Filosofia nei Licei: ripartire da zero di Stefano Stefanel, Educazione & Scuola 14.12.2014 In Italia forse più che altrove si assiste una aumento dell’interesse da parte di tutta la società per la filosofia e le argomentazioni filosofiche. In un momento in cui la politica è cinguettio e polemica, proclami e urla, molti italiani affollano festival, conferenze, summer school, seminari, dibattiti di carattere filosofico. E lo fanno con una curiosità e un interesse che non hanno simili riscontri nel passato. Anche le pubblicazioni filosofiche hanno un buon successo editoriale, nonostante la persistente sottomissione italiana ai filosofi francesi e alla loro inconcludenza. Sembra di assistere ad un fenomeno sotterraneo per cui all’aumento esponenziale del pensiero superficiale e urlato fa da controcampo un interesse reale per la riflessione, l’analisi, la ricerca della comprensione, lo studio delle argomentazioni.
In questo panorama i Licei italiani alle prese con un’alta dispersione universitaria, una quasi inesistente dispersione liceale, un crollo di attrazione da parte delle facoltà umanistiche, continuano in forma sistematica e acritica e proporre agli studenti la storia della filosofia, basandosi su manuali tutti fatti (e soprattutto rifatti) molto male e che poggiano sull’idea hegeliana di storia della filosofia come percorso storicizzato del pensiero filosofico, che parte da un inizio per giungere fino a noi. Questa ipostasi hegeliana trasforma tutti i filosofi in filosofi metafisici e tutte le filosofie in sistemi, a cominciare da quelle dei presocratici che di sistematico non hanno nulla. Anche filosofi come Marx, Nietzsche e Heidegger, fecondi nella loro profonda episodicità, ma pesanti se vissuti come sistematici e metafisici, sottostanno alla legge della
presentazione dei filosofi come quadri di una esposizione, che inizia col quadro numero uno e termina col quadro numero “X” (e qui dipende da dove l’insegnante “arriva”). Le polemiche degli ultimi giorni sul “nazismo” di Heidegger dovrebbero far nascere dei dubbi sulla contestualizzazione dei filosofi, che viene fatta man mano che appaiono inediti, quaderni, appunti. E che si modifica col modificarsi degli eventi storici. Se poi da Heidegger e dal suo nazismo scendiamo su casi meno drammatici ci troviamo di fronte ad un Anassimandro “storicizzato e contestualizzato” sull’apeiron Percepita dagli studenti come un’assoluta e inutile bizzarria), anche perché storicizzare il “detto” (“katà to kreon”) è un’operazione finora riuscita a nessuno, anche perché il “detto” ha in sé una forza dirompente che o si percepisce o non si percepisce. O ci troviamo di fronte ad uno
Schelling in cui non si sa bene se storicizzare la prima parte del suo percorso o l’ultima. Nei Licei rimane inalterata la prassi di verificare gli apprendimenti degli studenti attraverso interrogazioni, anche se la filosofia è scrittura prima che parola. Nell’Università medievale c’era il quolibet per le parole e il commentario per gli scritti: la speranza che ci sia almeno questo nei Licei scompare scorrendo le domande di filosofia preparate per la famigerata “terza prova d’esame”. Per sua natura chi fa filosofia o studia filosofia dovrebbero rifuggire qualunque tentativo di ridurre le questioni a un rapporto tra domanda e risposta. Il saggio breve dovrebbe trovare la sua casa naturale nella filosofia, ma non la trova praticamente mai, mentre la realtà, che sta dentro tutti i grandi filosofi, diventa un elemento quasi disturbante nelle scuole italiane, che tutto storicizzano rendendolo morto. Mi sono chiesto a lungo perché avvenga questo, ma me lo chiedo a maggior ragione ora che la filosofia trova sulla stampa, sui social network, nelle pubblicazioni, nella vita di tutti i giorni un nuovo ruolo da protagonista. Nel tempo della superficialità solo la filosofia aiuta ad argomentare e permette al pensiero di costruire sistemi o immagini, di rendere il senso logico ma anche quello illogico delle cose, di aprire la mente e di cercare di conservare. Mi sembra paradossale che l’insegnamento della Storia della Filosofia nei Licei privilegi la “testa ben piena” alla “testa ben fatta”, ma soprattutto continui a prestarsi alla falsificazione della filosofia vissuta come una “letteratura morta del pensiero” in cui convivono vuote ipostasi mai dimostrate. Credo sia necessario ribaltare la curricolarità della filosofia per permettere ai Licei italiani di uscire dalla deriva storicistica ormai quasi centenaria imposta da Gentile. Ma per fare questo è necessaria un’azione euristica sull’argomentare, partendo dalla meraviglia aristotelica e dal parricidio di Platone: la prima necessaria per anteporre l’analisi di ciò che ci viene tramandato a qualsiasi contestualizzazione o storicizzazione, il secondo per capire che la scienze, l’empirico, il vissuto stanno nello spazio dell’essere percepito come transeunte e collocato dentro dinamiche che chiedono un’osservazione più attenta di quella che quotidianamente effettuiamo. La filosofia dovrebbe essere la struttura portante per la costruzione delle competenze argomentative dei liceali, invece è una “materia” tra le tante, spesso noiosa e astrusa, inutile a volte anche per decodificare quei passaggi che solo la filosofia ha reso decodificabili nel mondo occidentale. Il conservatorismo dei docenti di filosofia è così diffuso e così forte che la possibilità di raggiungere la quasi totalità dei testi filosofici in tempi brevissimi attraverso il web ha determinato un ulteriore arroccamento sui testi cartacei in cui la manualistica uccide il pensiero. Esiste però un altro problema. Molti docenti di filosofia dei Licei collaborano anche con le Università e qualche volta vivono con frustrazione l’essere professori di Liceo e non professori universitari. Nel loro rapporto con le Università mettono un grande impegno pubblicistico e di ricerca, nell’insegnamento sviluppano interessanti conferenze su autori che non li appassionano (più). Il mondo filosofico italiano dovrebbe però chiedersi: perché c’è questo compulsivo interesse per Derrida, Didi-Huberman, Sloterdijk, Zizek e meno interesse per Leibnitz, Spinoza o Kant? Perché si studia Wittgenstein cercando di portarlo verso strutturalismi che erano lontani anni luce dal suo pensiero? Perché ci si continua ad appiattire su filosofi francesi che rimasticano intuizioni heideggeriane della gioventù cercando di denazistificarlo? Ma soprattutto dovrebbe chiedersi perché tutto questo non vada ad incidere sull’insegnamento della filosofia nei Licei? Se questi autori, che per chi scrive sono assoluti epigoni, sono invece considerati dagli attuali post-accademici ridotti al rango di professori di Liceo il punto più alto dell’attuale filosofia perché quella filosofia non è fatta entrare nei Licei attraverso le ore naturali e non quelle progettuali o seminariali? C’è una dicotomia pesante tra ciò che viene considerato importante e ciò che viene trasmesso agli studenti, con un corto circuito in cui la tradizione filosofica non è più l’elemento di partenza della ricerca, ma solo una gabbia entro cui far stare la didattica. Credo ci sia una sola strada per la filosofia nei Licei: azzerare tutto e riprogettare partendo dalle esigenze dell’argomentazione e dell’analisi, non da quelle della Storia della filosofia, branca tra le tante delle specializzazioni filosofiche, assunta grazie a Gentile a disciplina sinonimo di Filosofia nei soli Licei italiani. |