifico campo, il cosiddetto digital divide, potrebbe avere una connotazione non tanto geografica (Nord-Sud) quanto socio-tecnica, derivante dalla maggiore o minore apertura delle singole istituzioni scolastiche all’innovazione tecnologica. Avremmo in tal caso scuole di serie A e scuole di serie B, distribuite a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale in funzione del loro grado di apertura alle dinamiche innovative. Il grado di sensibilità e di apertura delle scuole al nuovo dipende da diverse ragioni: la quantità di risorse disponibili (che in questo specifico caso non vede il Sud sfavorito) è certamente uno dei fattori principali, ma altrettanto e forse più importanti sono l’orientamento del dirigente scolastico e del consiglio di istituto, la presenza di un gruppo (non troppo esiguo) di docenti interessati e motivati, il grado di interazione tra la scuola e il contesto socio-culturale (e non solo con quello socio-economico). |