Dai banchi al lavoro, ma non gratuitamente. Sono in arrivo, col decreto scuola in preparazione al ministero dell’Istruzione, anche le nuove regole per gestire l’alternanza scuola lavoro. Obiettivo: che sia vista «non più un’occasione per le aziende di avere manodopera a basso costo, ma un modo nuovo per combattere dispersione e disoccupazione giovanile e offrire nuove possibilità e competenze ai nostri studenti», spiega l’on.Pd Simona Flavia Malpezzi, che sta prendendo in rassegna tutte le «buone pratiche» per tirare fuori il modello giusto da applicare a livello nazionale. Di casi virtuosi, in Italia, ce ne sono tanti: dalla radio creata dagli studenti del liceo Kennedy di Roma al polo creato da Confindustria ceramica a Sassuolo, che ha permesso agli studenti di imparare la logistica usufruendo di ben 8o ore in più di formazione pomeridiane; dal polo meccanico di Fidenza, al progetto Enel in sei scuole d’Italia; dall’esperimento dell’European Foundation of education con l’università di Palermo, dove l’apprendistato è finanziato dai fondi europei, all’accordo tra la Camera di commercio di Bolzano, i sindacati, l’ente locale, le scuole e le aziende per gli istituti tecnici e professionali. Ma l’obiettivo cui punta il governo è creare un modello esportabile ovunque, con regole precise. La prima: «L’alternanza vera -spiega Malpezzi - è che il ragazzo venga pagato mentre lavora come nel sistema duale tedesco».
Dalle 200 alle 400 ore all’anno
Il modello a cui si punta è quello duale, alla tedesca, dove si alternano davvero sei mesi in classe con sei mesi in azienda, ma declinato all’italiana, con una «formazione manuale» seguita da un tutor interno, e un piccolo assegno di rimborso. Le ore di alternanza, che dovranno riguardare non solo i tecnici e i professionali ma anche i licei, dovrebbero essere almeno 200, secondo il piano della buona scuola, ma il decreto potrebbe prevederne fino a 400 all’anno. «Il concetto è: si può studiare anche mentre si fa attività manuale, si trasforma il lavoro in esperienza culturale», spiega Malpezzi. A quanto ammonterebbe il rimborso? Attualmente per gli studenti di scuola superiore viene previsto un buono pasto, all’incirca 5 euro al giorno, ma per quelli più «grandi» si prevedono rimborsi dai 600 agli 800 euro: ed è questa la linea seguita dal governo, che punta a coinvolgere le aziende e le società locali per supportare la crescita attiva di nuove generazioni di operai, specialisti, tecnici. L’ultimo rapporto Censis, il 48°, pubblicato qualche giorno fa, conferma che nell’arco di sette anni questa metodologia si sia diffusa in maniera sostenuta, passando dai 45.879 studenti coinvolti nel 2006-2007 ai 227.886 del 2012-2013. Nell’alternanza, rileva il Rapporto, sono oggi coinvolte quasi 78.000 strutture ospitanti, tra imprese (58,2% del totale), professionisti, ma anche strutture pubbliche di diversa natura (enti locali, scuole, Asl, università, Camere di commercio, ecc.). Tuttavia, nonostante la vivacità dimostrata, i percorsi di alternanza coinvolgono appena il 9% degli studenti di scuola secondaria superiore. Ecco perché parte del miliardo stanziato per la buona scuola verrà utilizzato, così come precisato nella legge di Stabilità, proprio a quest’obiettivo: «La vita italiana al sistema duale è quella su cui stiamo lavorando, e che sta dando ottimi risultati. Ora bisogna estenderla a tutti, collaborando con le Regioni per quanto riguarda la formazione professionale: perché quando parliamo di buona scuola - conclude Malpezzi - intendiamo che le buone pratiche possano essere un’opportunità per tutti».