Letta vuole riformare la scuola:
comincerà a 5 anni per finire a 18
di Alessandro Giuliani La
Tecnica della Scuola 12.2.2014
È la proposta contenuta nel documento “Impegno
Italia 12 febbraio 2013”, presentato dal premier, frutto del
‘patto di coalizione’ per condurre l’Esecutivo sino a fine
legislatura. Si parte con una sperimentazione, ma si cercherà da
subito di incrementare il numero di scuole materne. Largo al merito,
portando a termine il regolamento sulla valutazione. In arrivo 2
miliardi di euro per la sicurezza degli edifici. Sui precari invece
non si cambia: GaE blindate fino a chiusura naturale; confermati i
corsi abilitanti universitari e i concorsi triennali. Università:
serve un nuovo sistema della ripartizione del fondo ordinario, di
contribuzione e delle borse di studio.
Avviare i cicli di istruzione
scolastici formativi a 5 anni
anziché 6, senza anticipare la
primaria, ma considerando quella
d’infanzia scuola a tutti gli
effetti. E concludere, di
conseguenza, le superiori a 18
anni. In modo da adeguare
l’Italia agli standard europei.
È la proposta contenuta nel
documento “Impegno Italia 12
febbraio 2013”, presentato dal
premier Enrico Letta in
conferenza stampa, frutto delle
intese raggiunte attraverso il
‘patto di coalizione’ che
porterebbe l’attuale esecutivo
sino alla fine della legislatura
“Cominciare
e finire prima”, ha detto il
capo del governo,. “Vogliamo un
grande piano per il Paese perché
la scuola – ha aggiunto Letta -
cominci a 5 anni e finisca a
18". Il Governo sulla scuola
prevede "un impegno
significativo" che si aggiunge
anche a quello per "scuole
sicure e cablate". "Un piano
ambizioso con bambini al
centro", ha concluso Letta.
Andando a scorrere il progetto,
che “nasce per rendere chiara,
di fronte al Paese, l’assunzione
di responsabilità che il
governo chiede al Parlamento e
ai partiti”, si evince che
l’attuale premier indica la
scuola tra le “priorità” del
Paese, da centrare attraverso
“azioni precise, con un
cronoprogramma certo”.
Per
quanto riguarda la scuola
dell’infanzia, nel
documento viene reputata
come una parte formativa a
tutti gli effetti, con “un
ruolo fondamentale nello
sviluppo personale, sociale
e cognitivo del bambino.
Valorizzare questa fase – si
legge ancora - integrandola
nel ciclo di istruzione ha
lo scopo di mettere gli
studenti nella condizione di
iniziare ad apprendere
prima e meglio, con la
possibilità di terminare gli
studi in anticipo con un
livello di conoscenze e
occupabilità pari, o
superiore, a quello
garantito dal sistema
attuale”. Il concetto è
chiaro: iniziare prima per
finire prima.
A tal
fine, il governo si impegna
ad “avviare la
sperimentazione di un
modello, da introdurre in
modo graduale, in cui la
scuola dell’infanzia
costituisca il primo grado
nel ciclo di istruzione
obbligatoria”. E a “ristrutturare
i cicli scolastici in
modo da consentire ai
giovani italiani di
diplomarsi prima in linea
con gli standard europei”.
Considerando l’esiguità di
scuole dell’infanzia, “entro
il terzo trimestre saranno
individuate risorse per
l’istituzione, in via
sperimentale, di sezioni
aggiuntive di scuola
dell’infanzia”.
Letta si impegna anche a
“introdurre criteri più
stringenti di valutazione e
valorizzazione del merito: è
essenziale poter contare su
un sistema condiviso e
affidabile di valutazione
delle scuole, che permetta
di premiare il merito”.
Questo obiettivo si attuerà
portando a termine, entro il
2014, “il regolamento
sulla valutazione al
fine di assicurare la piena
operatività del Sistema
nazionale di valutazione
delle scuole pubbliche e
delle istituzioni formative
incentrato sull’Invalsi.
Investire nell’edilizia
scolastica è
fondamentale per
contribuire alla ripresa
economica e alla
rigenerazione urbana.
Importanti iniziative sono
state già assunte e vanno
ora rese tutte operative.
Tra gli impegni figura un
investimento “nel periodo
2013-2015” di “oltre due
miliardi di euro per
gestire la sicurezza e
l’adeguatezza delle
strutture scolastiche”; il
completamento “dell’Anagrafe
dell’edilizia scolastica,
ferma al 1996”; una
accelerazione
sugli “interventi in corso
di realizzazione a partire
dai 692 già avviati con il
DL Fare. Entro il secondo
trimestre saranno adottati i
necessari provvedimenti
attuativi”.
Solo conferme, invece, sul
reclutamento dei
nuovi insegnanti e
per il superamento del
precariato.
“Gli interventi
devono prevedere un sistema
di selezione di alta qualità
che abiliti i giovani
insegnanti alla professione
attraverso l’università, e
in numero adeguato alla
domanda”. L’impegno è quindi
quello di “confermare la
chiusura definitiva delle
graduatorie a esaurimento”,
con buona pace degli
abilitati dell’ultimo
triennio (che così per
essere immessi in ruolo
dovranno necessariamente
passare attraverso il
concorso pubblico). Il
governo conferma anche la
volontà d “avviare corsi
universitari abilitanti
calibrati sul fabbisogno
effettivo” e “indire
concorsi a cadenza triennale”.
La novità arriverà, “entro
l’anno”, dalla “riforma
dei percorsi di formazione
iniziale e di reclutamento”.
La rivisitazione di alcuni
assi portanti del sistema
formativo riguarderà anche
il
sistema di finanziamento
delle università e
il diritto
allo studio accademico. “Il
sistema attuale di
finanziamento degli atenei –
sostiene il Governo Letta -
ha il limite di penalizzare
gli istituti che operano nei
contesti socio-economici più
difficili. Le università
che per mancanza di risorse
esterne e infrastrutture non
sono in grado di innovare la
propria offerta si trovano
oggi a non poter competere
per l’assegnazione di
risorse pubbliche. Nel caso
invece in cui l’offerta sia
attraente, si possono creare
ostacoli alla frequenza di
tutti gli studenti
interessati così come alla
loro mobilità geografica,
anche all’interno della UE,
con ricadute sulla mobilità
sociale”. L’impegno è quello
di “proseguire l’azione
avviata di incremento
delle risorse ordinarie per
le Università e definire un
nuovo sistema per la loro
ripartizione, in modo da
valutare i risultati della
ricerca e della didattica
con gli indicatori
socio-economici del
territorio nel quale
l’università si trova a
operare, e il loro impatto
sulla sua performance”;
oltre che “riformare il
sistema di contribuzione
degli studi universitari
sulla base di criteri di
equità e progressività” e “aumentare
il numero degli studenti
beneficiari di borse di
studio e di forme di
welfare studentesco”.
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